Anna Lombroso per il Simplicissimus

Dopo i reiterati abusi governativi tra prosopopee (quanti morti fatti parlare in favore del Si), eufemismi ( esuberanti per legittimamente licenziabili), metonimie (i nostri monumenti sarebbero il petrolio italiano), ossimori (che dire di “ministro competente”?),  e soprattutto iperbole molto impiegata nella narrazione delle epiche gesta delle compagini, anche i 5stelle hanno diritto alla loro figura retorica, grazie alla sindaca di Roma  convertita in antonomasia: scema come Virginia, inadeguata come la Raggi, e poi bugiarda, sfrontata, maleducata, psicolabile, influenzabile, svergognata e vergognosa, impudente e imprudente.

Almeno quanto un qualsiasi esponente del partito unico tra Renzi e Verdini, De Luca e Toti. Ma siccome l’improbabile dualismo Trump-Clinton ha contagiato sentimento comune e opinionismo, facendo preferire cancro a infarto, fascismo bon ton a quello sguaiato, crimini in tailleur e doppiopetto più sopportabili di quelli col parrucchino, così quello che è perdonabile per il sobrio Sala, le sue dimenticanze, i conflitti di interesse suoi e dei suoi cari, le sue relazioni pericolose e criticabili, comprese quelle incaricate istituzionalmente di assecondarlo, assolverlo quando non lo fa già lui, in nome dell’inviolabile primato morale della gran Milàn, quello che è veniale per il boccoluto Lotti, semmai obiettivo di una maligna macchina del fango indirizzata perfino contro i suoi consulenti, da 3 milioni sì, però meritatissimi, non è tollerabile per la giovane avvocatessa eletta col 67%. E quello che suona ancora più ingiustificabile e inammissibile per i più, è che sondaggi e misurazioni del sentiment  popolare mostrano che, anche se lei ce l’ha messa tutta, il consenso per il movimento resta alto e poco pare condizionato dalla straordinaria mobilitazione mediatica.

Perché è davvero innegabile che lei ce l’ha messa tutta fin dall’inizio: a cominciare dalla protervia con la quale la candidata non ha pensato di preparare una squadra di governo  e di testarne l’accettabilità, dalla insensata tenacia con la quale ha inglobato nel suo staff e nella compagine esponenti dell’ancien règime, dalla inclinazione mafiosetta a circondarsi di personaggi dubbi, rassicuranti per lei quanto inquietanti per i cittadini, dall’evidente assoggettamento  alla mistica del movimento e alla leadership del santone. E se è vero che   i poteri forti remano contro, che il comune è in fallimento, che c’è un’ eredità spaventosa delle giunte precedenti,  che i mass media sparano a zero,  proprio per questo non bisognava commettere errori così marchiani.

La verità però, è che la maggior parte dei tanti che l’hanno votata non erano certo vittime di scriteriati culti della personalità – che tra l’altro bisogna ammettere che la giovane signora non è particolarmente simpatica, malgrado alcuni patetici tentativi di accattivarsi il consenso pop, cimentandosi in vernacolo con competitor attrezzati in vaffa’ o assoldando leggendari capitani della squadra del core -, non riponevano gran fiducia nelle sue capacità. Ma si sono espressi per quello che chiunque al suo posto avrebbe rappresentato: la rottura del patto scellerato stretto da anni tra giunte di diverso colore e immobiliaristi, costruttori, interessi papalini, malavita in doppio petto, in canotta o in felpa, rendite e finanza, informazione costruita sul e col mattone, nomenclatura ministeriale e clientele inossidabili di enti, aziende di servizio, burocrazia comunale e corpi incaricati di poteri dispotici quanto arbitrari.

Era quella la cambiale che avevano firmato, in nome della quale erano perfino disposti a tollerare sia pure malvolentieri l’opacità decisionale, nomine, dimissioni, rinvii, dissensi, ammonizioni, direttori, risse e complotti. Perfino l’evidente forzata confusione tra legalità e opportunità, perché se è evidente che la Raggi non ha commesso  nessun reato, né con le polizze, né con la promozione di Marra, né con nient’altro, è altrettanto chiaro che la legittimità non è una pelle di zigrino che si può tirare d ogni parte per coprire dilettantismo, consuetudini di clan, familismo allargato, distrazioni colpevoli e il trincerarsi dietro il non vedevo, non sapevo.

Resta però intatto malgrado tutto il mandato che gli elettori romani hanno affidato a chi aveva promesso di spezzare quell’alleanza empia, che ha ripetuto su scala locale le politiche die governi che si sono succeduti, confermando l’egemonia del profitto privato, erodendo welfare, impoverendo servizi e assistenza, appagando gli appetiti delle rendite, scegliendo di investire in grandi opere invece di rafforzate la tutela del territorio, trascurando il patrimonio artistico e i paesaggio in modo che fosse conveniente venderlo.

E allora con buona pace di alati opinionisti, arguti osservatori, creativi dell’invettiva invidiosi dei successi 5stelle in materia, giornali e talkshow, tutti ricattabili quanto ricattati da editori impuri e in cerca di protezioni imperiture, cretini del web, anime belle che non si sognerebbero mai di sporcarsi  col “populismo” né tantomeno col popolo, sprecando inutilmente il loro prezioso voto e in attesa che qualcuno gli ri-confezioni e porti a domicilio una sinsitra dura e pira,  la campagna non è davvero orchestrata contro la Raggi che potrebbe pure meritarsela, ma contro i romani che si erano proposti di dire no ai signori del cemento, alle regalie al Vaticano e a quelle ai costruttori, all’urbanistica ridotta a procedura di controllo sociale o, peggio, a negoziazione commerciale con le rendite e i poteri proprietari, al Coni e ai promoter sportivi che sognano di affidare i loro castelli o stadi di sabbia a ex sindaci che si rinnovano al loro servizio, ai criminali sotto varie forme, intrallazzatori, manutengoli, fascistelli, cooperatori sui generis, così come hanno detto no poco dopo.

A quelli non gli andata giù che  tra tanti assessori improbabili e discutibili ce ne sia uno che vanta un curriculum militante di denuncia delle malefatte romane: i cantieri abbandonati dei parcheggi pubblici, a partire da Cornelia con i suoi sette piani interrati, Viale Libia, Val Melaina, Tor Tre Teste, il Mercato pubblico di Via Appia, tutti finanziamenti pubblici spesi male. E le Torri dell’Eur rimaste scorticate, che forse si concluderanno e il patrimonio di Santa Maria della Pietà ridotto in condizioni di pericolo per i crolli. E la Nuvola, fatta purtroppo, (400 milioni e la cessione del patrimonio immobiliare dell’Eur)e il centro commerciale al posto dei Mercati Generali, che si spera non si faccia,  mentre i governi che si sono succeduti hanno  tagliato circa 3 miliardi alle finanze locali e per Roma gli stanziamenti per lo sviluppo urbano ammontano a 500 milioni a fronte di cui ne sono stati assegnati 18 milioni con il recente bando per le periferie.  Non gli va giù il no alle megalomani quanto dannose Olimpiadi la cui candidatura dobbiamo al sindaco che il suo partito, che le vuole a tutti i costi, ha rimosso, quando ci sono 99 stabili occupati da senza tetto e interi falansteri finanziati da soldi pubblici sono in stato di abbandono senza mai essere stati abitati.

E non gli va giù che i tecnici capitolini nel documento trasmesso alla Conferenza dei servizi abbiano giudicato non idoneo il progetto dello stadio della Roma sollevando svariate obiezioni sull’intervento sotto il profilo della sicurezza, dei trasporti e dell’impatto ambientale in un’area a rischio idraulico, un altro no subito squalificato come incapacità e impotenza dal partito del si, inteso come ossequio a soldi, speculazioni, sfruttamento, avidità e accumulazione, sempre e spese nostre.

E quello si, quelli si, che sono scandali, quelli si che corrompono la Capitale e infettano il Paese. Ma i professionisti della denuncia hanno altro cui pensare mentre aspettano che gli si recapitino i biglietti omaggio per la tribuna dei Vip.