aleppo-festaPossiamo anche rallegrarci della vittoria di Aleppo, dove per la prima volta da decenni è stato sconfitto anche sul piano militare il neo colonialismo delle oligarchie reazionarie e globaliste occidentali, perché alla fine, oltre le chiacchiere, è di questo che si tratta. Ma sarebbe una soddisfazione futile se tutto questo rimanesse come un fatto conchiuso nell’orizzonte mediorientale con possibili agganci solo in ragione del flusso migratorio e delle imprese di un terrorismo dai caratteri più che mai ambigui. Aleppo è invece vicinissima purché sia chiaro ciò che è accaduto nella città più grande della Siria oltre ad essere quella con il maggior numero di cristiani in tutto il mondo mussulmano: è successo che dopo 40 anni viene messo seriamente in discussione il mondo unipolare succeduto al declino e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Questo è evidente persino ai ciechi, ma forse sono meno chiare le implicazioni di tutto questo: è stato proprio nella culla dell’egemonia di Washington, auto fondata sull’eccezionalismo e manovrata in gran parte dalle multinazionali che il neo liberismo è cresciuto in tutte le sue maligne mutazioni  fino a creare disuguaglianze tali da mettere in crisi le radici stesse della democrazia e ora anche di quel succedaneo della stessa in cui viviamo, di quel metadone quotidiano fornito da giornali e televisioni. E’ in questo mondo unificato dagli oligopoli più che dal mercato nel suo senso teorico e astratto, dominato dall’omologazione e dal conformismo consumistico più che da ideali,  che si è potuta incistare e poi sviluppare l’idea che non solo la sovranità e i popoli fossero un fatto del passato, non solo che essi fossero vecchi strumenti del capitalismo come indicava la vulgata marxista prima di Otto Bauer, ma anche che fosse impossibile prendere decisioni autonome all’interno degli automatismi di mercato, delle pseudo leggi economiche e delle loro surfetazioni politiche. Così paradossalmente gli stessi che ammettevano i guasti e le disuguaglianze della globalizzazione o la conversione economicista dell’Europa, rimanevano come paralizzati non riuscendo a non santificare comunque la Ue e il mercato anche nei suoi aspetti più deteriori, cercando di evitare  ad ogni costo il problema nazionale, nonostante che questo e solo questo fosse il livello istituzionale della democrazia.

Non è certo un caso che siano stati prevalentemente movimenti di destra a monopolizzare la protesta e il disagio crescenti, così come non è certo un caso che la rabbia cominci a tracimare gli argini e abbia colto i suoi primi successi proprio mentre il mondo comincia a tornare al multipolarismo con nuove potenze in grado di giocare la partita: l’internazionalismo astratto e realizzato attraverso i criteri del capitalismo, mica con quelli del proletariato, sta perdendo dunque di senso anche sul piano economico visto che in un certo senso è il territorio, la gente che vi abita, depredata  per fare gli interessi delle ricche oligarchie, proprio grazie al sovranazionalismo delle istituzioni non elettive, che è divenuto il vero soggetto del conflitto di classe. Dunque c’è tutto l’interesse, anche pratico, di giocare fra centri di potere diversi, piuttosto che essere schiavizzati da quella o quella incarnazione di un unico e onnipotente potere globale. Per questo si potrebbe prendere la data della presa di Aleppo come quella simbolica di un’inarrestabile inversione di tendenza.

Inarrestabile certo, ma non per questo prevedibile nei suoi esiti: in alcuni internazionalisti di vecchio pelo si scorgono anche i limiti di una vetusta vulgata rivoluzionaria, segretamente avversa ad ogni diacronicità che somma alla immacolata fede economicista, la disperazione delle occasioni perdute e profetizza come inevitabile una fascistizzazione mondiale. Ma sono alla fine discorsi elitari e inutili di delusi che proprio non riescono nemmeno a pronunciare le parole stato e nazione le quali tuttavia sono esattamente il luogo dove oggi possono convergere i soggetti e gli interessi del conflitto politico reale. Bisogna solo prenderne atto, finendola con le demonizzazioni da supermaket piddino e lavorare perché il cosiddetto populismo si orienti verso forme di libertà e uguaglianza piuttosto che verso quelle rudimentali della destra.  Si può fare e si deve fare, invece di stare a lamentarsi.