Anna Lombroso per il Simplicissimus

Come non compiacersi per la vittoria del Bene contro il Male assoluto? Come non rallegrarsi che due semplici agenti – uno dei quali precario – abbiano sgominato il pericolo numero Uno passato indenne attraverso le maglie dei proverbialmente occhiuti controlli tedeschi e poi francesi? E come non dolersi dell’imprudenza dell’avventato ministro che ne ha reso noti i nomi, violando a un tempo i principi di necessaria precauzione e le regole della privacy?

È che per una volta era liberatorio concedersi al trionfalismo e all’esultanza collettiva per il riscatto del paese tramite la “professionalità”, la competenza, la prontezza di spirito e l’abnegazione dei due poliziotti, via via definiti “eroi per caso”, “agenti eroi”, “eroi semplici” a sottolinearne la grandezza epica insieme alla domestica normalità di figli del popolo, gente comune, che sa rivelare coraggio e nobiltà  nello svolgimento quotidiano del proprio lavoro.

Eh si, era arduo sottrarsi alla tentazione dell’orgoglio condiviso e a quella, ancora più irresistibile, di partecipare della tifoseria patriottarda, trasformando quella che perfino i due prodi definiscono un  semplice intervento di controllo del territorio, o più probabilmente una “botta di culo”, in una brillante  operazione di intelligence.

In ogni caso vale l’invito  rivolto ai ministri, ai premier in carica e a irriducibili ex,  tutti concordi nel giubilarli, a osservare obblighi di riservatezza e rispetto della dimensione privata di soggetti che svolgono funzioni pubbliche.

Mentre per una volta va risparmiata la stampa, talmente osservante della privacy da stendere una coltre misericordiosa sulle virtù democratiche dei due audaci, la cui natura e immagine poteva essere compromessa dalle loro esplicite esternazioni su Facebook, oscurate troppo tardivamente  sicché se ne è accorto il Fatto, unica eccezione, ma perfino stamattina l’Unità, che timidamente, ne dà conto. E dalle quali apprendiamo di entusiastiche simpatie fasciste, nostalgici encomi di Hitler, citazioni del Duce, oltre alla solita empia paccottiglia  muscolare e virilista, una spericolata combinazione di machismo, razzismo e xenofobia, corredata di repertorio iconografico acconcio che immortala uno dei due mentre fa il saluto romano.

È una caratteristica del declino degli imperi a cominciare da quello romano che la libertas venga via via identificata sempre di più con la securitas, di modo che l’ordine diventa più importante dei diritti, che la stabilità politica sia primaria rispetto alla possibilità di esprimere il proprio voto senza impedimenti anche contro il potere e di eleggere i propri rappresentanti e che fondamentale sia la garanzia della proprietà, rispetto alla quale è naturale la rinuncia a prerogative di libertà.

Lo confermano enunciazioni ufficiali in tutte le province dell’impero contemporaneo, nelle quali la formula “democrazia e sicurezza” o “libertà e sicurezza”  si presentano come un’endiadi, una combinazione ormai indissolubile cui aspirare anche se comporta l’abiura di valori e principi come dimostrano il Patriot Act, lo stato di emergenza vigente in Francia, il fermo di polizia postulato da Blair e continuamente riproposto negli anni, l’opportunità sollecitata in forma bipartisan anche da noi di ricorrere a restrizioni per combattere il terrorismo, nella circolazione, nella rete, nell’espressione di opinione e nelle manifestazioni.

Succede così che ogni fenomeno viene ricondotto a problema di sicurezza, immigrazione, opposizione, diniego di opere inutili e dannose, grazie al sapiente uso della paura come deterrente della critica, come richiesta di autorità, come reclamo di repressione, come sopportazione necessaria della manipolazione della verità, secondo uno sviluppo ipertrofico del bisogno di controllo: dal territorio locale, a quello nazionale, a quello mondiale, a quello spaziale, grazie a autorità altrettanto pletoriche e con l’ausilio di leggi e corpi speciali. Così anche per una decina di profughi da collocare in caserme in disarmo, compresa di donne incinte o ragazzini, ecco esigere la presenza tranquillante dei militari, ecco riproporre ronde armate e il potenziamento delle polizie locali agli ordini di sindaci sceriffi.

E si capisce che non si può certo andare troppo per il sottile, che la militanza deplorevole in rete di due poliziotti non desti preoccupazione perché l’antifascismo, il rispetto degli altri,  donne comprese, fanno parte delle necessarie abdicazioni. Così si oscurano ora che potrebbero ledere la loro reputazione mentre non hanno suscitato deplorazione e meno che mai provvedimenti disciplinari prima, quando invece contribuivano a accreditare l’immagine di una polizia inviolata da colpe e crimini, quindi dall’autocritica che doveva accompagnare il giudizio storico su eventi vergognosi.

Fa rabbrividire pensare che la sicurezza – che dovrebbe nutrirsi della salvaguardia di diritti e libertà, che dovrebbe essere realizzata grazie alla conquista di obiettivi di uguaglianza e coesione sociale, sia affidata a qualcuno che ancora vive sogni di superomismo, che alimenta la sua forza con una cultura di sopraffazione. Sono imperdonabili e c’è da augurarsi che a non perdonarli malgrado le buone prestazioni professionali, siano proprio quei poliziotti che hanno sofferto il G8 come una colpa e una ferita collettiva, quelli che pensano che i principi di una Costituzione, che ancora una volta ha avuto bisogno di essere difesa, non siano carta da stracciare, quelli che chiedono ai meridionali di distinguersi dalla mafia, ai musulmani di differenziarsi dai terroristi, cui chiediamo di mostrare la loro diversità dai fascisti.