Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non è successo a Gorino e neppure a Capalbio. L’altro ieri sono calati a frotte dai  palazzoni   di San Basilio,  per impedire che una coppia di  marocchini da anni in Italia con tre figli piccoli tutti nati qui, potesse entrare nella casa popolare che gli era stata legittimamente assegnata, occupata abusivamente fino ad allora da italiani.

“Qui non vogliamo negri. Tornate a casa col gommone”, gridavano. E: “Prima ci stanno gli italiani …  Non vogliamo negri né stranieri qui, ma soltanto italiani”, urlavano dalle barricate tirate su in gran fretta contro gli invasori e contro la polizia intervenuta.  Di “gesto vergognoso per Roma e per i cittadini romani” ha parlato il Sindaco Raggi, esprimendo la sua “forte indignazione” per l’accaduto e assicurando che si troverà un alloggio alternativo.  Il parere di  Simone di Stefano, vicepresidente di Casapound, movimento molto attivo delle retrovie dei moti di piazza, non si è fatto attendere: “È ignobile che Virginia Raggi porti la sua solidarietà piagnucolosa ad una famiglia di stranieri, mentre quando sono gli stranieri e i rom ad occupare le case degli italiani nessuno piange e tutti girano la testa dall’altra parte, a partire dall’inquilina del Campidoglio”.

Ne avessimo avuto bisogno, di un caso allegorico che rappresentasse quella orribile combinazione di razzismo e disperazione, illegalità e legittimi bisogni, malavita e esistenze al di sotto della vita sopportabile, apparente indifferenza dei poteri e indole elitaria a speculare sul malessere, ricatti e ritorsioni, minacce dei racket e solidarietà pelosa di svariati militanti, non avremmo potuto trovare niente di più efficace

Eppure anche oggi si spreca la moralona di chi si sente a posto con coscienza e tronfio perbenismo  imputando la miscela velenosa alla distanza che separa potere e ceto dirigente dalla realtà, quella che sta in basso, sconosciuta a quelli che stanno in alto.

Magari fosse così. I miasmi tossici di Mafia Capitale hanno invece dimostrato come le periferie ridotte a bubboni e cancrena non solo fossero ben noti, ma oggetto di scorrerie in cerca di consensi, mercato nemmeno tanto clandestino per l’assoldamento della manovalanza criminale e per lo spaccio di varie tipologie di droga, xenofobia e rancore compresi, bacino privilegiato cui attingere per la diffusione di barbarici malumori e per consolidare un’economia parallela  malavitosa.

Ma non basta, perché siamo autorizzati a sospettare che dietro a certi incendi e certi fermenti ci sia anche la pressione di chi ha mosso per decenni i fantocci del Campidoglio, costruttori e immobiliaristi, suggeritori del gioco delle deroghe e licenze che ha animato una urbanistica intesa soltanto come contesto negoziale per rispondere a appetiti speculativi, non contenti delle migliaia di appartamenti vuoti, spesso non finiti e già fatiscenti, con i quali hanno partecipato all’orgia della bolla finanziaria, consolidando relazioni corrotte e corruttrici con la macchina amministrativa locale e nazionale.

Case, quelle, vuote ma indisponibili, oggetto della comunicazione politica mutuata dal bel tomo catapultato dalla sala chirurgica all’obitorio dove giace il sogno di una moderna capitale – che chissà perché non se lo sono tenuto – tramite annunci di apposite commissioni di indagini e esplicita volontà repressiva esercitata con il simbolico taglio delle utenze a gente sfrattata da una decina d’anni e costretta all’abusivismo delle occupazioni. Perché anche grazie al succedersi di governi nazionali che hanno promosso sacco del territorio e consumo di suolo tramite apposite “riforme” volte a sbloccare l’Italia col cemento, ben più della messa in sicurezza di ambiente, scuole, patrimonio residenziale, ben più dello sviluppo di servizi e infrastrutture utili, era improrogabile costruire, edificare, tirar su falansteri e ponti, realizzare autostrade e ferrovie destinate a sostituire le piramidi nei loro sogni megalomani e a concretizzare quelli più concreti e terreni dei loro padroni, tramite mattoni oppure le cartacce o le transazioni aeree di fondi e azioni.

Quelli che hanno votato Raggi unicamente per rompere la transizione dinastica della soggezione  ai signori della rendita, del cementi e del mattone, quelli che si sono sentiti confortati del No alle Olimpiadi, segno non di impotenza ma di razionale valutazione, non possono  certo accontentarsi della tardiva e confusa “solidarietà” di un sindaco: ben altro ci vuole, contro fascisti e razzisti,  che pure sconta la pressione di una eredità pesantissima.

Ma dopo sei mesi non ci sono più giustificazioni per non aver nemmeno infilato la chiave di accensione nella macchina dell’amministrazione, non ci sono nemmeno spiegazioni plausibili per tanta spocchiosa inadeguatezza, dietro la quale non si intravvede nemmeno la “demoniaca”  influenza del comico manipolatore, ma solo una evidente incapacità di decisione e relazioni, se è vero che traballa la poltrona dell’unico assessore autorevole, preparato e competente, reo di perseguire una politica di governo del territorio fatta di osservanza di obiettivi di corretta programmazione, di rispetto delle regole e della legalità, di contenimenti dei costi, dell’adeguamento della pianificazione, compresa quella dei trasporti, alle esigenze dei cittadini meno “fortunati” come nel caso della deviazione della Metro C a Corviale.

Certo c’è anche razzismo naturale o artificialmente alimentato, certo c’è anche xenofobia spontanea o acconciamente nutrita dietro alle barricate di San Basilio. che poi assomiglia tanto alle incursioni di probi indigeni a Milano contro luoghi di indegna accoglienza, alle riserve eleganti della piccola Atene di Capalbio e di cento altri scenari dove si consuma intolleranza, dove sindaci più o meno votati si muovono- come ubriachi. Ma c’è anche l’eterna abilità di chi comanda su troni o dietro a sportelli di sostentare il culto di un nemico per legittimare una guerra che schieri di fronte eserciti di diseredati, straccioni, umiliati e talmente offesi da non aver più niente da perdere. Di solito il modo migliore che hanno sperimentato tiranni, monarchi, ,a pure insignificanti premierucci e i loro generali, quello più efficace è il mal governo, il laissez faire in modo che la malattia si diffonda, la trascuratezza per far sì che qualsiasi crisi diventi una emergenza che giustifichi pugno di ferro e maniere forti, l’arbitrarietà nelle elargizione di benefici in modo che si perda il senso del diritto e perfino quello del merito.

Per questo non basta la soddisfazione per averne abbattuto uno, se troppi restano immutati anche a livello di scala. Per questo non si può dar credito a progetti di capitalismo addomesticato da vaucher e rinunce. Per questo il No deve diventare quotidiana azione di sorveglianza e vigilanza, oltre che di produzione di idee perché le scelte ridiventino nostre, responsabili, libere.