disoccupatoLe statistiche del lavoro, così come sono imposte dai padroni del vapore che dettano legge anche nel campo dei numeri, sono come il gatto di Schrödinger che è contemporaneamente morto e vivo: infatti l’occupazione e la disoccupazione possono crescere o diminuire nello stesso tempo costituendo un paradosso logico che tuttavia può essere scelto “a la carte” e giocato a seconda delle necessità. In questa lunga vigilia referendaria un governo vacuo e fallimentare tenta di raccogliere voti a suo favore facendo strombazzare in tv e sulla stampa  una diminuzione della disoccupazione, sia pure così lieve da poter essere messa nella lunga lista dei “numerini” miserabili ai quali governi altrettanto miserabili cercano di tranquillizzare e simulare un possibile ritorno alla situazione precrisi impossibile nel contesto fattuale e ideologico contemporaneo

Così grande giubilo per il fatto che il tasso di disoccupazione è maestosamente sceso dell’0,1 % , dopo essere impetuosamente aumentato del doppio a settembre, fatto peraltro opportunamente dimenticato dalla stampa mainstream. Perciò il tasso di disoccupazione si attesta ora sull’ 11,6% ( 36, 4% se si considerano i giovani)  Ma naturalmente è verità apparente e una balla di sostanza: l’Istat fa sapere infatti che ad “ottobre la stima degli occupati cala lievemente rispetto a settembre (-,1%, pari a -30 mila unità). La flessione è attribuibile alle donne a fronte di una sostanziale stabilità per gli uomini e riguarda tutte le classi di età ad eccezione degli ultracinquantenni. Diminuiscono, in questo mese, i dipendenti a tempo indeterminato, mentre crescono quelli a termine e restano stabili gli indipendenti. Il tasso di occupazione è pari al 57,2%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto a settembre”. Questo tenendo conto della grottesca idea di considerare occupato chi ha svolto un’ora di lavoro nella settimana precedente la rilevazione.

Allora  come si spiega  il calo di occupazione e al medesimo tempo della disoccipazione? Un indizio viene dal fatto che se gli occupati sulla popolazione dai 15 ai 64 anni sono il 57,2% i senza lavoro dovrebbero essere il 42, 8% e non l’11, 6 per cento. Ma in effetti il bacino sul quale viene considerata la disoccupazione è molto più ristretto e si riferisce solo alla cifra degli iscritti alle agenzie del lavoro, per cui se gente scoraggiata dall’assenza di opportunità o dalle condizioni inaccettabili delle stesse, sceglie altre strade, entra nella fascia dei cosiddetti inattivi, ancorché cerchi lavoro fuori dai confini, si serva delle proprie conoscenze, aspetti l’occasione per mettersi in proprio, oppure si arrenda al nero, automaticamente la disoccupazione tende a diminuire nella statistica, anche se nella realtà aumenta. Infatti secondo l’Istat gli inattivi crescono dello 0,2% e sono adesso il 35,1 % della popolazione in età da lavoro. Più crescono gli inattivi più diminuiscono i disoccupati, tanto che basta sommare ( l’operazione è un po’ grossolana, ma efficace) le percentuali degli uni e degli altri per avere un’ idea realistica dell’area di occupazione reale, la quale visti i criteri paradossali con cui si considera al lavoro una persona, ( basta pensare alla compravendita dei voucher) è anche minore di quella ufficiale. Un sistema di calcolo che serve ad avere sempre e comunque un dato positivo da sbandierare all’opinione pubblica.

Tutto questo intrecciarsi di numeri che pitagoricamente sono alle fondamenta del mondo sgorgato dal pensiero unico, ormai introiettato persino dai sindacati, dimostra come stabilendo certe regole e certi criteri si può sopraffare la realtà e piegarla alla necessità delle rappresentazioni generali o di quelle immediate, dettate da stati di necessità, contingente come nel caso di Renzi e la sua corte dei miracoli alle prese con il referendum. Dire No a lui è anche un po’ opporsi a queste logiche dei numeri al servizio del liberismo.