Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quando si dice il paradosso. Amianto in greco vuol dire immacolato o meglio ancora, incorruttibile. Ma asbesto invece, significa perpetuo, inestinguibile. E pare  lo sia anche la scia di lutti e vergogna che si lascia dietro.

Mentre invece non lo saranno i processi  di chi ha seminato veleni, malattia morte, grazie alla prescrizione che, benevola coi padroni, farà definitiva ingiustizia. Ha già cominciato:  l’imprenditore svizzero Schmidheiny era già stato assolto per prescrizione nel  primo processo Eternit, in cui rispondeva di disastro doloso  per oltre 2000 morti   e per una vittima in più, l’ambiente.    E ora il secondo  procedimento   tornerà alla fase delle indagini preliminari, l’accusa per il magnate di aver provocato la morte da mesotelioma pleurico di 258 persone   – il tumore ai polmoni   chi è stato esposto alle fibre –   va derubricata da omicidio volontario a colposo, sia pure “aggravato dalla previsione dell’evento”, e si  frantuma in quattro diversi tribunali d’Italia: Torino, Reggio Emilia, Vercelli e Napoli.  Restano a giudizio, a Torino, solo due casi di morte da amianto, per i quali la prossima udienza è stata fissata il 14 giugno. A Vercelli, competente per la sede di Casale Monferrato della multinazionale, sono stati trasmessi 243 casi; 8 a Napoli (per Bagnoli), 2 a Reggio Emilia (per Rubiera). Tre casi sono stati invece prescritti.

Una vittoria della verità, ha esultato l’avvocato della difesa, sul teorema secondo il quale chi sta in alto non può non sapere cosa succede in basso: “La costruzione dell’accusa é crollata, il processo per omicidio colposo sarà più sereno ma emergerà la totale innocenza del mio assistito. Schmidheiny era a capo di un grande gruppo industriale e non era presente nei singoli stabilimenti. A lui risultava che la soglia di polverosità era al di sotto dei limiti imposti dalle norme”. Ecco, è stato un errore umano, ma da attribuire alle intendenze, a chi doveva controllare, sorvegliare, vigilare. Lo vadano a dire a quelli di Casale dove ogni settimana c’è una vittima di mesotelioma, lo vadano a dire a chi aspetta  da 15 anni giustizia e non si è accontentato del risarcimento  proposto; l’offerta del diavolo. Lo vadano a dire a chi ha lavorato o ha abitato vicino a quella fabbrica, come a Ivrea, come a Taranto, come alla Montefibre di Acerra, come in tanti santuari d’impresa italiana dove o sacerdoti del ricatto, del profitto e dell’intimidazione hanno officiati i riti in memoria del lavoro, dove la preghiera d’obbligo è il de profundis per i morti e per diritti e conquiste e sicurezza, quando l’unica che resta è la fatica per la paga.

Invece bisogna andarlo a dire a chi  è depositario – e lo interpreta e propaga – di quel principio secondo il quale il profitto giustifica i mezzi tanto che il delitto compiuto in suo nome deve avere tolleranza, indulgenza e infine perdono. Di quell’altro principio secondo il quale l’omicidio di uno non va in prescrizione, quello di tanti, per ragion di mercato,  invece si, perché si tratta di un effetto collaterale, come le bombe sui civili quando si esporta democrazia. E di quell’altro ancora che ci vuole convincere che i padroni sia pure illuminati, hanno troppe faccende da sbrigare, tra consigli di amministrazione, esportazione di capitali, brighe per evadere le tasse, conta dei dividendi e roulette finanziaria, per badare a tutto e delegano, delegano, fiduciosi che i sottoposti attuino i valori che ispirano la loro utopia imprenditoriale.

È quello che ha sempre sostenuto  Schmidheiny occupato a svolgere l’autorevoli incarico di    consigliere capo per gli affari e l’industria per il segretario generale della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo (UNCED). Alla faccia, di presidente onorario del Word Business Council per lo sviluppo sostenibile, fondatore di un premio prestigioso che ha consegnato a Prodi e Kofi Annan in sollucchero. È quello che hanno detto i fratelli De Benedetti, i Riva, quelli della Thyssen, riconosciuti per acclamazione vittime del dovere aziendale da una claque guidata dalla Marcegaglia.

Non sapevo, è una frase ricorrente che si è sentita pronunciare nei secoli, vicino a teatri di crimini, delitti, stragi. Non sapevo, dicono gli assassini, che non vanno nemmeno a vedere la voce Eternit su Wikipedia, incuranti che è da poco dopo il brevetto Eternit, che risale al 1901, che sorsero i primi dubbi, che in Inghilterra ricerche mediche imposero delle limitazioni all’so nel 1930, che in Germania in piena guerra si stabilì che dovessero essere offerti dei risarcimenti ai malati di mesotelioma, che sia pure con colpevole ritardo una legge italiana  vieta l’attività di estrazione, importazione ed esportazione, produzione e commercializzazione dell’amianto e dei prodotti contenenti amianto.

Adesso qualcuno dice ancora una volta che l’ottimo e nemico del bene, che Guariniello – che con la sua impostazione del processo “Eternit” ed “Eternit bis” ha cercato (invano) di innovare la giurisprudenza sulle morti da lavoro – ha voluto troppo, per protagonismo, vanità, delirio di onnipotenza, chiedendo l’omicidio volontario. Lo vadano a dire a quelli dell’Ilva, lo vadano a dire ai tre marittimi morti ieri, che di questi tempi bisogna accontentarsi,  che mica la giustizia è uguale per tutti, che è necessario mostrarsi ragionevoli e arrendevoli per non scoraggiare gli investitori, che per certi delitti l’unico colpevole è il destino baro, che se sei povero te lo sei meritato, perché non hai ambizione, talento, volontà, tenacia, che per fare carriera ma anche solo per tenersi un posto bisogna chinare la testa, dire si, al ricatto, alla sopraffazione, al rischio, alla malattia, sempre si. E invece noi diciamo No.