Anna Lombroso per il Simplicissimus

Gran successo di critica e di pubblico per l’iniziativa della terza carica dello Stato che ha deciso di pubblicare con tanto di nomi, i messaggi carichi di violenza oscena rivolti contro di lei in rete da esponenti non si sa se addirittura organizzati, ma certo riconducibili al vecchio e collaudato squadrismo fascista, con l’immancabile corredo di sessismo e maschilismo da frustrati con ansia da prestazione, collezionisti di rivistine porno e  di varie paramilitari e parasadiche.

Anche per via di evidenti segnali sempre riconducibili a quella tradizione di ignoranza e viltà, intimidazione cialtrona e pusillanime, appare chiaro a tutti che non si tratta di attacchi politici rivolti a una rappresentante delle istituzioni, ma di un distillato purissimo di codarda sopraffazione scurrile, sgrammaticata, puerile. Ci sono nickname a  proteggere anonimati ininfluenti, c’è qualche nome  a confermare  uno dei più corrivi stereotipi di Eva contro Eva, ci sono maschi che si attizzano a esternare le loro pulsioni più ferine accanendosi su un’immagine di donna per di più influente, celebrata, che ferisce doppiamente il loro  virilismo virtuale e la loro impotenza reale, insieme alla loro insoddisfazione di sfigati. Anche se a dir la verità frasi così, altrettanto turpi e altrettanto bestiali hanno corredato e commentato anche le affermazioni e i post di blogger felici e sconosciute, come me ad esempio.

L’augusta giustiziera ha motivato  così la sua scelta  di erigere  una gogna  social network più frequentato,  con l’intento di richiamare alla responsabilità e alla dissociazione: «Voglio che le madri, i colleghi, gli amici, i datori di lavoro di queste persone, sappiano come si esprimono, perché chi scrive queste cose ha una carica di aggressività a mio avviso pericolosa».   Un  tribunale speciale, insomma,  che da personale è diventato pubblico, anzi istituzionale, “in nome e per conto di tutte quelle donne che non hanno la possibilità o non si sentono di farlo”.

Poche le voci critiche dell’iniziativa tra chi teme  che si possa favorire anche così  bavaglio,  censura e regolamentazione autoritaria della rete, colpendo la pistola, anzi il poligono di tiro,  ancora prima della mano che la muove. Innumerevoli invece quelle di consenso e di ammirazione per il coraggio di combattere ad armi pari come un’audace pistolera quelli che sanno parlare solo il linguaggio dell’odio.  E infatti si sprecano i j’accuse e la corsa ai cattivi maestri: è colpa della legittimazione dell’insulto avviata dalla retorica del vaffanculo di Grillo, macché ha cominciato la Lega, coi Calderoli e i Borghezio. Come se non avesse contribuito la retorica sciupafemmine del grande puttaniere. Come se non fosse   comunque nel solco dell’ideologia mussoliniana, con l’autorizzazione a ogni forma di sopraffazione violenta contro le donne e pure gli  uomini, il pensiero, la libertà. Come se prima non ci fossero stati secoli non proprio garbati  ispirati alla punizione di comportamenti e atteggiamenti femminili inappropriati in contrasto con la morale della chiesa e con una cultura patriarcale, da reprimere con internamenti, pene corporali, prediche e pastorali.

Ecco se devo dirla tutta sono indignata certamente dai prodotti antichi e nuovi  della fabbrica della violenza, dell’intimidazione, della sopraffazione, dello sfruttamento, che recano sempre riconoscibili marchi doc, quelli dei fascismo, dell’autoritarismo, del razzismo, della xenofobia. Sono ancora più indignata dai comportamenti e dalle azioni che si ispirano a quei principi, anche quando usano le maniere educate della sobrietà, del bon ton, del garbo sicchè rifiuto, cancellazione di diritti, di cure e assistenza, precarietà, penalizzazione delle donne rimandate a casa a sostituire servizi impoveriti con consiglio di figliare per la patria e la civiltà superiore, hanno il tono cortese della ragionevolezza, del compito e responsabile invito a prendere atto della condizione di necessità.

Ma quello che ha davvero sbalordisce in questo giustizialismo faidate è che a nessuno sia venuto in mente di obiettare sulla scelta della terza carica dello Stato, eletta in un Parlamento illegittimo è vero, ma che conserva alcune qualifiche, alcune prerogative e molti doveri,   venuta meno al compito più elementare che l’incarico le attribuisce. Quello di  dimostrare negli atti di rispettare i principi di legalità che devono ispirare il suo status di cittadina ma prima ancora di rappresentante del popolo, denunciando  un fenomeno – e non solo perché se ne sente personalmente oltraggiata, colpita e offesa nella sua persona – attraverso le forme, i modi e gli strumenti investigativi, giudiziari dei quali proprio lei dovrebbe essere custode attenta. Da preferire.  sempre e comunque,  e non solo per fugare la sensazione tossica di una autorizzazione a un Far West  nel quale la sceriffa vince per mezzi, palcoscenico e risonanza superiore, senza incidere affatto su cultura, convinzioni, pregiudizi e stereotipi. Ma anche e soprattutto perché la continua sollecitazione alla denuncia, la raccomandazione alle donne profanate, violate, bastonate, umiliate, a mostrare coraggio e dignità non sia un optional per celebri e blasonati e non si riduca a un mantra da ripetere in occasione di “festività” e commemorazioni liturgiche nel ricordo di quando avevamo la speranza di avere diritto a giustizia, civiltà, uguaglianza, libertà, amore.