Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ve la ricordate vero la storia narrata sui sussidiari con particolari cruenti e immagini truculenti. L’empio codardo che  grida ai suoi scherani    ammazzatelo chillo poltrone… e poiché la soldataglia non osa alzare le armi sul nemico ferito e disarmato, si accanisce su di lui, che, esalando l’ultimo respiro, gli rivolge con disprezzo le ultime parole: vile tu uccidi un uomo morto.

Non so voi, ma a volte quelle rivisitazioni storiche mi paiono benedette, magari perché fanno giustizia, o vendetta, di stereotipi  e pregiudizi. Di questi tempi tutto sommato non so se ci schiereremmo senza dubbi e remore per il valoroso fiorentino Ferrucci contro lo sbracato mercenario calabrese, che poi tutti e due a servizio di padroni erano.

A parti invertite  l’odierno Maramaldo viene dalla città del Giglio e imperversa di preferenza, ma non solo, agli ordini di un impero feudale, contro la gente del Sud: riparazione e memoria di morti, malati, bambini a rischio di una città ricattata fino alla lacerazione, spinta a una guerra velenosa tra interessi e ragioni che non dovrebbero essere divergenti, offesa nei diritti, nel lavoro, nella salute fino al martirio. E infatti  sarebbe venuta proprio da Palazzo Chigi la decisione di soprassedere sull’erogazione in manovra di cinquanta milioni per finanziare l’assunzione di medici, l’acquisto di attrezzature sanitarie, le riconversioni ospedaliere in deroga al decreto ministeriale 70, così da fronteggiare l’emergenza sanitaria registrata da uno studio realizzato dalla Regione Puglia sugli effetti dei veleni dell’acciaieria.

A rivelarlo non è stato nessuno dell’accozzaglia, della plebaglia, della marmaglia del No, macché. La denuncia è del fedelissimo Boccia presidente della Commissione Bilancio che in piena notte è andato a bussare alle porte del ministero di Padoan chiedendo ragione della carognata e si è sentito rispondere che malgrado il parere favorevole dei sottosegretari De Vincenti e Morando, del capogruppo Pd Rosato, era stato proprio Palazzo Chigi a opporsi. Tanto che il segretario del partito di Renzi a Taranto, a conferma delle convinzioni politiche e morali che aggregano i militanti intorno al Si, ha dichiarato di voler sospendere la campagna referendaria per protesta.

Si vede che anche lui, prima di questa rivelazione, aveva creduto alla maramalda in tacchi alti che aveva promesso sfrontatamente, proprio come un tempo Berlusconi, che la vittoria del Si avrebbe coinciso con quella contro il cancro grazie agli effetti demiurgici  della semplificazione, al potere risanatore e purificatore delle nuove e più efficienti relazioni tra stato, esecutivo e regioni, al primato di trasparenza ed equità che ispira l’azione di un governo del quale è doveroso  perpetuare la permanenza in vita.

Certo 50 milioni non sono risolutivi, 50 milioni non sono tanti, poco meno dei fondi stanziati per la Ryder Cup di Golf, come è stato sottolineato dal Fatto, meno della metà di un F35.

Ma la scelta di assegnarli prima e di non assegnarli poi ha un valore simbolico forte.

Darli significava riconoscere la attendibilità del rapporto della Regione Puglia sulla correlazione tra le emissioni dell’Ilva e i fenomeni di malattia e morte a Taranto. L’indagine, che ha preso in considerazione un campione di 321.356 persone residenti, tra il 1 gennaio 1998 ed il 31 dicembre 2010, nei comuni di Taranto, Massafra e Statte, seguendoli fino al 31 dicembre 2014, ovvero fino alla data di morte o di emigrazione, conferma i risultati degli studi precedenti e «depone a favore dell’esistenza di una relazione di causa-effetto tra emissioni industriali e danno sanitario nell’area». La latenza temporale tra esposizione ed esiti sanitari appare breve, a indicare «la possibilità di un guadagno sanitario immediato a seguito di interventi di prevenzione ambientale».. Significava riconoscere che quella emergenza era originata da un crimine di Stato.

E significava ammettere che era giusta e sacrosanta la decisione della Regione, reclamata dai tarantini umiliati e offesi, intimiditi e minacciati   di impugnare  dinanzi alla Corte Costituzionale l’ultimo decreto legge Ilva «per lesione del principio di leale collaborazione che dovrebbe ispirare l’operato del legislatore», quel caposaldo che innerva la nostra Carta costituzionale e che dovrebbe salvaguardare l’interesse generale dall’oltraggio dei delitti contro i cittadini, della loro impunità, di una immunità che, tramite un’applicazione ristretta della legge, come fosse un’operazione aritmetica, esonera la politica dalle responsabilità civili, sociali, politiche, morali, sia che delinquano, che perseguano ambizioni o interessi personali,  sia che esercitino le loro funzioni al servizio di ceti padronali, industriali che finiscono per sconfinare nell’attività criminale.

Si sono accorti di essersi trovati casualmente, per motivi elettoralistici e propagandistici, per una volta dalla parte giusta. Ma non gli si addice e non gli piace, tanto è vero che dopo aver rinviato al Senato, con la speranza che sia quello “loro”, allineato e prono, una misura più efficace , che “consentirà di approfondire ulteriormente le modalità per far fronte alle criticità della sanità tarantina”, hanno rialzato la testa, anzi le mani per menare la sanità pugliese, la stessa della quale è stato un boss celebratissimo il loro assessore ed ex senatore Tedesco:  “E’ assolutamente  squallido strumentalizzare  la salute dei tarantini, in specie quella dei bambini, per coprire la più totale inadeguatezza del servizio sanitario pugliese“, ha rintuzzato il De Vincenti.

Un tempo, quando erano di moda il libro Cuore e i sussidiari con le imprese di Ferrucci e Fieramosca, alle élite, al ceto dirigente, ai politici si chiedeva di dare il buon esempio. Adesso viene da accontentarsi che non diano quello di viltà, squallore, infamia.