Anna Lombroso per il Simplicissimus

E dire che era stato proprio lui a prodursi in una lunga intervista, intitolata “Il Silenzio degli intellettuali”, nella quale esplorava quella defezione di quella cerchia di figure storiche  che sentono l’obbligo sociale di non limitarsi ad un uso privato o accademico del proprio sapere, ma  di metterlo a disposizione in forma militante del destino civile del paese, orientando opinione e atteggiamenti verso scelte partecipi e progressiste.

È che a volte invece il silenzio è d’oro, e quando proprio un intellettuale abituato all’uso di mondo influente, assolto per auto attribuzione, pronuncia con sussiego ineffabili banalità sia pure dettate dal candore e dalla rivendicazione di innocenza di chi sta in enclave riparate, lontano dalle miserie in una torre eburnea, ecco, quando costui casca da quella torre  nemmeno fosse un pero, fa più rumore di noi gente comune.

Certo Asor Rosa, che di lui si tratta, ci aveva già stupito per esternazioni altrettanto dolcemente appartenenti alle geografie del luogo comune, del conformismo pop, proferite da esili dorati e remoti nelle campagne toscane, nei quali veniva improvvisamente sorpreso dall’orrenda rivelazione sbalorditiva e imprevedibile che amministratori “rossi” per tradizione promuovessero speculazioni oscene, manomissione del territorio e magari anche che accettassero di buon grado che territori esclusivi venissero minacciati da presenze ingombranti, che dovrebbero invece essere oggetto di negoziazioni con residenti speciali e ospiti eccellenti. Più ancora aveva sorpreso una sua tentazione soavemente golpista, quando aveva indirettamente dato credito alla sconcertante ipotesi di una benefica presa del  potere da parte di carabinieri, finanzieri e militari in difesa della democrazia minacciata dal cavaliere.

Ma una sua pregevole denuncia sulle pagine di Repubblica dimostra che quella deliziosa e fanciullesca ingenuità ha assunto i tratti di una patologia che dovrebbe consigliare appunto un maturo silenzio, quando il professore, nel compiangere una Roma “divorata dalla massa turistica e dal pellegrinare crescente, mentre i  cittadini si aggirano come estranei, anzi, nella maggior parte dei casi, come nemici da combattere e da estromettere, in questo ambiente sempre più ostile”, alla cui resurrezione servirebbe “una grande coalizione culturale per salvarla dal degrado”, deplora che neppure il Vaticano voglia salvare la Città Eterna da morte sicure per saccheggio, degrado, invasioni, mercimonio, allegoricamente simboleggiato dall’apertura di un locale fast food, precisamente un McDonald’s, nella zona di Borgo e di San Pietro. Si tratta di un locale gigantesco (538 metri quadri), destinato a rimanere aperto dall’inizio del giorno fino a notte fonda, nel cuore del rione Borgo, vicinissimo al Vaticano e a San Pietro, a distanza, ha misurato l’attento cronista, di settantadue passi dalla porta di Sant’Anna,  a venti passi dal  Passetto di Borgo, e a cinquanta dal colonnato.

Ma che vita grama poveruomo, la sua, continuamente disilluso da poteri autorevoli cui aveva attribuito fiduciosamente facoltà salvifiche, carabinieri che menano Cucchi, finanzieri collusi con la cordate corruttrici delle grandi opere, ammiragli in odor di tangenti, amministratori eletti che agiscono contro l’interesse generale, e non ultima la Chiesa che accoglie generosamente i mercanti nei suoi templi.

Come se da quella prima celebre denuncia e poi via via e in particolare a Roma non avessimo sempre subito la pressione della sacra e profana alleanza tra Dio e dio Mercato, come se lo Ior e il caso Calvi o Sindona fossero solo un tema scabroso e comparse suggestive creati da sceneggiatori  Tv o da emuli di Dan Brown, come se il tallone di ferro non avesse mai pesato sulle scelte urbanistiche e economiche della città e le chiavi d’oro e d’argento non avessero aperto cuori e porte di decisori, influenti, banchieri, costruttori. Come se dalla via Franchigena a Gerusalemme, Roma non fosse  stata il centro propulsore e il crocevia dell’infallibile brand del turismo, al servizio, pastorale e missionario, dell’accoglienza di pellegrini grazie alla miracolosa moltiplicazione di ostelli, hotel, case generalizie, B&B, meublé, monachine solerti e fraticelli operosi, rigorosamente senza Ici e senza tasse, aperti al popolo dei pellegrini, ma non a quello del profughi. E come se tutto questo non fosse che uno degli effetti di un vincolo indissolubile, anche senza bisogno del rinnovo di patti lateranensi, che lega i protagonisti di una cupola, anche senza bisogno che appaia il Cupolone, che si regge su profitto, sfruttamento, speculazione,  dissipazione di risorse e saccheggio di territori, popoli e nazioni, controllo dell’informazione, commercio di armi e individui, disuguaglianze feroci e violenze incrementate anche in nome della fede, che comunque di fede si tratta, semmai cambia la divinità, che sia celeste, o verde come i dollari.

Tanto che i suoi templi, McDonald’s o padiglioni dell’Expo, grandi paratie o ponti scivolosi, valichi o muri, aeroporti e treni futuristi, vengono promossi sotto forma di sacrificio necessario a celebrare la loro religione in nome del benessere e delle magnifiche sorti del progresso, secondo liturgie dalle quali siamo comunque esclusi, salvo quando si deve mettere mano alla borsa per contribuire con la doverosa elemosina. Devo deludere Asor Rosa, però, nemmeno quella ci esonera dall’inferno in terra, né ci aprirà le porte del paradiso.