populismoUna volta si diceva che ne uccide più la penna  che la spada. Ed è vero pure oggi anche se le lame hanno lasciato il posto ad ordigni ben più infernali perché le tastiere, i mezzi di diffusione del loro prodotto e le tecniche di persuasione suggerite dalla psicologia sperimentale e dalle neuroscienze sono divenuti altrettanto letali. Lo possiamo constatare in questi giorni, anzi in questo intero anno nel quale si è palesata per la prima volta in maniera chiara e diffusa l’opposizione al globalismo neoliberista e alla sua rete di potere: ciò che non è conforme viene svuotato di ogni specificità politica e di ogni concretezza storica diventando genericamente populismo sia che si tratti del Brexit o di Trump o della svolta filorussa in Bulgaria e Moldavia, per finire al referendum costituzionale italiano.

Paradossalmente l’uso del termine populismo esprime quella stessa vaghezza e ambiguità per descrivere la quale il termine stesso è stato inventato. Così nulla è più populista del populismo che alla fine significa solo opposizione alle filosofie, alle pratiche, agli strumenti del liberismo globale e del suo progetto oligarchico, da qualunque parte arrivino. Una prova del nove lo si ha dal patetico e penoso appello dei sedicenti intellettuali europei che chiama alla mobilitazione contro i populisti firmato da vecchi e dimenticati tromboni come Felipe Gonzales, personaggini di provincia come Mercedes Bresso e Sandro Gozi, falsi profeti a pagamento e plagiari come Saviano, fedeli servitori del potere come Cohn Bendit, un sostenitore delle elezioni a sorteggio come David Van Reybrouck, insomma un indigeribile fritto misto di valletti marginali del Benelux e dello Stivale, spesso espressione della destra, tutti fan del Sì per quanto riguarda gli italiani, che esprime la preoccupazione per le sorti dell’Europa dopo le elezioni americane, ignari di svelare così il mefitico intreccio fra la Ue e clan finanziari multinazionali.

Ma ancora una volta il populismo rimane come un ballon d’essai inafferrabile, un drago invisibile contro cui gli improvvisati San Giorgio partono lancia in resta. Ed è ovvio che sia così perché il populismo non è nient’altro che il risultato di un’operazione linguistica operata dai media che potremmo definire sottrazione definitoria. Ossia un termine che va bene per qualsiasi occasione e scopo, utile a creare qualsiasi correlazione illusoria, che ha senso solo come formula per esorcizzare un male oscuro del quale non si conoscono né si vogliono specificare i caratteri anche per non svelare i propri. E’ una tecnica della persuasione uguale contraria a quella in cui invece si trova una parola per simulare la creazione e la nuova desiderabilità di un oggetto che invece esiste già: un esempio è l’invenzione  di smartphone per designare qualcosa di già presente, ovvero il telefonino evoluto, ma che aveva bisogno di un nome nuovo  per scalare le vendite e creare le premesse di un bizzarro e assillante universo commerciale. In questo caso si ha un’addizione definitoria.

Quindi non è un caso se la parola populismo, nata originariamente per definire in maniera negativa posizioni in qualche modo legate al socialismo, è stato usato praticamente ad ampio raggio: populista era il Partito del Popolo che negli Usa si opponeva alle grandi concentrazioni industriali e chiedeva elezioni dirette per presidente e Senato invece del sistema dei grandi elettori, ma populista sono stati  definiti anche Peron, Cardenas , Vargas, Chavez, Nasser e Nehru, populisti erano sia i giacobini, sia successivamente i bonapartisti (compresi anche quelli con Napoleone III°), populisti ex post i seguaci di Rousseau, populista il New Deal di Roosevelt, populista l’inventore delle pratiche di ginnastica Friedrich Jahn e lo storico Michelet, ma persino Obama è stato accusato di populismo, così come Bush per arrivare a Di Pietro e ai Cinque stelle. Questo per citare solo alcuni casi. Del resto anche sfogliando i vocabolari si intuisce questa dimensione inespressa e soppressa della parola: “atteggiamento ideologico che, sulla base di princìpi e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi” (Treccani) oppure “atteggiamento o movimento politico, sociale o culturale che tende all’elevamento delle classi più povere, senza riferimento a una specifica forma di socialismo e a una precisa impostazione dottrinale”.

Questo ci porta però a una definizione concreta che va molto oltre quelle accezioni lideristiche che del resto sono stimolate anche dalle posizioni liberiste e ci avviciniamo a quella data da Daniele Albertazzi e Duncan McDonnell, cui si deve un’opera fondamentale in materia: “una ideologia secondo la quale al popolo  si contrappongono delle elites e una serie di nemici che attentano ai diritti, ai valori, ai beni, l’identità e alla possibilità di esprimersi del popolo sovrano”. In fondo è populista anche la normale dialettica democratica e si capisce bene perché alcuni sguatteri del potere considerino ora populista anche il suffragio universale.

Mi permetto però di trarre da tutto questo una nuova definizione totalmente attuale: con populismo si intende l’insieme di posizioni, forze, personaggi di qualunque posizione che tendono a promettere – a volte sinceramente altre volte strumentalmente –  cose che non sono possibili alla luce del livello di profitti e di potere atteso dalle elites di comando economico – finanziarie oltre che dalle teorizzazioni e dalle geopolitiche che ne derivano. In senso stretto allora i peggiori populisti, cioè quelli che mentono, sono proprio quelli che producono notte sociale, ma promettono l’alba impossibile della ripresa o di un ritorno di tutti alle vacche grasse e in nome di questa falsa promessa, per rimanere in Italia, vi chiedono il sì al referendum. I migliori sono semplicemente quelli che conservano un’idea di ciò che è la politica, la dignità, la speranza, la capacità critica: altro che manifesti  provenienti dalle cucine e dalle cantine di Bruxelles, perché ormai essere sinceramente populisti è un onore ed è in ogni caso meglio che essere servi.