La vittoria di Trump rappresenta una svolta quasi epocale che molti non vedono perché si ostinano a considerare gli eventi con i consueti strumenti, poverissimi e ormai privi di senso, della vecchia politica politicante nella quale conta lo schieramento formale e dove dunque anche un Renzi può dirsi di sinistra pur facendo politiche più a destra di qualunque altro premier comparso negli ultimi vent’anni. Non che Trump non sia un conservatore con tutte le stigmate del ricco maschilista wasp, ma l’etichetta aggravata dalla sua totale mancanza di political correct, non restituisce affatto il significato e le circostanze della sua elezione, che rappresenta la prima decisa inversione di tendenza da Reagan ad oggi. Innanzitutto la sua vittoria contro la Clinton, scelta come killer di Sanders, è un riscatto dell’elettorato contro l’establishment neo liberista che ha messo in campo una gigantesca campagna di demolizione mediatica e una rivincita della triste realtà del lavoro sfruttato, precario, mal pagato e senza tutele sulle balle statistiche obamiane riguardanti la ripresa e l’occupazione. Poi l’ostilità del miliardario alla globalizzazione, alle avventure belliche e allo scontro sulla Russia, completano un quadro di possibile cambiamento rispetto alla situazione di pre guerra mondiale alla quale ci hanno portato i poteri grigi di Washington che da tempo tenevano in pugno l’umbratile Obama.
La situazione è degradata a tal punto che questi segnali di cambiamento sono affidati a un bizzarro conservatore col parrucchino perché il tradimento delle forze socialdemocratiche democratiche e di sinistra è stato tale da aver lasciato tutto lo spazio della rabbia del mondo del lavoro sia operaio che espresso dai ceti medi produttivi alle destre. Come scrive Carlo Formenti tutta la galassia delle sinistre ha “progressivamente concentrato la propria attenzione sulle classi medie colte (creativi, lavoratori della conoscenza, partite iva, ecc.), sui cosiddetti “bisogni immateriali”, e sulla esclusiva rivendicazione di diritti civili (soprattutto individuali) a danno dei diritti sociali, scambiando infine la retorica politically correct (del tutto funzionale alla governance neoliberista) per contestazione antisistema”. Di fatto ciò che si presenta oggi come sinistra o socialdemocrazia è politicamente più a destra del conservatorismo classico che ancora ha qualche residuo istinto dell’era keynesiana.
Ma usciamo dall’astrazione e facciamo un esempio concreto, quasi di giornata, visto che qualcuno ha cominciato a domandarsi che fine farà l’Obamacare, nonostante Trump nel suo programma ufficiale abbia sostenuto di volerlo mantenere. E vediamo in cosa consiste, cosa che pochissimi si sono dati la pena di verificare dando per scontato che si trattasse di un sistema di rivoluzionario intervento pubblico nella sanità. Niente affatto invece: l’Obamacare è totalmente basato su un’idea privatistica e si limita a trasferire i fondi pubblici dal Medicare, ossia un sistema di assicurazione di natura statale per gli anziani che viene di fatto svuotato, al Medicaid ossia a un impianto semi assistenziale bastato sugli enti assicurativi privati, senza che però i singoli stati dell’Unione abbiano l’obbligo di aumentare i contributi. I punti salienti della riforma obamiana sono questi:
- ogni cittadino è l’obbligato ad acquistare una copertura sanitaria individuale ( si tratta comunque di migliaia di dollari l’anno) e chi non lo fa rischia una multa che può arrivare anche a 1000 dollari.
- le assicurazioni non possono negare una polizza a chi abbia patologie croniche e in ogni caso dovranno coprire il 60% delle spese sanitarie
- le aziende con 50 o più impiegati a tempo pieno devono contribuire alla spesa per l’assicurazione dei dipendenti in cambio di esenzioni fiscali
- il servizio per i cittadini indigenti, ovvero il Medicaid, rimane con tutti i suoi limiti, ma viene ampliato attraverso sussidi per l’acquisto di polizze, fino a coprire chiunque guadagni meno del 133% della soglia di povertà definita dal Governo federale (29mila dollari l’anno lordi per una famiglia di quattro persone).
Ora è chiaro che tutto questo non cambia affatto il sistema sanitario nel suo orientamento privatistico che anzi viene ribadito e in qualche modo reso ancor più istituzionale nelle disuguaglianze che comporta tra chi può permettersi una assicurazione di base e chi invece può “comprarsi” cure via via migliori a seconda del reddito. Non si tratta affatto di un cambiamento di paradigma, ma solo di estendere un’opera caritatevole distribuendo sussidi perché anche i neo poveri possano comprarsi una polizza, sia pure di quelle con prestazioni minime. In questo quadro non stupisce che vi sia un’opposizione diffusa e persino inaspettata di fronte a meccanismi che di fatto hanno fatto lievitare e non di poco i premi assicurativi anche di chi ha lavori precari, a fronte tra l’altro di un sistema sanitario la cui logica tutta privata ha fatto schizzare prezzi e costi alle stelle. Insomma la grande riforma di Obama alla fine è solo un ritocchino rispetto a ciò che prevedeva la legge di Lyndon Johnson, ritocchino obbligato per via di una crisi che ha fatto strage di salari e di occupazione in barba alle statiche. Per giunta anche articolata in maniera da sbaraccare quel nucleo minimo di struttura assicurativa pubblica per buttarsi su provvedimenti puramente assistenziali e nel contesto del capitalismo compassionevole di Bush, dove prima si massacra, poi semmai si soccorre.
Dunque la montagna di un sedicente progressismo democratico ha partorito un topolino cieco che solo l’ottusità degli avversari, incapaci di comprendere i significati dell’Obamacare al di là degli strilli dei lobbisti, lo ha trasformato in un campo di battaglia. Tra pance che gorgogliano perché sempre più vuote e teste che non sa più cosa contengano.
Come postilla al mio precedente intevento vorrei contrapporre alla falsa epocalità di eventi politici molto scenografici ma che non modificano nulla di sostanziale la vera epocalità di fenomeni che ci stanno passando sotto il naso e di cui o non ci accorgiamo o a cui non sappiamo assegnare l’importanza epocale che hanno. Farò giusto qualche esempio di questa epocalità vera:
– la progressiva americanizzazione e stravolgimento delle nostre leggi non solo nel senso di recepimento di istituti e concetti giuridici a noi del tutto estranei ma anche di una mutazione genetica dello spirito delle leggi italiane che vengono reinterpretate in senso veterotestamentario conformemente al concetto americano di religione, dura e spietata verso chi sbaglia (altro che la pena serve a rieducare il condannato, come diceva Beccaria!). La recente legge sull’omicidio stradale è una di queste leggi aberranti il cui scopo, non visibile probabilmente neppure a chi le ha votate in parlamento, è quello di riempire le prigioni del nostro paese per garantire enormi profitti a quelle che, in un prossimo futuro, diventeranno mega-aziende private incaricate di gestire le prigioni, esattamente come succede negli Stati Uniti.
– l’eliminazione su scala planetario del diritto alla privacy, che è, per capirci, il diritto di cui gode un pastore ma non il suo gregge, un bambino ma non il suo pesciolino rosso. Un diritto universale da sempre tutelato dagli ordinamenti giuridici di tutto il mondo, perfino nei paesi con regimi dittatoriali, e la cui eliminazione identifica il punto più basso della storia umana, quella in cui l’uomo perde definitivamente la sua libertà e diventa gregge e pesciolino rosso, esposto ai capricci o agli interessi delle decisioni di chi lo sorveglia. Infatti chi sa tutto di noi, può tutto su di noi.
– l’abolizione progressiva del denaro contante e con essa l’obbligo di consegnare volenti o nolenti i nostri soldi ad un sistema bancario di tipo bail-in, con tutti i rischi che questo comporta, e, in più, senza alcuna remunerazione! Senza contare l’ulteriore svantaggio che tutti i nostri movimenti di denaro, anche i più piccoli, saranno indelebilmente tracciati e che il fisco potrà chiederci chiarimenti in merito a certe spese nonché prelevare direttamente gli importi a lui dovuti (anche se a seguito di cartelle pazze) facendo self-service sul nostro conto.
– la fine della possibilità tecnica di evadere sostituita però dalla possibilità di concludere vantaggiosi accordi fiscali attraverso trattative riservate e discrezionali con il fisco. È la nuova corruzione, ma sarà completamente legale. Si noti, tra l’altro, che già dalla finanziaria di quest’anno è stata introdotta una nuova disposizione che garantisce ai ricchi stranieri che trasferiscano la residenza fiscale in Italia una tassazione più vantaggiosa rispetto a quella di cui godono i cittadini italiani. L’Italia, insomma, che tanto ha tuonato in passato contro i paradisi fiscali, diventa essa stessa un paradiso fiscale!
Io devo avere un concetto di “epocale” diverso da quello di cui si parla in questo articolo. Parlare di epocalità della vittoria di Trump in un contesto in cui Trump non ha potuto ancora fare nulla è come quando si diede a Obama il premio Nobel della pace prima ancora di vedere se avrebbe fatto opere di pace (che poi si guardò bene dal fare…).
Mi sembra insomma una specie di riflesso condizionato giornalistico che scatta ogni volta che si ha una sorpresa clamorosa (sorpresa che in questo caso è peraltro da addebitarsi agli stessi giornalisti che hanno talmente pompato la Clinton e smontato Trump al punto da indurre nel pubblico la percezione che i giochi fossero già fatti) e mi piacerebbe che l’epocalità fosse nel “già fatto” piuttosto che nel non avere ancora fatto.
Peraltro, anche quella di Obama fu considerata un’elezione epocale, per la prima volta un nero alla Casa Bianca, e se avesse vinto Hillary si sarebbero scritti fiumi di parole sulla prima donna alla testa degli Stati Uniti, altro fatto di pari epocalità al precedente. Alla fine l’epocalità non prova niente, è semplicemente una formula rituale che consiste nel leggere in fatti normalissimi più di quanto vi sia da leggere. Se Trump è stato scelto evidentemente rispecchiava con le sue idee buona parte delle idee dei repubblicani e siccome repubblicani e democratici sono gli unici a poter fornire candidati alla presidenza non capisco in cosa stia l’epocalità. Il fatto di aver rotto i panieri alla Clinton non è epocalità perché sappiamo benissimo che entrambi i candidati ricevono le donazioni elettorali del big business e ne sono condizionati. Avesse vinto un indipendente forse si sarebbe potuto parlare di epocalità ma sempre nel senso ristretto del “per la prima volta” (per la prima volta un nero, per la prima volta una donna, per la prima volta un indipendente). La politica americana non la fa il presidente e pensare che la faccia è rendere omaggio al concetto del politico leader onnipotente che guida i popoli in trepidante attesa del nuovo Messia, concetto caro sia alle destre che alle sinistre e chiaro veicolo di autoritarismo anti-popolare.
“…Se si escludono industrie high-tech come Ibm, Microsoft ed altre…” Qualche mese fa, dove abito, Intel ha annunciato il resizing (leggi licenziamento) di 12000 unita’. Non detto (ma scoperto tramite i whistleblowers), e’ che la stessa Intel ha contemporaneamente registrato la richiesta di 12000 visti d’immigrazione dall’India.
E nelle mie sporadiche visite al supermercato, sempre piu’ spesso sembra di essere a Bombay o Calcutta e i bianchi d’antan sono comunque in minoranza. Ogni immigrato, tecnicamente, ha diritto a fare immigrare 237 familiari.
A parte tutte le riserve del caso, Trump rappresenta anche l’ultimo, sia pure platonico, grido di aiuto contro la globalizzazione etnica e l’ideologia della meticizzazione imposta dall’alto, (vedi Hollywood, vedi Europa), per non parlare delle sodomie piu’ spietate. Anche per questo, i giornali sionisti vedono in Trump una vittoria dell’anti-semitismo.
“La dipendenza assoluta degli Stati Uniti dai flussi internazionali di capitali risiede nell’abbandono, avvenuto con la fine del gold standard, della produzione manifatturiera e dell’economia reale. Gli americani considerano «spazzatura» le imprese che producono beni dal basso valore aggiunto (sunset industries) e per questo le hanno gradualmente trasferite nei paesi in via di sviluppo, tra questi la Cina. Se si escludono industrie high-tech come Ibm, Microsoft ed altre, il governo Usa ha favorito l’esodo nel settore finanziario del 70% dei posti di lavoro. Divenuto industrialmente vuoto e privo dell’apporto dell’economia reale, il paese vive esclusivamente di economia virtuale. Riesce a produrre soldi soltanto con i capitali stranieri che accedono ai tre mercati interni e poi utilizza i profitti per spennare il resto del mondo. È questo ormai il suo unico sostentamento: chiamiamolo pure American way of life. La superpotenza ha bisogno di assorbire grandi quantità di capitale per sorreggere l’economia nazionale e mantenere il livello di benessere dei cittadini. Pertanto chiunque cerchi di interrompere il flusso in questione è da considerarsi un nemico strategico. Se non comprendiamo questo non possiamo valutare con lucidità la situazione attuale”.
http://contropiano.org/documenti/2015/08/13/in-questa-guerra-la-finanza-conta-piu-delle-portaerei-032339
In questo momento gli USA sono una nazione che utilizza il dollaro per sostenere le sue guerre imperialistiche e, in un corto circuito folle, si serve dell’esercito per imporre il dollaro come moneta degli scambi internazionali.
Per superare questa situazione è necessario ricostituire il sistema industriale che gli Stati Uniti hanno demolito negli anni passati o delocalizzato all’estero e, quindi, mantenere la supremazia mondiale mediante l’economia reale, non stampando moneta e obbligando gli altri Paesi ad usarla sotto la minaccia delle armi.
Quindi l’impegno che attende Trump è quello di modificare dalle fondamenta l’economia americana così come si è strutturata negli ultimi decenni.
E’ una sfida spaventosa che richiede riforme legislative epocali che verranno combattute con tutte le forze dai centri finanziari, dall’apparato militar-industriale e da quella parte del Congresso al loro servizio.
http://www.counterpunch.org/2016/11/09/the-rejection-of-wall-streets-globalization-project-ding-dong-the-witch-is-dead/