clintontrumpComunque vadano a finire le elezioni Usa, una cosa è certa: sia che vinca il riccastro un po’ razzista e misogino, sia la navigata guerrafondaia, semisvanita, disposta a qualunque intrigo, broglio e imbroglio, la democrazia americana esce dal mito accumulatosi a partire dallo psicolabile Toqueville per rivelarsi poi un’altra cosa, quasi una dittatura anonima. O meglio un sistema elitario nel quale il suffragio universale diventa sempre di più un sistema per far confermare al popolo ciò che si vuole e renderlo  a forza di media e di slogan, responsabile e compartecipe di scelte fatte in ristretti vertici. C’è da domandarsi se la natura della democrazia americana nata dall’emigrazione di una setta, costruitasi attorno a un’organizzazione commerciale e fin da subito forgiatasi nel rifiuto di qualsiasi traccia comunitaria e solidale, sia mai stata diversa e aderente alla mitologia che si è sviluppata attorno ad essa, ancor prima che l’epoca imperiale la imponesse come una sorta di religione. Ma comunque sia ciò che è diventata diviene evidente attraverso i candidati messi in campo, dalle primarie dove si designano personalità completamente mediatizzate e dalla campagna vera e propria nella aule, gli scontri, gli insulti, le insinuazioni diventano un elemento puramente rituale senza alcuna incisività politica. Nella quale più che la faccia ci si mette la maschera anche ammesso che tra le due cose ci sia ancora una differenza.

Poi c’è la giornata elettorale che si tiene di martedì affinché non vi possa partecipare la maggior parte dei lavoratori dipendenti (ricordo che in Usa si ha diritto solo a sette giorni di malattia all’anno e zero giorni per la maternità) anche perché il numero molto ridotto di seggi e le operazioni lunghe e complicate per arrivare a mettere la scheda nell’urna di fatto fanno consumare una giornata intera. E’ vero che ormai il voto elettronico si va diffondendo, però con un sistema assolutamente incongruo che prevede la presenza di scrutatori, ma che non permette il riconteggio manuale in caso di dubbio, il che naturalmente espone a qualsiasi maneggio nascosto dentro righe di codice proprietario e dunque non disponibile. Per non parlare del sistema dei grandi elettori che come accadde nel 2000 lascia la scelta del presidente in mano a trattative di corridoio o della novità di questa tornata presidenziale nella quale una pletora di leggi sfornate nella quasi metà degli stati ha ristretto il diritto al voto, escludendo 22 milioni di elettori su 140 milioni.

Invece di riferirsi a questo sistema come al migliore del mondo, facendovi seguire tutto un rosario di articoli di fede occorrerebbe meditare sugli esiti paradossali a cui assistiamo e invece di esaltare la totale mancanza di sostanza politica per tentarne la fotocopia, obiettivo peraltro riuscito in pieno all’oligarchia europea. In realtà questo appuntamento elettorale tra due  candidati precocemente senescenti, denudati di ogni scrupolo, in una parola impresentabili, frutto non del caso, ma di un sistema che ormai mostra la corda, dovrebbe preparare una sorta di rivoluzione, un ripensamento degli strumenti della democrazia nelle mutate condizioni cui si svolge rispetto a quando furono ideati i meccanismi della rappresentanza e delle scelte. Con in primo luogo una vera rivoluzione costituzionale riguardante il diritto all’informazione, impedendo che poche centinaia di persone in possesso dei media globali, compresi quelli dell’intrattenimento ci dicano cosa è successo, come dobbiamo reagire, cosa doppiamo pensare e cosa credere. Solo così in Usa come altrove potranno emergere candidati che abbiamo un senso, che non siano burattini la cui caratteristica principale consiste in un’ambizione nevrotica e una parlantina poco più che elementare, a cui viene tuttavia dato un supporto quasi ipnotico. I candidati di una futura democrazia dovrebbero essere in grado di formulare un programma coerente a cui far seguire azioni e risultati. Ed è avvilente che in pochi decenni, ciò che era la normalità e l’ovvietà sia diventata solo una speranza e quasi un’utopia. Certo anche dopo martedì non cambierà nulla nel sistema che si è appropriato delle vesti della democrazia, ma può darsi che nella platea ancora politicamente sensibile e resistente agli opposti conformismi  cominci a cambiare lo spirito con cui tutto questo viene accolto e considerato a cominciare dalla presunzione di imperfettibilità e inattaccabilità.