Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ormai perfino il più elementare e naturale buonsenso viene tacciato di irragionevole idealismo, di sprovveduta astrazione: ogni ipotesi e scelta deve piegarsi non alla realtà, magari!, ma alla realpolitik, non all’opportunità ma all’opportunismo, non al pensare, ma all’affaccendarsi, non ai bisogni, ma all’obbligatorietà di emergenze per lo più fittizie, artatamente  lievitate perché si convertano in opportunità l’imposizione di misure autoritarie, di deroghe e licenze da leggi e regole giuridiche e morali. Di modo che non è osceno sospettare che ci sia bisogno di un terremoto non per mettere mano  ad un piano che difenda l’assetto  abitativo, monumentale e territoriale del Paese, ma per foraggiare cordate più o meno legali di costruttori e favorire l’obliquo sostegno ad alleanza che si nutrono di malaffare e  corruzione.

Così pochi audaci immediatamente retrocessi a codardi disfattisti osano proporre di indirizzare a ben altra finalità, quella della ricostruzione, i 15 miliardi per l’acquisto di 90 cacciabombardieri F-35, ricordando che non è quella la “sicurezza” che serve all’Italia, che non è quella la difesa che vogliamo per noi e i nostri figli, che non è quella la guerra ineluttabile e necessaria sulla quale dobbiamo investire, ma la pace con il territorio, l’ambiente, il clima. E rammentando la Costituzione che si vuole stravolgere, colloca tra i principi fondamentali, identificati come tali dopo anni bui di barbarie, tirannia e conflitti cruenti di un secolo talmente lungo che pare durare ancora, il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Ma  anche questo fondamento viene ricacciato nelle risibili geografie della terra di Utopia, ora che è stata legittimata la guerra preventiva dell’Impero del Bene contro la disordinata barbarie del terrore, ora che qualsiasi avventura militare può essere ammessa e autorizzata se coperta dal largo ombrello della lotta al fanatico fondamentalismo che vuole abbattere l’edificio politico, morale e culturale della nostra civiltà superiore. Tanto che è legale, etico e doveroso esportarla a qualsiasi costo e con ogni possibile giustificazione antro-apologetiche; rafforzamento istituzionale, liberazione di minoranze oppresse, inseguimento di macellai un tempo affratellati in business, modernizzazione,  in imprese coloniali, tramite repressioni sanguinose o in interventi di poco generosa “cooperazione”, decantate da ideologi liberisti impegnati nel sostenere che “l’imperialismo è diventato la precondizione della democrazia”.

E siccome carri armati e cavallo vanno dove vuole il padrone, non stupisce che i rappresentanti italiani abbiano votato No  alla Risoluzione politica delle Nazioni Unite che chiede di avviare nel 2017 i negoziati per un Trattato internazionale volto a vietare le armi nucleare e, in linea con le “cancellerie” e  contro l’assemblea dei rappresentanti eletti,  all’adozione di un provvedimento analogo dell’Europarlamento approvato con   415 voti favorevoli (124 contro e 74 astensioni) e accompagnato da un invito rivolto a  gli Stati membri a “partecipare in modo costruttivo” ai negoziati del prossimo anno.

La risoluzione dell’Onu, i cui primi firmatari sono Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Sudafrica e Nigeria,   è stata approvata da 123 Paesi e 16 Stati si sono astenuti. Ma tra i 37 Paesi che hanno votato contro, in compagnia di quasi tutte le nazioni nucleari del mondo o alleate degli Stati Uniti ci siamo noi, ben consci che non si trattava della messa al bando dei cascami del secolo breve e di arcaici reperti della vecchia  Guerra Fredda, ma della cassetta degli attrezzi di quella nuova e moderna, comprese quelle bombe B61-12 in sostituzione de i vecchi ordigni nucleari americani che si trovano nelle basi di Aviano e Ghedi, e per le quali ha dovuto sborsare tanto, forse mille miliardi di dollari in 30 anni,  il premio Nobel per la pace, e che si possono montare proprio sugli F-35. Come saremo tenuti a fare in ossequio  agli accordi del  cosiddetto Nuclear Sharing”, che ci impegna a ospitare sul proprio territorio ordigni di questa natura. Ai pochi che hanno chiesto conto del loro voto i rappresentanti italiani hanno risposto  ovviamente rivendicando l’appartenenza alla Nato, come fosse un merito e il debito d’onore nei confronti dei nostri lontani “liberatori” e il debito d’onore che ne deriva. Ma anche, come al solito, trattando da anime belle velleitarie e  irragionevoli, gli arcaici nostalgici del pacifismo.

Secondo Hans Kristensen della “Federation of American Scientists” di Washington, la combinazione di precisione e capacità di penetrazione nel terreno, unita alla possibilità di avere B61-12 di diversa potenza, declinate in 4 “modelli”, offre capacità performance uniche, nell’azione di escalation della “deterrenza” che deve caratterizzare la neo Guerra Fredda. Ed è per questo che è stato avviato il dinamico progetto di ammodernamento  che sostituirà le vecchie e desuete   B61  con le B61-12.

Sempre lo scienziato  Hans Kristensen, direttore del Nuclear Information Project alla Fas, scrive che è in corso a tale scopo l’upgrade della base della U.S. Air Force ad Aviano (Pordenone) e di quella di Ghedi Torre (Brescia). E lo proverebbe  una foto satellitare, che mostra la realizzazione ad Aviano di una doppia barriera attorno a 12 bunker con copertura a volta, dove gli F-16C/Ds della 31st Fighter Wing Usa sarebbero pronti al decollo con le bombe nucleari, più efficaci –  non si tratta di strumenti esibiti come dissuasivi, ma per poterla impiegare in un combattimento reale, e molto più pericolose, a dispetto delle “opere” per la conservazione e lo stoccaggio “sicuro”, anche quando sono “dormienti”, alcune delle quali a spese dello Stato italiano, come si è saputo in occasione delle pubblicazione del documento della Corte dei conti sulla gestione dei contratti pubblici segretati del 2014. Perché se gli Usa forniscono le bombe, i paesi che le ospitano sono obbligate ad  accollarsi (per i due terzi o totalmente) le spese per il mantenimento e l’upgrade delle basi.

Ogni giorno la nostra casella di posta elettronica si riempie di petizioni, eppure non ne ho ricevuta nemmeno una in proposito e nemmeno l’ho vista circolare sui social network, sarà perché siano smaliziati e sappiamo che certe proteste lasciano il tempo che trovano? Sarà perché sospettiamo che anche se l’Italia avesse votato a favore della risoluzione Onu poco sarebbe cambiato nel nostro destino di servitori ubbidienti fino al sacrificio? È probabile sia così, se si pensa che il Trattato di non proliferazione sottoscritto il 1 luglio 1968 ed entrato in vigore il 5 marzo 1970, stabilisce già che gli Stati Uniti, quale Stato in possesso di armi nucleari, siano obbligati dal Trattato a non trasferirle ad altri (Art. 1), che Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia, quali stati non-nucleari, non debbano riceverle e ospitarle da chicchessia (Art. 2). Eppure  nel 1999, gli alleati europei firmarono un accordo (sottoscritto dal premier D’Alema senza sottoporlo al Parlamento) sulla «pianificazione nucleare collettiva» della Nato, in cui si stabiliva che «l’Alleanza conserverà forze nucleari adeguate in Europa».

Erano le conferme dello stato di totale soggezione nel quale ci hanno ridotto ed anche dell’egemonia del grande potere della menzogna:  al summit di Washington tenutosi nell’aprile scorso a Obama che aveva proclamato che  “la proliferazione e l’uso potenziale di armi nucleari costituiscono la maggiore minaccia alla sicurezza globale. Per questo, sette anni fa a Praga, ho preso l’impegno che gli Stati uniti cessino di diffondere armi nucleari”, Renzi rispondeva sul suo canale di comunicazione istituzionale, Twitter, “grazie, presidente Obama. L’Italia proseguirà con grande determinazione l’impegno per la sicurezza nucleare”.

Ecco fatto, adesso siamo a disposizione per coprire i due ruoli di boia su commissione e di possibili “effetti collaterali”.