Anna Lombroso per il Simplicisissimus

Ieri il più autorevole notabilato in forza alle quote rosa ha sfilato a Reggio Calabria in segno di ufficiale adesione alla manifestazione contro la violenza di genere.  Troppo impegnate coi loro obblighi istituzionali le tre signore hanno maturato una concezione piuttosto limitata della sopraffazione della quale soffrono le donne, circoscrivendola allo stupro (la ministra Boschi di è tenuta dal dire che il Si ci tutelerà anche da quel rischio, dimenticando che Costituzione è declinato al femminile) e al contesto di degrado nel quale si consuma, omettendo le ragioni di quel degrado, rimuovendo altre forme di violenza resa legittima dalle leggi e dalle riforme: espulsione dal mondo del lavoro e discriminazione nelle remunerazioni e nelle carriere, asfissia di talenti, vocazioni e aspirazioni per costringere mogli, figlie, madri e sorelle a sostituire assistenza e cura in una casa minacciata da debiti, tasse, mutui, in un  progressivo declinare verso al miseria.

E  trascurando come il sopruso e la prevaricazione contro le donne sappia essere davvero interclassista e si consumi negli slum come in gabbie dorate, frutti avvelenati di culture patriarcali che non hanno risparmiato la nostra civiltà superiore, ben nutrite dalla conversione delle persone in merci, con preferenza per quelle  confezionate in fattezze femminili e a volte con la complicità del prodotto di scambio pronto alla rinuncia alla dignità in cambio di ambizioni e arrivismi appagati.

Ma soprattutto, durante la visita pastorale hanno rimosso – non certo casualmente –  dai loro  pomposi quanto scontati sermoni volti all’evangelizzazione di donne e uomini rivolti da pulpiti remoti e inviolati da danno e paura se non quella di una mancata rielezione,  ogni menzione del crimine appena commesso contro una donna condannata da qualcuno che in nome di Dio, come in un sacrificio rituale,  l’ha giustiziata contro la giustizia delle leggi e della morale. Nessuna: Boldrini, Bindi, Boschi,  tre B come in una di quelle orchestrine di dame che suonavano in strada per raccogliere fondi per l’esercito della salvezza, ha fatto menzione dell’infamia commessa a Catania, come se non si trattasse di uno dei più perfetti, completi ed emblematici casi di violenza di genere, di “femminicidio”, come se non si fosse davanti a un crimine, a un reato perpetrato a dispetto di un a legge dello Stato, non diversamente da quelli compiuti da mafiosi e camorristi, ugualmente colpevoli di intimorire, minacciare, ricattare proprio come fa un professionista che si avvale della sua funzione per esercitare un potere assoluto di vita e di morte.  Arrogandosi una prerogativa aberrante della quale sarebbe comprensibile si avvalessero i parenti della vittima per imporre una pari legge del taglione, un uguale diritto di decidere in coscienza della vita e della morte del carnefice.

Il Ministro Medico di Claude Jacquand
Il Ministro Medico di Claude Jacquand

Dopo le prime ricostruzioni c’è da temere della reazione “istituzionale”, subito la ministra della fertilità ha voluto chiarire: “L’obiezione di coscienza attiene al profilo deontologico e riguarda la coscienza dei medici, ma non ha a che fare con casi come questo: l’obiezione di coscienza attiene infatti all’interruzione volontaria di gravidanza e non in casi in cui si tratta di salvare la vita di una donna”. Peggio ancora si è sentito dire che si è trattato solo di un caso di malasanità che ora viene usato per criminalizzare i medici che “professano” l’astensione da atti e funzioni contrari al loro credo.  Se nel dispiegarsi di autorità e organismi di controllo sorprendenti venisse istituita una commissioni di vigilanza per verificare se si tratti davvero di coscienza, di appartenenza a una comunità di fede rigida e implacabile, sorvegliando sui comportamenti quotidiani, sulle opere di bene e lo spirito missionario concretizzato in atti pietosi e solidali, ne vedremmo delle belle, dando ragione a Rosa Luxemburg che sosteneva come dietro a ogni dogma si nasconda un profitto. Confermando che dietro a certe licenza, a certe deroghe si eserciti il potere assoluto e indegno che crea gerarchie dei diritti e consolida quello per pochi eletti di ledere i diritti degli altri, a cominciare dalla tutela della proprietà privata sancendo che vince sempre chi possiede, chi ha molto e vuole di più, perfino quello di vivere e morire con dignità, minacciato da ruspe, siringhe e sondini, cure erogate in forma arbitraria, assistenza cancellata e rifiuto che si declina in corsia o tramite muri e staccionate.

Sicché a nulla vale il richiamo alla legge e nemmeno ai pronunciamenti della Cassazione che ha stabilito come  l’obiezione di coscienza “non possa esonerare il medico dall’intervenire durante l’intero procedimento”, nella misura in cui “il diritto dell’obiettore si affievolisce, fino a scomparire, di fronte al diritto della donna in imminente pericolo a ricevere le cure per tutelare la propria vita e la propria salute”, riconoscendo al medico obiettore il diritto di rifiutare solo di “determinare” l’aborto (chirurgicamente o farmacologicamente), ma non di omettere di prestare assistenza prima o dopo, in quanto comunque obbligato a “assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione di gravidanza”.  E non vale nemmeno l’ovvia considerazione che  l’obiezione di coscienza che qualcuno professa e avanza nei confronti di questa o quella specifica attività dovrebbe condurlo  a non partecipare a  concorsi, a aspirare a certe posizioni e a orientarsi altrove verso altre mansioni “compatibili”, quando il ginecologo sa che l’interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge, che rientra nei suoi obblighi professionali.  Ma  gli obiettori di genere (ginecologi, farmacisti ecc.) fanno della scappatoia  offerta da un provvedimento che ha dovuto piegarsi a compromessi negoziali che suonano osceni a fronte del diritto e della scelta più dolorosa che deve fare la donna,  uno strumento offensivo contro lo Stato e contro i cittadini, avvalendosi della licenza  di “sottrarsi in via eccezionale”  alla legge e senza pagare alcun prezzo.

E’ che morale, giudizio e discernimento sono ormai regolati secondo gli imperativi maturati da una “giurisprudenza” elaborata da un ceto sacerdotale  che  predispone principi, valori e  regole del diritto globale su incarico della cupola della finanza, delle multinazionali e del suo profitto,  in grado di  trasformare una mediazione tecnica in una procedura sacralizzata, per dare valore di mercato al diritto  e alla giustizia  trasformando le nostre deboli vite minacciate in prodotti oggetto di scambio, svendita, fatti per scadere se non servono più a fare i servi.