padoan-renziI pesci cominciano a puzzare dalla testa e ancor più le anguille: così non ci si può certo stupire che all’ultimo momento confusi vegliardi, filosofi da “consateste” di morte a Venezia, ex umoristi trasformatisi nei personaggi della loro satira, comici da far piangere, si siano convertiti al Si contro ogni aspettativa . Per carità sono anni che questi personaggi alla Scalfari, alla Cacciari o alla Serra, tanto per fare i nomi più conosciuti, hanno gettato la maschera, anzi le molte maschere di volta in volta indossate e hanno rivelato la loro natura così intimamente cortigiana da non rappresentare nemmeno più una forma di ipocrisia,  quanto un esempio di antropologia italiana nella quale la corsa sul carro del vincitore è una sindrome incurabile anche con l’elettroshock. Un istinto talmente forte che esso funziona anche quando è del tutto fuori tempo e fuori posto visto che  carriere e destini si sono ampiamente compiuti.

Però proprio per questo la conversione al sì suscita ancora più sorpresa vista la crisi attraversata dal renzismo e la quasi certezza che in ogni caso il guappo si avvia all’obsolescenza dopo una legislatura che non ha eguali nella storia del Paese per cialtroneria, inadeguatezza, dilettantismo, menzogna, servilismo e , per così dire, senso della corruzione che in Matteo è ancora più evidente di quello di Smilla per la neve. Paradossalmente invece è proprio la debolezza del premier, il suo bisogno di costruire un armata elettorale da Brancaleone, che spinge le anguille giunte al termine del loro ciclo riproduttivo a serpeggiare ancora una volta e a strappare qualcosa al potere in difficoltà, bisognoso di qualunque aiuto. Con un guappo ancora forte sarebbero rimasti nella neghittosa area del ni, né con, né contro il renzismo, cazzeggiando e dichiarando, ma adesso possono strappare qualcosa in più, qualche cadrega i più modesti, i riflettori, la continuazione della sarabanda mediatica quelli  più in vista.  Un’occasione da non perdere tanto più che gli editori dell’oligarchia,saranno comunque esprimere la loro gratitudine Renzi o non Renzi.

La cosa più risibile è che alcuni, come Cacciari e Serra, dicono sissignore senza però voler rinunciare all’ ubi consistam della loro credibilità, ovvero a quel sudario di pensiero critico che sono riusciti a conservare pur  rinnegandolo ogni volta: così dicono che ci si trovi in uno stato d’eccezione, la riforma costituzionale fa schifo, ma è il male minore e si capisce benissimo cosa vogliano intendere dietro il tono predicatorio e i più triti mezzucci dell’accademia: senza la riforma è possibile se non probabile che  l’arco di potere al quale apparteniamo, la corte alla quale dedichiamo i nostri scialbi sonetti di reverenza, venga sconfitta. Lo devono alla loro stessa mediocrità. Se poi dovesse accadere il disastro (per loro) avranno comunque lasciato un pertugio per riaccreditarsi come quelli che avevano denunciato e analizzato il cancro del Paese. E questo completa l’abiura verso quelle idee che alcuni sembravano aver professato, la dissoluzione della sinistra in favore di una governance tecnica del mercato. Non per nulla passano dalla parte degli imbonitori che ne sono l’espressione più populista e volgare.

Del resto è proprio questa sindrome cortigiana, sia pure nella sua forma non contagiosa e mortale, che non ha permesso a Zagrebelsky, nel famoso dibattito, di dire che il progetto oligarchico e  autoritario non è un’ipotesi da dimostrare, è nella realtà di un parlamento dichiarato privo di legittimità e di un premier mai eletto che a tutti i costi vogliono cambiare la Costituzione. E’ un golpe che non ha bisogno di un Tenente Tejero con baffoni annessi, basta un funzionario dell J. P. Morgan. In queste condizioni la sola attribuzione della buona fede è un vantaggio che si può concedere solo alla stupidità funzionale, ma non certo al senso etico e alla verità.