g2czxe5x6376-kzgf-u109010802500304ni-1024x576lastampa-itOggi mi occuperò di alienazione, ma di un alienazione particolare e in qualche modo inedita che facilita lo sfruttamento: l’alienazione linguistica che separa la persona dalle sue radici e dalla sua sua realtà semplicemente cancellando gli ancoraggi semantici e culturali. Si tratta di un effetto ben studiato in psicologia sotto diversi aspetti, tanto da aver dato origine a un’intera letteratura, ma in questo caso diventa evidente e fa comprendere perché il linguaggio aziendalistico sia così infarcito di inglese (divenuto a sua volta una lingua aziendale) anche quando non se ne vede alcuna necessità: lo scopo è quello di nascondere  alle persone la loro condizione.

Un altro uso sia pure diverso dello stesso effetto è quello usato in pubblicità, dove quando non vuoi o non puoi dire qualcosa lo dici in inglese. Mi chiedo cosa pensereste se vi offrissero di fare i fattorini a cottimo girando una grande città in bicicletta per la bellezza di 2,70 euro lordi a consegna anche nelle ore serali e notturne, senza alcuna tutela e con le regole vigenti nel più sordido caporalato, per portare pasti a domicilio. Probabilmente dareste in escandescenze.. Ma se vi dicono di fare i gig rider la cosa suona differente, anche se è la medesima. Gig è il cottimo, rider (fantino o ciclista), però se anche conosceste alla perfezione l’inglese americano nelle sue sfumature, sareste comunque vittima di un trapianto culturale dove rapporti di lavoro considerati indecenti vengono riscattati da un insieme metaforico estraneo e insolente. Da un velo che nasconde la reale condizione. Poichè gig nel suo significato generale sta ad indicare una esibizione estemporanea, particolarmente in campo musicale, ecco che sgobbare sui pedali, magari sotto la pioggia per portare la pizza o un intero pasto a domicilio che non potrete permettervi se non rimanendo a casa di mamma fino alla mezza età, è come esibirsi estemporaneamente in bicicletta. Una  vera consolazione.

Di fatto la definizione bugiarda e assurda è ormai l’unico scampolo di dignità offerta a questi nuovi lavori, quella  che permette alla persona di non dover confessare a se stessa di fare il fattorino pagato quanto un  nero in un campo di pomodori, ma di potersi definire rider. Così come chi va in giro a trovare clienti per questa attività è un promoter, che sembra ben altra cosa rispetto a piazzista. Naturalmente a tutto c’è un limite e così sabato scorso a Torino i fattorini di Foodora, una azienda che porta i pasti a domicilio, hanno scioperato per protesta contro il passaggio da una miserabile paga oraria a quella a cottimo. Aggravate da una sorta di incipiente schiavismo che permette il licenziamento semplicemente isolando la app con la quale si distribuiscono le consegne e si organizzano i turni la quale tra l’altro richiede al disgraziato di connettersi al sistema solo in una determinata piazza di Torino. Insomma esattamente come i braccianti che aspettano il pulmino del caporale. Del resto le maggiori di queste società, Foodora appunto, Hellofood (nata da Pizza Bo) stanno via via espellendo lo stesso concetto di cibo, di sapore, di convivialità, ricorrendo al food che è un altra cosa, un prodotto di fatto industriale, appartenente a una concezione del mangiare completamente diversa e che può attirare solo i più pervicaci sotto acculturati.

Questo non significa che anche l’italiano non venga utilizzato, sia pure in maniera marginale per questa operazione di progressiva alienazione: oltre all’insulso e dilagante team con il quale vengono surrettiziamente cancellati tutti i rapporti reali di subordinazione oltre che le differenze spesso stratosferiche di condizione economica e che è ancora più anodino di squadra la quale conserva connotazioni e tracce di diversità intrinseche al suo interno, si va affermando lo sconcertante “collaboratore” che è una impostura per evitare di dire sottoposti che guadagnano dieci volte meno quando va proprio bene o sempre più spesso e sempre più ipocritamente precari all’ultimo stadio. Infatti i fattorini del cibo di Foodora vengono chiamati “collaboratori” da un’azienda che nemmeno ha voluto dire quanto li paga: per ragioni di riservatezza, si capisce.

In effetti la prima opera di risindacalizzazione di base, in questo terziario da incubo, anche quello grottescamente chiamato sharing economy, che in realtà non significa un bel nulla, è solo il sudario linguisticamente paludato della svalutazione del lavoro, sarebbe proprio quella di rifiutare la lingua aziendalese, questo specie di esperanto dello sfruttamento. E dire finalmente pane al pane: il food possono metterselo nel luogo appositamente creato da madre natura per il  food processing.