renzi-il-fichissimoQualcosa sta accadendo negli scantinati dell’Europa, si sentono rumori strani, ma è difficile capire se si tratta di topi, di ladri o di aggiustamenti dei muri. Per esempio in questi giorni siamo alle prese con un clamoroso voltafaccia di uno dei più importanti editorialisti del Financial Times, Tony Barber che è stato fin da subito uno dei sostenitori più accaniti di Matteo Renzi (absit iniuria verbis) , quasi imbarazzante nel proclamare il guappo di Rignano “ultima speranza per l’Italia” o nel luglio scorso nell’asserire che “la salvezza dell’ unione monetaria  dipende dal risultato del referendum costituzionale italiano”. Bene ora invece lo stesso giornalista sostiene (qui l’originale) che le riforme del guappo “sono un ponte verso il nulla”  e che la vittoria del Si non salverebbe il Paese, ma soltanto Renzi.

A cosa si deve questo radicale  e improvviso cambio di opinione che evidentemente non è maturato in una notte agitata e riempita di scotch, ma riflette gli umori generali che si stanno addensando sul premier? Da una parte Barber accusa Renzi di voler mantenere intatta la galassia politico – affaristica che lo ha portato al potere, a colpi di grandi opere di cui la resurrezione del Ponte sullo stretto non è che un evidente, opaco riflesso strumentale e clientelare. Anzi argomentando fa carta straccia della ridicola riforma del Senato che viene presentata dai suoi fautori come la liberazione dalle lentezze legislative, mentre l’editorialista fa notare, che “il Parlamento italiano passa più leggi in un anno  rispetto a quelli di Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti. Signor Renzi ciò di cui l’Italia ha bisogno non è di più leggi e più rapide, ma di meno leggi e migliori. Esse devono essere scritte con cura e applicate”.Tutte cose più che giuste, se non evidenti almeno per quelli che non sono ancora pronti alla tassidermia politica. Ma tutto questo era chiaro anche a luglio, cosa ha causato il cambiamento di rotta?

Gli interessi della City e di altre centrali europee che vedono in Renzi una sorta di difensore degli asset di potere locali rendendoli impermeabili alle partecipazioni da fuori? Poco probabile perché questo carattere di opacità ha contraddistinto fin da subito il governo Renzi ed è stato considerato una sorta di male necessario. Forse è un riposizionarsi rispetto al risultato del referendum, magari basandosi su sondaggi che noi non vedremo mai e che danno una vittoria del no? E’ anche possibile. E’ forse un espressione dei malumori continentali per le straordinarie concessioni di Renzi alle banche americane e per l’indefettibile tendenza a essere servo sciocco di Washington nonostante il New York Times  lo abbia chiamato “comico e marginale”? Può darsi. Ma in definitiva credo che tra i mestatori europei tutto questo si coniughi in un giudizio sinergico e si vada facendo strada la convinzione che ormai Renzi è inevitabilmente bruciato dall’inaspettato ( per loro) acuirsi della crisi, che una vittoria del Sì paradossalmente corra il rischio di favorire l’opposizione e di risvegliare anche una parte di elettorato rimasto finora impigliato nella palude delle ambiguità che il renzismo coltiva facendo berlusconismo radicale dietro un sipario da vacua sinistra domenicale. Le elites mica hanno bisogno di Renzi, ne possono comprare mille, hanno bisogno che sia conservato lo status quo e soprattutto che gli italiani non siano risvegliati dal torpore in cui giacciono.

Comunque sia tutto questo ci fa toccare con mano la consistenza dell’informazione più celebrata, paludata, autorevole e in apparenza autonoma, un tema che meriterebbe ben più di qualche riga essendo quello centrale della contemporaneità, ma nelle more del discorso tanto vale divertirsi e mettere in rilievo l’imbarazzo assoluto dell’ Huffington post di fronte al cambiamento di umore sull’amato premier. Questa creatura mitologica, metà De Benedetti, metà Amerika e coda prensile a Tel Aviv, devota al Sì e importata dall’ingegnere perché fosse la voce e la testa del renzismo, riuscendo però ad essere solo il sistema digerente di un regime intrinsecamente acefalo, prende atto dell’articolo di Barber, in precedenza osannato come voce della verità, per dire o meglio suggerire che l’intervento dell’editorialista non rispecchia la posizione della testata ( tra l’altro di proprietà giapponese e precisamente del maggior quotidiano economico del Sol Levante, il Nihon Keizai Shinbun). Una roba ridicola perché sono gli articoli dei collaboratori più importanti che fanno la linea di un giornale e poi francamente chi se ne frega di Ft mica è il foglio che Mosè incideva sul monte Sinai, è il giornale di banche e finanzieri.  Alla fine è meglio mangiare a casa  e accontentarsi dell’ambasciatore americano.