Anna Lombroso per il Simplicissimus
Tra il 1901 e il 1923 emigrarono in America 4 milioni 711 mila italiani, 3 374 000 dei quali provenivano dal Mezzogiorno. Si ammassavano nei bastimenti per terre assai lontane (v ricorda qualcosa?), era gente povera e analfabeta (la Regione che diede il massimo contributo all’esodo fu la Basilicata la cui popolazione nel 1911 si ridusse del 3,5%), destinata ai bassi ranghi del sottoproletariato urbano. Partono soprattutto dall’ “acerba” montagna, dove la terra non dà niente, osteggiati dallo Stato che invita i prefetti a impedire l’emigrazione clandestina e a disincentivare quella lecita. Scrive allora Nitti, “mentre si scrivono libri, si pronunciano discorsi, si compilano leggi, i contadini meridionali trovano la soluzione da sé silenziosamente, partono a creare quei capitali che sono necessari per fecondare la terra del loro paese”.
Oggi ci informa il rapporto «Migrantes», della Cei, la nuova emigrazione sarebbe “sempre più giovane e qualificata”. In 10 anni si registra un +55% di italiani residenti all’estero: in totale sono 4,8 milioni. 107 mila se ne sono andati nel 2015 (+6,2% in un anno): per il 50% giovani, per il 20% anziani. Sono in forte aumento le partenze da Veneto e Lombardia mentre diminuiscono le percentuali del Mezzogiorno. E a differenza di quei migranti di inizio ‘900 e dei 5 milioni di italiani che sono emigrati in Germania nel dopoguerra – per il 90% rientrati in patria- chi parte oggi non tornerà, “in assenza di nuove opportunità”.
Dagli anni ‘70 non c’è fila alla cassa del supermercato, non c’è cena del sabato in pizzeria, non c’è dialogo tra sconosciuti in treno nei quali non risuoni il mantra: potessi, me ne andrei. Allora e per molto tempo si aggiungeva: aprirei un chioschetto in una spiaggia, una spaghetteria a Cuba, adesso sono diminuite aspettative e velleità e i laureati alla Bocconi che non discendono da stirpi reali, che non appartengono a dinastie baronali la pizzeria non l’aprono, accontentandosi di fare i “manager del food” servendo ai tavoli da Pappagone a Londra.
Sappia Salvini che nessuno li aiuterà a casa loro, cioè nostra. E suona oscena la reazione del premier alla pubblicazione dell’indagine della Cei, venuta buona per un altro immancabile spot per il Si: “La notizia mi ha fatto male ed è per questo che dobbiamo rendere il Paese più semplice. I ragazzi che vogliono andarsene hanno tutto il diritto di farlo, noi dobbiamo creare un clima che permetta loro di tornare”. Magari era meglio favorire le condizioni perché non se ne andassero, proprio come si poteva evitare la cosiddetta emergenza dei barconi: bastava non scaricare bombe, non depredare territori e risorse, così come era sufficiente favorire occupazione, salvaguardare garanzie e diritti, promuovere istruzione, ricerca e innovazione, condizioni indispensabili per incrementare la decantata competitività, per esaltare talenti e vocazioni. Magari era meglio non rafforzare quella mitologia delle formazioni “utili”, quelle cioè funzionali unicamente a un mercato del lavoro tarato solo sulle esigenze di azionariati che hanno dismesso ogni investimento legato alle produzioni, all’economia reale e all’innovazione. Se a ridosso di un sisma catastrofico, mentre sono in crescita le iscrizioni a università private “acchiappacitrulli” e a master/parcheggio che prolungano indefinitamente la permanenza in uno status di dipendenza adolescenziale, mentre pare abbiano una singolare attrattività facoltà di filosofia, forse per via della nuova moda di dotare aziende di un consulente filosofico un tanto al chilo, l’Istat comunica che tra le lauree che faticano più di altre a trovare sbocchi lavorativi figurano, insieme a Scienze biologiche e Scienze naturali, anche quelle di Scienze geologiche.
Così se è improbabile che l’evocazione del Ponte sullo Stretto porti all’accreditamento di carriere nel settore dell’ingegneria, il sensato proposito di stringere un’alleanza con il territorio per dare concretezza a un New Deal che veda lo Stato investitore general manager e contractor per il risanamento e la salvaguardia, come anche per la tutela del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, viene equiparato a un’uggiosa esercitazione di parrucconi e disfattisti.
No, non ci aiuteranno a casa nostra. E il motivo è semplice. Dietro a pregiudizi e ideologie, interessi e ideali che partecipano al coro con concetti e slogan disparati: difesa dell’identità e sicurezza minacciata, necessità di promuovere multiculturalismo, cosmopolitismo globalista o arroccamento nelle fortezze imperiali, quello che resta ben saldo è il contributo che l’immigrazione dà al sistema capitalistico nella sua ultima aberrazione, quella finanziaria. Una considerazione realistica della quale anche noi avanzi della sinistra ci vergogniamo un po’, temendo l’annessione obliqua al fronte xenofobo, razzista o semplicemente europeo.
Il fatto è che muri, recinti, rifiuto, respingimento attuati dall’impero e dai suoi consoli regionali, nascono dalla difficoltà di gestione spicciola da un lato, dal timore che comunque masse di disperati non qualificati non possano essere assorbiti e pesino sul bilancio degli stati, ma dall’altro dalla vocazione del pensiero unico a creare diffidenza, risentimento, divisione per meglio comandare. Ma dietro agli steccati, alla repressione, esiste concreto il perseguimento di un disegno di “crescita” di un padronato che insegue la creazione di un esercito mobile, senza patria e radici, senza storia e memoria, da spostare qua e là come il dio mercato vuole. E con un effetto non secondario che consiste nella “concorrenza” interna esercitata da quei lavoratori temporanei, necessariamente disposti a accettare un salario più basso, la rimozione di diritti e garanzie, tale da abbassare fisiologicamente anche gli standard remunerativi, come quelli legati a sicurezza, conquiste e prerogative della forza lavoro locale, abbattendo così ogni speranza che si coaguli e esprima un potenziale unitario dei lavoratori.
Nell’era del saccheggio, della spoliazione, siamo tutti prede e bottini. La ricetta qui e altrove, a casa e fuori, sarebbe diventare “classe” unita, consapevole e solidale, retta da fini elevati ben oltre la sopravvivenza in una nuda vita, ma c’è da temere che togliendoci la facoltà di sperare e sognare, abbiano cancellato anche quella di lottare.
Jorge ha scritto:
“Da sempre la lega inveisce contro gli stranieri, ma poi nelle commissioni parlamentari è quella che più chiede aumenti delle quote della immigrazione programmata, gli stranieri servono ai padroncini del nord est.”
Sulla copertina dell’ultimo numero della rivista Gazeta Romaneasca, un settimanale di 32 pagine che esce in Italia e si rivolge a un bacino potenziale di 1.150.000 immigrati romeni nel nostro paese, troneggia il titolo “O romanca in Lega Nord” ossia “Una romena nella Lega Nord”. Lei proclama: “Inainte de a fi leghista, sunt romanca” ossia “Prima di essere leghista, sono romena”. E non si tratta di una semplice iscritta! A partire dal primo ottobre, infatti, Cornelia Cioaca farà parte del consiglio direttivo della Lega Nord di Vercelli, responsabile per le problematiche dell’immigrazione e della sicurezza. Da notare che è in Lega Nord da 9 anni. Traduco le sue parole dal giornale: “Con tutti mi presento così: sono una militante romena. Mi ricordo che quando mi sono incontrata con Salvini nel quadro di una manifestazione della Lega Nord mi sono presentata con questa stessa frase. La reazione di Salvini? Mi ha stretto la mano in segno di saluto e [mi ha detto] “Sei la benvenuta!”
Salvini fa il muso duro agli immigrati perché ha avuto l’incarico dall’alto di gestire gli italiani che odiano gli immigrati, esattamente come Renzi ha avuto l’incarico di gestire gli italiani che sono di sinistra. Ma, ovviamente, non è meno favorevole agli immigrati di Renzi, sia per la ragione che esplicita Jorge, sia perché si tratta pur sempre di più di un milione di voti potenziali che sarebbe un peccato lasciare agli avversari. Di conseguenza sono anche fuori luogo le accuse di razzismo a Salvini e ai politici che parlano come lui perché Salvini non è razzista ma “fa” il razzista.
Fa il razzista senza esserlo e recita, perché così gli dicono di fare, è il suo ruolo politico nella situazione attuale (magari domani cambierà la situazione e non farà più il razzista, d’altronde è così che si spiegano gli altrimenti inspiegabili cambiamenti di fronte in politica), e la colpa morale di Salvini e degli altri come lui è casomai quella di prestarsi a diffondere la zizzania dell’odio fra i popoli incoraggiando così diffidenza, paura e reazioni anche violente da entrambe le parti della barricata.
Insisto ancora sulla differenza tra essere e fare il razzista. Chi crede che Salvini sia razzista (o che Bossi, felicemente sposato con una meridionale, fosse contro i meridionali) è ancora vittima dell’illusione ottica che vede gli esecutori ma non i mandanti, le marionette ma non chi tira le fila, mentre chi crede che Salvini faccia il razzista, ma non lo sia, dimostra di saper leggere la realtà al di là delle recite e delle comparsate. In una situazione che non permette soluzioni reali, questa è l’unica cosa che al momento ci può dare una qualche consolazione, la consolazione, per lo meno, di non essere più presi per il naso.
Finisco osservando che la diatriba immigrati sì, immigrati no, con tutte le sue inevitabili punte di estremismo, è un classico capolavoro delle élites, una cosa che a loro riesce sempre benissimo. Senza alcun bisogno di doversi difendere dalle accuse di aver creato e alimentato artificialmente e surrettiziamente una corrente di emigrazione che supera ogni livello di buon senso e che genera problemi di ogni tipo (basta pensare alle immani tragedie in mare, alla chiusura degli immigrati in centri di raccolta che non sappiamo quanto si differenzino da veri e propri campi di concentramento o, sull’altro versante, alla flessione generalizzata dei salari come conseguenza di una sorta di “concorrenza sleale” di chi, per necessità di sopravvivenza, è ovviamente disposto a lavorare di più, con minore salario e con meno diritti) le élites trovano milioni di italiani, non solo di sinistra, che chiudono la bocca ai compatrioti che protestano e li tacciano di razzismo. Ossia milioni di italiani indossano le armi per raggiungere ancor meglio e ancor prima gli scopi delle élites, combattendo una guerra non loro, una guerra controproducente, quella stessa guerra che un tempo si faceva sui campi di battaglia andando a morire per il re o per il principe, e che oggi si fa in quest’altro modo senza che sia mai possibile arrivare a un incontro di tutti i cittadini (compresi anche gli immigrati) che punti il dito sulle élites e le incolpi, con un j’accuse monumentale, di essere alla radice di tutto il fenomeno dell’immigrazione clandestina e non clandestina.
Alla fine, a parte alcuni giovani ben preparati che vedono la propria emigrazione come un’avventura da vivere con spirito positivo, per la maggior parte degli immigrati si tratta di un trauma profondo di cui avrebbero fatto volentieri a meno.
Non posso che concordare, riscopro cosa significa pensare con la
propria testa.
In effetti ci intruppano sotto false opzioni, gestite da attori professionali come Renzi Salvini, etc.
In quanto attori professionali, possono cambiare ruolo e cannovaccio di continuo, gli basta essere pagati dai poteri di cui sono i lacchè
Lo scopo di chi regge le fiila, è quello di impedire “che sia mai possibile arrivare a un incontro di tutti i cittadini, compresi anche gli immigrati.”
Troppo spesso la sinistra generica vorrebbe difendere gli immigrati, ma non trova di meglio che parlare di una generica accoglienza, ed infatti i politici di destra parlano di buonismo (che per loro sta per debosciatezza)
In effetti questo tipo di solidarietà tipica della sinistra generica somiglia alla carezza che si fa a chi è impotente ed inerme, e non fa giustizia agli immigrati.
Ad essi, oltre che l’accoglienza, dovrebbe essere indirizzato un richiamo alla comune lotta contro un sistema che gioca gli immigrati contro gli autoctoni, e fa della concorrenza un sistema per dividere et imperare
Qualcuno può mai credere che un profugo siriano, o un ex agricoltore marocchino, abbiano piacere a lasciare le loro terre e venire quì a fare gli ultimi sfigarti ?
Per chi non lo sapesse, la multinazionale italiana Ferrero ha il monopolio della coltivazione del cous- cous in tutto il maghreb, ed ha mandato in miseria un numero enorme di coltivatori diretti i quali non possono che emigrare.
Come se tutta la pasta consumata in Italia fosse prodotta dalla United Fruit americana, la cosa va bene alla Ferrero ma non porta alcun beneficio alle masse italiane.
Le posizioni xenofobe zittiscono gli immigrati, e quelle che si limitano alla accoglienza buonista invece li infantilizzano. Sono false opzioni entro cui intruppare gli italiani e con cui zittire gli immigrati, un dividi et impera tripolare volto ad impedire “che sia mai possibile arrivare a un incontro di tutti i cittadini, compresi anche gli immigrati”., altrimenti chi tira le fila avrebbe i giorni contati
Riguardo a questo ultimo punto, circa la falsa opposizione buonismo/ cattivismo di destra, a dire qualcosa è stata la Lombroso (a parte quella che può essere la mia accentuazione personale)
” difesa dell’identità e sicurezza minacciata necessità di promuovere multiculturalismo cosmopolitismo globalista, o arroccamento nelle fortezze imperiali …
… nell’era del saccheggio, della spoliazione, siamo tutti prede e bottini. La ricetta qui e altrove, a casa e fuori, sarebbe diventare classe unita, consapevole e solidale, retta da fini elevati ben oltre la sopravvivenza in una nuda vita, ma c’è da temere che togliendoci la facoltà di sperare e sognare, abbiano cancellato anche quella di lottare ”
Per me queste parole della Lombroso possono essere il manifesto di un nuovo antirazzismo.
Inutile. Ennesimo inutile tentativo. Neppure lei capisce. Seguo il blog quotidianamente da mesi, condivido tutto fuorché questo punto fondamentale. Ho colto l’occasione per presentarle il punto di vista in presa diretta di una donna italiana 59enne disoccupata oggi. Ma lei non sa e non può far altro che ripetermi ciò che già ho letto e riletto sul blog, senza riuscire neppure lontanamente ad avvicinarsi al nocciolo della questione, riconducendo la mia protesta come sempre, come tutti, ad una forma di, chiamiamolo così, egoismo cieco alle sorti del mondo. Sapesse come me ne dispiaccio, perché la solitudine, l’abbandono, l’incomprensione,vissute a casa tua sono, se sei onesto con te stesso, ben peggiori di quelli che ti toccano fuori.
Stranieri (nella vecchia accezione) a casa propria duole da morire.
Non capisce che cittadinanza non è qualcosa che sta fuori dal gioco, una pretesa di un di più rispetto all’umanità dolente, la cittadinanza è una PRESA (appiglio forte, garanzia, possibilità) che consente di non affondare per CONTINUARE A LOTTARE PER TUTTI. CITIZENSHIP=CITIZEN SHIP.
Potrei esibire credenziali di ogni genere, tutte fuori corso, tutte fuori gioco. Sono rimasta con l’inutile certificato di nascita in mano, quello che grazie a chi ragiona come lei è solo un pezzo di carta straccia e non un diritto imprescindibile, l’unico, oggi, che potrebbe consentirmi di vivere e lottare anche per gli altri.
È un errore, un gravissimo errore, assecondare sia pure per opposte ragioni un globalismo che non ha più nulla a che fare con il sogno di un’internazionale dei lavoratori/vittime del capitalismo finanziario. Negandomi il diritto di presentarmi al mondo come cittadina italiana e in quanto tale soggetto avente specifici diritti lei stessa fa il gioco di chi ci costringe a giocare alla morte.
Solo ribaltando il punto di vista di noi avanzi di sinistra è possibile salvare qualcosa, qualcuno. Tutta roba di piccolo cabotaggio, si sa, qualche centinaio di migliaia di italiani da “privilegiare” in confronto ai milioni di depauperati di ogni continente è ben poca cosa, sono d’accordo, eppure chissà perché mi sembra che richieda più coraggio di quanto non abbiano tutti quelli che garantiscono il nulla a tutti. Imparzialmente inoperosi. Propedeuticamente inerti.
È, lei neppure se ne accorge, un ulteriore modo di non far cambiare nulla, una trappola sofisticata ma neppure poi tanto, quella che le fa dire o tutti o nessuno. O tutto o nulla. Ha funzionato, in passato, era bello dirlo e sperarlo, adesso non più.
A me starebbe anche bene, guardi, il nulla, che da questo baratro a sessant’anni non uscirò viva, non con questa cappa di piombo che avvolge, chi per un verso chi per un altro, le teste dei contemporanei. Ma perdere (uccidere) con il silenzio o lo schiacciasassi dei diritti universali i connazionale è una delle cose più stupidamente drammatiche che si possano fare, è fare ancora una volta il gioco non solo delle destre, ma delle élite. É confermare la propria incapacità di dire NO, alla Barthleby, spostando la mira talmente in alto che la conseguenza non potrà essere nient’altro che una inconcludenza suicida.
Potrei anche dirle: lei da dove mi parla? Dalla sua casa, dal suo potersi permettere una casa perché ha un lavoro? Dalla sua famiglia, dal suo contesto, dal remoto ossario di un proletariato più che decomposto, proferisce parole di lotta e uguaglianza sulle arie oramai solo patetiche del Pueblo unido hamas sera vencido(?) a pugno alzato di fronte a piazza gremite e agguerrite?
Sa, glielo chiedo perché io c’ero, io ricordo. C’ero sempre. Per i diritti civili, per quelli politici e sociali. Di ciascuno in ogni continente. Ovunque l’ingiustizia è ingiustizia. L’iniquità odiosa.
C’ero contro le dittature, dalla Grecia dei colonnelli ai sud americani, c’ero contro l’imperialismo USA, i massacri in Africa e i genocidi di ogni dove. Io c’ero sempre.
Chi c’è oggi dalla parte degli italiani impoveriti, di quelli buttati su un marciapiede? Se non c’è lei, quelli come lei, chi altri potrà mai esserci???
Potrei anche tentare di parlare alla sua pancia: che farebbe se io fossi sua sorella, sua madre, sua figlia? Se lei non potesse far nulla per aiutarmi, come madre sorella figlia, mi vedesse morire poco a poco, privata di tutto ridotta a cosa, non più persona, ricorrerebbe egualmente alle categorie (meravigliose, appunto) del diritto di tutta l’umanità ad avere diritti?
Se lo facesse, mi dica la prego, quanto le costerebbe starmi a veder morire nell’attesa messianica di una rivoluzione del nuovo proletariato (non so come chiamarlo ma certo questo non è né etimologicamente né fattualmente). Potrebbe chiedere a mia madre, 82enne pensione sociale, che ha patito fame e guerra, le botte dei fascisti a tutta la famiglia, che a sgobbato tutta la vita e non riesce a capire perché lì accanto a lei le case popolari sono tutte piene di marocchini e albanesi e a sua figlia sia stato negato ogni aiuto. Provi a spiegarglielo lei, io non ci riesco.
Non mi metta nel calderone dei generici diritti di tutti, nessuno così ne caverà le gambe.
A sessantanni non posso essere in alcun modo paragonata al ventenne o al venticinquenne di ovunque, al migrante economico disperato, giovane e sano e speranzoso.
Io sono solo anziana (resa vecchia prima del tempo dalla perdita di lavoro e dalle sue conseguenze) disperata e malmessa di salute: DOVEVO avere una possibilità di salvarmi e stava solo nella possibilità di dire sono italiana. Ho lavorato 30 anni, oggi il mercato ovviamente mi esclude.
Fate qualcosa, che da sola ho fatto il possibile e l’inverosimile, lo grido da anni. E invece ho visto che nessuno dei miei ha alzato la voce per quelli come me, tutti in altre più redditizie faccende affaccendati.
Ma ora per me non è più il tempo di lottare per la giustizia nel mondo (già fatto, già dato, e mi viene da piangere), per me è solo l’ora di testimoniare. Sono una storica di formazione, credo che verrà un giorno in cui alcuni vorranno capire cosa accadeva alla gente mentre il mondo andava in malora.
J’accuse il mio Paese, l’EU, Renzi e la sua banda, j’accuse quelli che dicono no al reddito di cittadinanza, quelli che l’ha detto von hayek e i chicago boys allora diventi servo, che allora sarebbe assistenzialismo ecc.
J’accuse tutti quelli che per me non si sono levati le scarpe, non hanno marciato, che hanno avuto paura di dire che avevo il diritto di essere soccorsa dal mare di merda che mi ha travolta, tirata su dalla fogna europeista almeno quel tanto che ad altri europei (sic), e c’era una sola possibilità, un’unica corda di salvezza: cittadina italiana.
Poi, per tutti, pace in terra etc viene offertoetc etc gli uomini son tutti uguali etc etc.
Gli uomini son tutti uguali, hanno gli stessi diritti. Vero.
Il nemico è il sistema, il capitalismo finanziario. Vero.
“La guerra di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”.Vero
I clandestini a centinaia di migliaia non fanno danno. Falso.
Queste parole sono solo l’ ennesimo sasso nello stagno, la mia speranza sta nei cerchi concentrici.
Poca cosa. Poca cosa le parole, l’idioma, la lingua madre, eppure sono la sola cosa che mi resta.
Non voglio sostituirmi alla Lombroso, che può risponderle perchè è chiamata in causa
Intanto le esprimo la mia solidarietà, il suo non è un caso isolato, è di questi giorni il rapporto istat sulla povertà. A partire dalla crisi dei sub-prime, le famiglie con 4 persone in povertà assoluta crescono a ritmo mai visto prima, nell’ultimo anno passano salgono dal 6,7 al 9,5 ( non parliamo della povertà relativa.)
Se si tornasse alla cosiddetta sovranità nazionale, ed agli stati o alle macroaree senza immigrazione, non è che migliorerebbero le nostre condizioni di vita. Padroni e padroncini, in mancanza di manodopera immigrata da sfruttare per il suo basso costo, delocalizzerebbero le produzioni nelle aree lontane a basso costo del lavoro ( più di quanto non facciano oggi)
La società italiana resterebbe altrettanto impoverita che adesso, ed ugualmente non ci sarebbero abitazioni popolari a sufficienza
Alcuni dicono che bisognerebbe impedire le delocalizzazioni, ma lei può ben capire che poi padroni e padroncini stanno a dire che, senza i risparmi sul costo del lavoro generati dalla delocalizzazione, essi chiudono le produzioni e vivono di rendita. Si aprirebbe una fase di torbidi, ed alla fine verrebbe fuori un Renzi al quadrato, con un jobs act ancora più peggiorativo dei redditi reali, con la promessa fedifraga che grazie a ciò il futuro diverrebbe quanto mai radioso. Ci sarebbe comumque un impoverimento generale, ed ancora mancherebbero le case popolari per chi dovesse averne bisogno
In merito le ricordo che nei decenni scorsi, quando nell’ Italia con più barriere doganali e senza immigrazione si viveva meglio, ciò avveniva per le enormi lotte di massa che avevano spostato consistenti quote di reddito a favore dalla massa.
Lei commette l’errore di ritenere che il ritorno all’Italia della sovranità nazionale e senza la presenza di immigrati garantisca di per sè condizioni di vita migliori. Non è stato mai vero, e non lo sarebbe adesso.
Purtroppo, per miglioraree le nostre condizioni non esistono scorciatoie comode che consentano di saltare il passaggio della lotta di classe dal basso, quella dall’alto verso il basso la vincono sempre più i padroni del vapore.
Quando lei, e tanti come lei, cercano la scorciatoia del ritorno alla sovranità nazionale e alle nazioni senza immigrati, allora bisogna guardare ad un vostro presupposto, che lei tra l’altro ha coerentemente esplicitalo.
Tale presupposto distingue tra il capitalismo produttivo, quello che fino ad un certo punto ci avrebbe consentito di vivere bene, e la finanziarizzazione dell’economia. Tale finazziarizzazione viene vista come una specie di golpe bianco, quasi un complotto, col quale delle elites mondialiste avrebbero spostato tutta la ricchezza nel gioco della speculazione finanziaria. Avrebbero sguarnito la produzione reale dei necessari investimenti, e le famiglie dei crediti ai consumi, e l’impoverinmento di tutti noi sarebbe la conseguenza di una simile dinamica.
Ad immaginare che le cose stiano in questi termini, è comprensibile che lei e tanti come lei, pensiate che gli impoveriti dovrebbero allearsi con i capitalisti produttivi, tornare alla sovranità nazionale ed alle società senza immigrati. E’ chiaro che per chi ragiona così, un simile passaggio viene visto come un ritorno al benessere sperimentato in passato.
Purtroppo, anche se ciò distrugge una simile comoda scorciatoia, l’analisi dei dati empirici parla di tutt’altra realtà,
A partire almeno dalla metà degli anno 80, le spese preliminari alla produzione (ricerca, tecnologia, impianti), sono diventate così enormi da non potere essere recuperate nei tempi ristretti della durata degli impianti,
Prima che le spese preliminari ed i costi di tali impianti vengano ammortizzati, gia i capitalisti produttivi devono spendere di nuovo per l’ammodernamento tecno-scientifico dei loro impianti (pena essere fuori mercato), e chiaramente in queste condizioni i profitti diventano impossibili.
Ecco che proprio le imprese cosiddette produttive hanno cominciato a sviluppare ciascuna una propria divisione finanziaria, magari per ottimizzare i passaggi del credito, indispensabili ad ogni azienda produttiva. Poichè nelle attività finanziarie i profitti si sono dimostrati più alti (non lo erano prima), le stesse aziende produttive si sono date alla finanza, Oggi non c’e grande azienda che non partecipi le banche è non c’è banca che non partecipi le grandi aziende.
La finanziarizzazione, a cui lei imputa il generale impoverimento, la fine della sovranita nazionale, l’immigrazione di massa, non è altro che il portato della dinamica oggettiva e necessaria del capitalismo. Non può esistere un capitalismo diverso, un capitalismo buono, produttivo, o non so che altro, con cui stabilire una alleanza o qualcosa di simile.
Senza la dinamica descritta la economia sarebbe crollata, per la incapacità delle realtà produttive a fare profitti data la entità raggiunta dalle spese preliminari alla produzione, e sarebbero crollate anche le banche, le quali comunque non possono vivere senza la base produttiva sottostante
Distinguere tra produzione e finanziarizzazione è cosa del tutto illusoria, il capitalismo di oggi è questa congerie inestricabile, esso esso può funzionare solo e solamente così
Ecco perchè la sua ipotesi di ritornare alle sovranità nazionali ed alle società senza immigrati per risolvere i problemi di impoverimento delle popolazioni è pia illusione. Un simile ritorno all’indietro non è possibile proprio per la velocità ed i costi della innovazione tecnologica.
Ecco perchè l’ipotesi di una alleanza con i capitalisti produttivi buoni, contro la finanziarizzazione cattiva, al fine di risolvere i problemi dell’impoverimento, giova solo a chi si candida a mosca cocchiera di una simile prospettiva politica.
La soluzione, e la Lombroso ha lucidissimamente ragione ( non intendo sovrapporre il mio pensiero al suo), passa solo per una ricomposizione ed una lotta per cosiddire “di classe”. Ma l’esito di questa, oggi a differenza che nel passato, deve essere di necessità l’arrivare alla produzione per i bisogni e non per il profitto, da questo momento storico in poi, come dimostrani i fatti, la dinamica del capitale ci può postare solo verso la miseria, se non alla terza guerra mondiale ovvero alla distruzione atomica (quando la crisi e la miseria si aggraveranno, i capitalisti apriranno una fase di confronto aperto nella speranza di salvarsi a danno delle arre concorrenti).
Pensi che le sue condizioni drammatiche, possono ancora peggiorare, in ogni caso si metta all’altezza dei problemi, magari per i suoi figli o per i suoi nipoti, se si sente troppo avanti con gli anni., lottare rende la vita piacevole e restituisce dignità
Tra l’altro, é esperienza comune che quando compriamo un prodotto ad alta tecnologia, es un computer, esso dopo poco è gia obsoleto. Noi continuiamo ad usarlo, ma i capitalisti che sono sottoposti alla concorrenza devono necessariamente sostituire tecnologie ed impianti (pena essere fuori mercato). Ecco che non fanno in tempo ad ammortizzare gli impianti che gia devono sostituirli, i profitti vanno a farsi friggere.
Di questi tempi, la stampa economica di tutto il mondo parla della rivoluzione industriale 4,0, le aziende devono implementarla ma non hanno ancora ammortizzato gli ampianti del ciclo precedente, è un piangi piangi generale e solo i colossi hanno le spalle larghe per sopravvivere
Come si vede si tratta di una dinamica che si dà sia a livello micro, sia a livello macro, è davvero il tono dei tempi che ci troviamo a vivere, e ne facciamo esperienza tutti, capitalisti e no. Pertanto la si comprende senza dover essere necessariamente degli accademici, per fortuna le cose che diventano storicamente mature sono alla portata di tutti.
Peccato che la lotta di classe, per diventare reale, deve essere anch’essa autorizzata dall’alto. Il cosiddetto ’68 fu autorizzato dall’alto. Nel giro di pochi anni genitori, insegnanti e sacerdoti persero l’autorità che avevano detenuto per millenni e gli studenti, che oggi non contano più nulla, allora godettero di dieci anni di una larga impunità e della simpatia dei media che totalitariamente stavano al loro fianco come se qualcuno avesse loro ordinato di dimenticare tutti i valori passati. Una volta ottenuti i risultati che il regime si prefiggeva, ossia l’abbattimento dei valori tradizionali sostituiti da quelli più in linea con le esigenze del mercato, e nato il nuovo italiano con valori predeterminati dai media, gli studenti ritornarono nell’ombra e di loro si smise di parlare.
Oggi, in cui le alte sfere vogliono imporre l’economia dei dati Google, Facebook e Uber godono di una simile impunità di fatto. Google ha permesso la commissione di miliardi di violazioni del diritto d’autore ma l’ha fatta sempre franca, ha potere di vita o di morte su tutte i siti in quanto li rende visibili o invisibili a piacimento ma è invulnerabile. Quanto a Uber, sta intervenendo nel mondo dei taxì come Attila violando le leggi di tutti i paesi del mondo ma nessuno lo ferma.
Sperare quindi in un revival della lotta di classe è lecito ma pensare che possa avvenire per “autocombustione” non è realistico. Per avere la lotta di classe occorre che le polizie, le magistrature e gli eserciti ricevano dall’alto l’ordine di non intervenire, allora sì che può succedere di tutto. Ma quando succede è perché, e solo perché, si è registrata una convergenza fra gli interessi delle élites e quelli della popolazione, cosa che, appunto, avvenne negli anni ’60 e successivi in Europa e che si sta realizzando nei paesi in forte crescita come India, Cina ecc. dove la maggior parte della popolazione vive tuttora ancorata ai valori tradizionali che bloccano, ovviamente, il potenziale di espansione dell’economia. Noto, fra l’altro, che in questi paesi in rapido sviluppo non si respira un’aria da funerale come da noi ma si è immersi invece in un’effervescenza molto simile a quella che c’era da noi negli anni ’60. Chissà se la soluzione all’allergia da immigrazione non consista magari nell’emigrare noi stessi in luoghi meno tetri dell’Italia di oggi!
grazie Jorge per l’ulteriore postilla chiarificatrice.. penso davvero che le colpe della sinistra nella rimozione del problema siano pesanti e vadano anche imputate alla incapacità di uscire ragionevolmente dal mito infranto, anzi mai davvero narrato, dell’unità europea
L’ha ribloggato su Redvince's Weblog.
Come “avanzo di sinistra” condivido quasi sempre e quasi in toto le sue analisi e le sue esortazioni. Però c’è qualcosa che rende il mio punto di vista “altro” sul tema dell’attuale immigrazione, che io chiamo (ora apertamente ma dopo anni di subbuglio interiore) invasione di clandestini finalizzata dalle élites alla distruzione praticamente di tutto (welfare, costituzioni democratiche ecc). Sa qual è questo punto di vista? quello di chi è stato estromesso dal consesso civile, gettato via come niente fosse, senza il conforto di una manifestazione, di una marcia, di una protesta da parte di nessuno dei miei connazionali: disoccupata a 55 anni (ora 59) dopo più di 30 di lavoro, messa letteralmente alla fame e al freddo (no acqua calda, no cibo, no riscaldamento), incidentata, ammalata per conseguenza, infine sfrattata e gettata (letteralmente) in mezzo alla strada. Raccattata dalla Caritas e messa in Casa di accoglienza per qualche mese e tra poche settimane di nuovo in strada. Perduto tutto, libri, ricordi, mobili, tutto. Una morte civile e fisica lenta, umiliante, ingiusta.
I giovani che emigrano sono il nostro futuro che se ne va, gli “anziani” come me che non trovano solidarietà alcuna perché in loro nessuno vede la perdita enorme per il tessuto sociale (esperienza, pensiero critico, cultura, capacità di lottare). Anch’io ho studiato, anche su di me questo paese ha investito, se proprio vogliamo metterla sul mero piano economico, e ho restituito come cittadina tutto quello che dovevo e molto di più. Dopo aver lottato con le unghie e con i denti in questi ultimi anni per restare in vita, senza mai perdere di vista le origini e gli interessi che stanno dietro a questa devastazione sociale e dopo aver constatato in prima persona cosa e quanto il cittadino italiano possa aspettarsi a sua tutela (nulla) se disoccupato quasi sessantenne, mi prendo la responsabilità (dolente) di affermare che in ultima istanza, dal profondo del baratro, questi giovanotti africani che alimentano il massacro stanno contribuendo a farmi morire di una morte che non ha nulla di dignitoso.
Con questo, sia ben chiaro che condivido al 100% l’analisi e l’elenco della filiera di massacri che lei considera all’origine di tutto. Ma alla fine della catena ci sono io, persona, essere umano, cittadina italiana.
Non possiamo riavvolgere il tempo (e fino a quando, fino a dove, poi?), potremmo (potreste) però non lasciare in mano alle destre un tema come quello dell’abbandono del cittadino italiano in favore dei clandestini per la paura di essere tacciati di razzismo-xenofobia ecc.
Parafrasando la filosofa De Monticelli vorrei affermare che lo Stato serve a garantire i più deboli, i predatori fanno da sé, che lo Stato “è il guscio che protegge il gheriglio” della parte più debole della società. O almeno dovrebbe esserlo.
Il suo commento per come la vedo io, vale più di parecchi post scritti su vari blog su internet, anche su questo.
Grazie
La sua testimonianza mi colpisce, naturalmente. E mi conferma sulla diagnosi che ho cercato di fare anche in merito alla incapacità della sinistra di pensare ed agire sul tema immigrazione ed emigrazione in modo “laico”. Ogni giorno questo blog denuncia il trattamento che sta subendo la parte più vulnerabile ed esposta degli italiani, rapinati ed espropriati di tutto, ora anche di una parvenza di partecipazione. E per giunta senza “tribuna”, oltre che senza voto, per manifestare la legittima collera.
E ogni giorno sottolineiamo come la strategia messa in atto contro lavoratori, precari, disoccupati, occupati senza garanzie e certezze, popolo senza parola e sovranità abbia sia una declinazione dell’imperialismo, che altrove espropria e bombarda, qui espropria e umilia con ricatti diventati sistema di governo. In ambedue i casi fa della “mobilità”, della cancellazione di identità, legami, memoria, presupposti che conservano e garantiscono la dignità, l’obiettivo, la soluzione finale per rendere tutti schiavi I diritti fondamentali, a cominciare a quello della vita, non hanno gerarchie, non hanno graduatorie, non hanno nazionalità: se ne cancelli uno, a cascata li cancelli tutti, per nativi o stranieri. La difesa della vita e dei diritti degli italiani non prescinde da quella che dobbiamo esigere per chi viene qui, perchè la lotta di classe c’è, la guerra c’è e la stanno muovendo i “padroni” contro di noi, tutti. Non mi pare che dare luogo a una segmentazione di bisogni e men che meno di diritti possa mai essere la soluzione: penso a quel lavoratore straniero che è stato travolto da un Tir mentre manifestava, penso a quelli di Rosarno che si sono battuti contro il caporalato, perché subire in silenzio non deve essere una condanna per nessuno, che sia nato qui o ci sia arrivato su un barcone, o abbia rischiato di essere ammazzato mentre passa una frontiera. Il fatto è che basta guardarsi intorno per capire che gli immigrati non sono un’arma rivolta contro chi aveva e non ha più, di chi era e rischia di non essere più se non una vita nuda, e che ormai siamo alla pari nel destino di vittime. Stabilire priorità, dare luogo a disuguaglianze di “merito” è proprio quello che vogliono quelli che sono uniti, invece, e ci hanno dichiarato guerra.
mi pare che lei colga un nesso importantissimo : gli stessi politici occidentali che tolgono i diritti a daniela ed a tutti noi, sono gli stessi che decidono di bombardare e distruggere paesi come siria libia iraq etc.
E chiaro che poi da simili paesi partono masse di profughi che entrano in concorrenza con i lavoratori occidentali provocando una diminuzione generalizzata dei salari e dei redditi.
E non solo per i lavori meno qualificati, solo un esempio, con la distruzione della iugoslavia arrivarono in occidente tantissimi ufficiali della marina mercantile, tante compagnie anche italiane, li assunsero subito espellendo man mano quelli autocni ( data la situazione gli iugoslavi erani disposti ad accettare salari più bassi).
I circoli imperialistici che decidono le guerre tutto ciò lo sanno benissimo e lo programmano a tavolino (non è solo per il controllo delle risorse), considerano noialtri popolo bue che non si avvede e non si oppone a tutto ciò, capace soltanto di dare il voto a salvini ed ai politici xenofobi che ibernano lo scontento.
Da sempre la lega inveisce contro gli stranieri, ma poi nelle commissioni parlamentari è quella che più chiede aumenti delle quote della immigrazione programmata, gli stranieri servono ai padroncini del nord est.
Purtroppo, se non fossero gli stranieri a venire quì, allora sarebbero i padroni a delocalizzare lì, piu di quanto non avvenga oggi. E che gli dici agli industrialotti, tu non devi delocalizzare? E quelli ti rispondono allora chiudo e vivo di rendita, altrimenti mi indebito per il costo del lavoro troppo alto ( se non è zuppa è pan bagnato, i diritti li perdiamo comunque, fornero, jobs act etc)
La verità e che il capitale si è del tutto internazionalizzato, e noi stiamo ancora a litigare tra nordisti e sudisti, italiani e tedeschi, autoctoni ed immigrati etc. Ed il capitale che si è internazionalizzato domina incontrastato, nei suoi circoli chiusi ride di noi e ci sbeffeggia.
Saremo mai capaci, come sfruttati del mondo intero, di raggiungere un minimo di coosdinamento per contrastare il capitale che da tempo è del tutto mondializzato ?
Ci riuscissimo almeno tra tutti i paesi della vecchia Europa, invece non c’e ancora un sindacato europeo, uno sciopero fatto in tutti i paesi europei contemporaneamente.
Nel frattempo le condizioni di vita e di lavoro peggiorano dappertutto, anche in germania.
Li per i giovani ci sono solo i minijobs a 500 euro al mese. Essi devono sbattersi prendendone almeno due per arrivare a fine mese (il jobs act copia da lì).
Le ferrovie fanno sempre più schifo ( molto meglio i frecciarossa che gli ICE tedeschi anche piu costosi per l’utente)
Lo stato sociale è sempre piu ridotto e ristretto, salari e stipendi sono fermi da anni ed anni, la gente attinge ai risparmi ( il risparmio medio di un tedesco è di 75 mila euro, in italia è di più)
Le pensioni tedesche, per chi termina la vita lavorativa a partire da adesso, sono già piu basse di quelle corrispondenti italiane.
Ma tutto ciò i mass madia non lo dicono, anzi lo censurano, parlano solo dei successi dei trusts tedeschi, e lo si può ben capire: ci dovesse saltare in mente di fare una lotta di classe dal basso verso l’alto coordinata tra tutti i popoli europei? Meglio lasciarci credere che il tedesco medio viva bene a danno nostro, così come in germania la propaganda dice che noi latini cantiamo e balliamo a tutte le ore e poi presentiamo il conto al popolo tedesco!! dividi et impera ueber alles!!