Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ormai li si riconosce subito, si aggirano  trascinando trolley chiassosi o piegati sotto il peso di imponenti zaini che non depongono a nessun costo, nemmeno sul bus da Termini o sul battello dal Tronchetto, l’aria spersa quando si guardano intorno alzando gli occhi dalla cartina spiegazzata scaricata da Airbnb o dalle sommarie istruzioni dell’affittacamere, approssimative, illusorie, inintelligibili per vaga padronanza linguistica o per ancora più imprecisa e sommaria professionalità. È il popolo dei B&B che si riversa non solo nelle città d’arte, ma anche nei piccoli centri, a Rio Bo, a Piovarolo, smentendo, si direbbe, le indagini delle stampa di travel che si duole perché manca un turismo diffuso, tanto che ormai in viuzze medievali, sulle salite scoscese di paeselli montani, lungo le strade dei pellegrinaggi giubilari e non, è tutto un contendersi viandanti e pellegrini da parte di improvvisati locandieri. In questi giorni molto criminalizzati da autorevoli organi di stampa. A cominciare da Repubblica che in cronaca di Roma denuncia: B&B da incubo. Letti a castello, lenzuola lerce, “pulci e zecche”, evasione della tassa di soggiorno: così si arricchiscono gli abusivi. E per abusivi il quotidiano   intende l’organizzazione capillare messa su da dei bengalesi che hanno completamente invaso la zona intorno alla stazione Termini, l’Esquilino, Monti e il centro, prendendo in affitto un appartamento dando forma a un sommerso opaco, che non rispetta leggi e regole e che evade allegramente le tasse.  Altro che bengalesi, chiunque di noi abiti a Roma, Venezia, Firenze ha imparato suo malgrado a convivere con case vacanze, B&B, meublè, a interloquire con passanti in idiomi sconosciuti, a subire intemperanze a base di fiaschi di Chianti e canti a squarciagola offerte generosamente da giramondo a basso costo che hanno sostituito il ragioniere del terzo piano e la vicina cui si chiedeva il latte in prestito.

Quelli non li vedi più. Perché può darsi che l’allarme del quotidiano romano, la denuncia del Gazzettino di Venezia sulle strutture irregolari che frodano a un tempo il fisco e gli incauti turisti confinati in stamberghe fatiscenti e tuguri innominabili, siano suggeriti dalla lobby dell’accoglienza tradizionale e strutturata, quella degli alberghi ma anche quella delle organizzazioni turistiche vaticane, le pie opere che sovrintendono al turismo religioso da qui alla terrasanta, camera con vista e indulgenza compresa, categorie egualmente preoccupate e penalizzate dalla concorrenza sleale di tavernieri improvvisati. Ed è anche vero che questo è un settore largamente consegnato, spesso in  nome di un  patto generazionale assistenzialistico da genitori e nonni a  figli e nipoti,   così “volontariamente” gli anziani mettono a disposizione di una progenie condannata a forme contemporanee dell’arte di arrangiarsi senza né arte né parte, a una sub economia di sopravvivenza,  la casetta al paese per farci l’agriturismo, l’appartamentino nel centro storico col buffet la cucina di formica, contribuendo all’estensione di quella gamma di mestieri imparaticci, precari,  non riconosciuti, parassitari perché diventano redditizi solo se evadi, sfrutti, offri prestazioni dequalificate.

Sono sempre di più i partecipanti a talent, quiz, ma anche le comparse della collera popolare nei talkshow che alla domanda: che lavoro fai, si vergognano di ammettere la condizione di disoccupato e, se non sono piloti di drone come ha rivendicato un orgoglioso giovanotto tempo fa, rispondono: sono nell’accoglienza, faccio il manager nel comparto turistico, proprio come cervelli in fuga in pizzerie londinesi, forse gli unici desiderabili e tollerati che sfuggiranno al giro di vite, perché è poi quello che qui e altrove i padroni vogliono. Contare su incompetenti e ignoranti, su umiliati e ricattati, su dequalificati e frustrati, su espulsi e mai entrati nel mercato, ugualmente condannati a entrare nelle file dell’esercito della flessibilità, quella che garantisce l’occupazione e non il posto, il profitto e non le garanzie.

È che tutto fa brodo nella conversione delle città in luna park, in supermarket della memoria: turismo di massa e turismo esclusivo, albergoni invidiosi di Dubai e strutture ricettive diffuse, sia pure ridotte a pulciai, grandi navi e pullman multipiani, chiese offerte all’addio al nubilato di sceicchi e palazzi storici concessi al  magnanimo interessamento di immobiliaristi e speculatori perché ne “valorizzino” un efficace riuso commerciale.

La bellezza non ci salverà, ridotta com’è a messaggio pubblicitario dei propagandisti del nostro “petrolio”, oltraggiata e svalutata in modo da diventare merce a buon mercato, retrocessa a emergenza che si può fronteggiare solo grazie al compassionevole intervento di sponsor e investitori privati. E quel turismo che sarà sempre più concentrato in poche mani, quelle delle multinazionali del settore, che sguinzaglia i suoi promoter in giro per acquisire immobili, che esercita una pressione implacabile sul territorio e i beni artistici, altro non è che uno dei brand della cupola che governa l’economia globale, che agisce nelle città per trasformarle in contenitori a tempo, espellendo i cittadini e sostituendoli con consumatori dell’effimero, riducendo gli spazi abitativi, elevando il costo degli affitti e dei servizi, soffocando le attività commerciali e artigiane, inibendo trasporto pubblico e collegamenti con i centri storici, favorendo le attività degli acchiappaturisti illegali, come infame compensazione sociale, anche tramite leggi e la promozione di Grandi Eventi, Grandi Mostre, Grandi Patacche imperdibili.

C’è da pensare che siano davvero cultori del brutto, se “il bello si trasforma in semplici cose .. l’arte in merce e il bosco sacro in legname da bruciare”.