secretary_john_kerry_and_italian_foreign_minister_paolo_gentiloni_2014Visto che stiamo toccando il fondo del barile morale e politico, che una banda di dilettanti respinta ad x factor fa strame della Costituzione disegnando faccine infantili su un prezioso incunabolo, potremmo anche pensare di stabilire che il ministero degli esteri vada direttamente all’ambasciatore Usa, in maniera da evitare in futuro l’umiliazione di avere un Gentiloni, un ministro che si stende a tappetino e fa proprie le tesi più oltranziste di Washington, di ascoltare noiosi e banali sermoni sulla Siria e su Aleppo e sulla cattiveria di Assad e della Russia nei quali l’unica cosa che manca è un briciolo di verità e di onestà, cosa del resto è assolutamente ovvia da parte di uno che ha avuto il coraggio di parlare di lotta al terrorismo dal Qatar che ne è uno dei più eminenti e generosi finanziatori.

In questa maniera si risparmierebbe uno stipendio e si eviterebbe  di dover assistere al dispiegarsi del complesso del maggiordomo che rende i troppi Gentiloni di questo Paese più inflessibili e ottusi del padrone nel difendere le tesi, anche quelle più strumentali e grottesche, che esso impone. Ma a interessarmi non sono le bugie del ministro, né la sua visione manichea a chachet e a progetto sul Medio Oriente, né la sua visione elementare delle cose, omologa allo spirito del governo, visto che sono prevedibili e scontate, è in realtà Gentiloni medesimo, il Gentiloni in Sè come rappresentante tipico del ceto dirigente italiano che suscita la mia attenzione. E’ il mal sottile dell’Italia la costante presenza nei dintorni del potere e dei poteri di personaggi cinici, opportunisti all’ultimo stadio e dunque allo stesso tempo fedelissimi fino all’idiozia e voltagabbana fino al midollo. E’ questa miscela, precursore prebiotico di ogni corruzione o cialtroneria che ammala il Paese a proporre un problema: è la microsomia etica derivata dal cattolicesimo della doppia morale e dal far parte di un molle notabilato di città e di Paese il quale, al contrario di quello nord europeo, non si scontra mai col lavoro e con la responsabilità, che causa un vuoto pneumatico di idee oppure è la mancanza di idee, il vuoto intellettuale che permette un’indecente e vacuo pellegrinaggio nell’opportunismo?

Difficile stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina, ma di certo il conticino Gentiloni con annesso palazzo romano ne è un esempio perfetto. Ovviamente di famiglia ricca stabilitasi a Roma, ma marchigiana di origine, epigono di un altro Gentiloni, Vincenzo Ottorino, uomo di fiducia di Pio X, quello del famoso patto del 1913 che permise all’elettorato cattolico di superare i divieti papalini e di riversarsi alle urne in appoggio dei candidati della destra per poter fare fronte contro il socialismo in ascesa. In cambio naturalmente del sostegno nelle materie di maggiore rilevanza per la Chiesa: opposizione al divorzio, istruzione religiosa nelle scuole, apertura alle istituzioni economiche e sociali di espressione cattolica. Questo non toglie il fatto che il conticino Paolo, libero da qualsiasi problema per il futuro, amasse giocare e correre la cavallina politica: ma sì lasciamolo divertire e scapricciare, è la sua età. Infatti alla facoltà di scienze politiche lo vediamo militare nella sinistra extraparlamentare trozkista assieme a Capanna e Toscano, poi passa al Movimento lavoratori per il socialismo e infine al Pdup, il partito di unità proletaria per il comunismo. Ma riesce a non compromettersi mai,  usa il condom politico o mal che vada il coitus interruptus, non ha il coraggio di agire in proprio e assiste da lontano ai pestaggi incitando, poi a tempo perso insegna catechismo con Agnese Moro.

Dopo l’università però sparisce dalla vita politica per farsi un po’ gli affari suoi, sganciandosi progressivamente, ma tenacemente dagli ambienti del movimentismo, mette la testa a posto e ricorre a una delle lavatrici politiche più in voga negli anni ’80 la quale permette un facile riciclaggio su altre sponde: diventa un ecologista e grazie ai compagni conosciuti  quando faceva il finto rivoluzionario, il chierichetto Realacci e il boiardo di stato in pectore Chicco Testa, riceve in dono la direzione di Nuova Ecologia, la rivista di Lega ambiente, nell’ambito della quale conosce il suo quasi omologo Rutelli. Ed è così che anni dopo,  a seguito di  un’ “impegnativa” vita di portavoce del sindaco piacione, anche lui di famiglia avita, diventa assessore al Giubileo gestendo miliardi e miracolosamente proprio in quel periodo è anche tra i fondatori della Margherita,  con la quale arriva finalmente al parlamento, da cattolico e papista dichiarato. La sua carriera s’impenna liberandolo dalle scomode vesti dell’epigono che in sostanza lo avevano indotto alle sue sterili avventurette rivoluzionarie: deputato, sottosegretario, presidente della commissione di vigilanza Rai e ministro delle Comunicazioni nel secondo governo Prodi. In questa carica Gentiloni si distingue per il suo totale immobilismo sulla questione dell’occupazione abusiva, da parte di Rete 4, delle reti di trasmissione riservate ad Europa 7. Incurante della messa in mora dell’Italia da parte della Commissione europea, Gentiloni non muove un dito per tentare di scalfire l’impero mediatico di Berlusconi. Il fatto che sia in prima linea nella costituzione del Pd testimonia ampiamente della natura di questo partito finito poi in mano a Renzi non per caso.

Diventato ministro tramite Napolitano per il suo incondizionato  e quasi patologico filo atlantismo, nonostante non avesse alcuna esperienza di politica estera, adesso ce lo ritroviamo ad armeggiare scompostamente e goffamente nel mediterraneo e in Medioriente, nel tentativo di anticipare i desiderata di Washington, con scarso successo per la verità. Alla fine dimostra esattamente ciò che voleva evitare, di essere un soltanto un epigono, un discendente di, pronipote di che ripete sotto forma di farsa ciò che prima era tragedia e purtroppo fa una farsa di ciò che è tragedia oggi.