finlandia-fig-5Troppa spesa pubblica in investimenti e welfare, troppi diritti per i lavoratori, troppe tasse per le aziende, troppo poche per i poveracci questa era la ricetta dell’imprenditore Sipila per vincere le elezioni del 2015 comprendente alcuni capisaldi della bibbia liberista, un obbedisco all’Europa per quanto riguardava  il rapporto debito -pil e veniva presentata come la sola strada praticabile del Paese per uscire dalla crisi e rilanciare l’occupazione pur rimanendo nell’area euro.“Vi prometto che creerò almeno centodiecimila posti di lavoro (in rapporto agli abitanti è anche più del milione di Berlusconi n.d.r), ma allora dobbiamo accettare tutti riforme dolorose”.  Gli hanno creduto e adesso sono guai grossi perché purtroppo le bibbie dicono troppe sciocchezze e deludono gli sforzi  dei fedeli ai quali, impoveriti, non rimane che ribellarsi o credere ancora di più nell’impossibile: a un anno e mezzo di distanza la situazione è talmente marcita che in estate governo e sindacati hanno firmato un accordo per il quale i lavoratori devono rinunciare a tre giorni di ferie l’anno in cambio di nulla.

Certo i fattori del declino sono molti, intanto la moneta unica che segna la differenza con l’assai più prospera Svezia, la scomparsa di Nokia, la diminuzione del consumo mondiale di carta e infine il colpo di grazia delle sanzioni alla Russia che ha fatto mancare 450 milioni di export, ma la radice del male incurabile sta  proprio nel credere che si possa risollevare un’economia diminuendo gli investimenti pubblici, sgretolando il welfare e colpendo le tutele del lavoro in nome di una presunta competitività. Sono illusioni e miraggi anche piuttosto grossolani perché chiunque è in grado di comprendere che se tutti vogliono diventare competitivi a suon di bassi salari e falò di diritti, non si arriva a nulla e si innesca solo una corsa allo schiavismo. Ma appunto più gli articoli di fede vengono smentiti dai fatti più ci si attacca ad essi: c’è perfino gente che arriva a considerare cosa buona e giusta la cancellazione della black list dei paradisi fiscali fatta da Renzi e riesce egualmente a guardarsi allo specchio.

Ma insomma la Finlandia alunna prediletta degli oligarchi di Bruxelles che non mancano di inserire i suoi uomini come cerberi a guardia dei Piigs, appartenente alla chiesa economica di Chicago, è sull’orlo del disastro: la disoccupazione è cresciuta del 5% nell’ultimo anno, il prodotto interno lordo è completamente fermo da due anni dopo il calo del 6%  nei primi anni successivi alla crisi, il debito pubblico è ancora aumentato nonostante sia al 70% del pil e dovrebbe dunque indicare una buona salute economica, a dimostrazione  delle scempiaggini austeritarie e in qualche zona particolarmente colpita dalla disoccupazione l’emigrazione raggiunge punte folli, cominciano a vedersi le mense per i poveri gestiti dalle chiese protestanti (che del resto da decenni percepiscono quasi il 2% della tasse) e la protesta si esprime grottescamente con le ronde dei “soldati di Odino” (anche se i Finni con germani e vichinghi non c’entrano proprio nulla) espressione del resto di un partito che è al governo, come se il problema del Paese fosse quello dell’immigrazione e non invece l’attaccamento a idee perverse e antropologie deliranti.

Per il modello liberista e la sua traduzione europea  il caso finlandese  è molto più grave della crisi umanitaria cinicamente provocata in Grecia: quelli sono levantini, avevano mentito, non sanno farsi i conti in tasca, sono spendaccioni, hanno quel che si meritano. Ma il paese dei laghi costituisce un colpo di stiletto: ha sempre fatto i compiti a casa, è tra i falchi dell’europrigione,  addirittura  qualche annetto fa il World economic forum con l’intelligenza che lo contraddistingue, considerava quella finlandese come una delle dieci economie più competitive del mondo. E invece eccola lì alle prese con le mense di carità a fare da Grecia sul Baltico, ma pur di non riconoscere i diritti al lavoro e alla dignita il governo delle promesse mirabolanti non pensa affatto a sviluppare quei servizi, vecchi e nuovi (l’elenco potrebbe essere infinito dall’assistenza all’ambiente) che sono stati erosi dalla inesausta battaglia contro il welfare, a sostanziali tagli dell’orario di lavoro, allo sviluppo di attività incipienti, ma ancora inedite, a piani di investimento pubblico nella produzione o a una uscita dall’euro divenuto insostenibile, bensì a un reddito minimo, al limite della sopravvivenza per tutti, ricchi compresi, che a prima vista potrebbe sembrare il bengodi, ma toglie qualsiasi altra assistenza, compresa quella sanitaria o per la casa ed è studiato in realtà per permettere un taglio drastico e vertiginoso dei salari. Il fatto è che il lavoro fa paura alle oligarchie dominanti: esso conferisce forza, pensiero, colleganza, sapere, senso della dignità e dei diritti che sono potenzialmente pericolosi per il potere, mentre l’elemosina – come al tempo della decadenza imperiale romana – rende docili e dipendenti, servi ancorché senza servizio.