Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nutro poca simpatia per gli specialisti,  siano “economisti” prestati in qualità di tecnici alla politica,  in virtù di  studi applicati  ad impervi e fatui algoritmi  o a esercitazioni ragionieristiche, o a corpose pubblicazioni bottino di guerra e frutto dell’esproprio accademico del lavoro di associati, studenti, assistenti, siano  clinici con un eloquio da Dottor Purgone  o Dottor Olezzo dispiegato per trarre proficue parcelle dal loro insondabile ermetismo , siano etologi – quanti se ne vedono nei discovery channel  – votati alla formica argentina o alla tarantola dell’Orinoco. Ma anche, perché no? idraulici consacrati solo alle caldaie che tengono in spregio e si sentono umiliati se li chiami per lo sciacquone.

I peggio però sono i professionisti della vanvera,  i tecnici della superficialità, gli esperti in burbanzoso vaniloquio, i vocati alla disinvolta genericità, i periti della vacua fatuità. Pare abbiano un gran successo a leggere in giro i commenti a seguito di un duello impari che ha visto contrapposte due icone improbabili, quanto uno della Scuola di  Francoforte e Fusaro, Barthes e Moccia, Leonard Cohen e Jovanotti, un confronto plasticamente riassunto da un sito di satira: Renzi che spiega la Costituzione a Zagrebelsky, come dire Fox che spiega le stelle alla Cristoforetti.

Ed è facilmente spiegabile: le fanfaluche dell’astrologo che spiega lo spazio tempo a Hubble (anche se    andrebbe meglio Subrahmanyan Chandrasekhar : vorrei vedere all’opera sul suo nome tutti quelli che hanno imparato proprio stamattina a scrivere quello del costituzionalista) sono quelle che vuole  sentire e cui vuole credere  chi ha rinunciato a essere cittadino, chi non può più essere consumatore, chi non ha molto interesse a essere elettore, chi è  vessato come utente,  chi preferisce  rannicchiarsi nella poltrona di telespettatore, col diritto a fare il tifo per i famosi nell’isola o da Mentana, a giustiziarne qualcuno  col televoto o a premiare il talento di altri.

Situazione comoda, invidiabile, permette di guardar cadere le bombe su civili inermi, togliendo il sonoro così il rombo degli aerei della civiltà superiore non copre il suono cristallino del ghiaccio nel bicchiere, dà la facoltà difensiva di cambiare canale se mostrano bambini che galleggiano sulle acque del Mediterraneo, offre l’occasione per confermare la differenza tra morti nei boulevards e nelle promenades e gli altri, quelli che nella contabilità globalizzata valgono meno di zero o rientrano in impercettibili grandi numeri.

Condizione ideale perché si sta sempre dalla parte della “ragione”, grazie a un ceto giornalistico che non dà mai torto ai padroni, non toglie loro la parola, non li smentisce coi fatti, non li rimbecca con dati e numeri incontestabili, non li svergogna e non smaschera le loro frottole nemmeno le più sfrontate. Perché non sa, perché non vuol sapere, perché se sa non vuol farlo sapere al pubblico, perché è tenuto per contratto a divulgare quello che gli viene spacciato perché lo trasmetta a noi, poco, il pochissimo che gli è concesso, come un premio o una paghetta o una circonvenzione di ricattato, svelare degli arcana imperii. 

E perché via via si è rafforzato un processo di infantilizzazione dell’informazione e del pubblico, che somministra la prima,  ed esige il secondo,  concetti sempre più elementari, per limitare la fatica del pensare e del decidere di conseguenza, che conferma l’egemonia della superficialità e dell’ignoranza come qualità pop e rock, quella istantanea  del presente che deve modernamente il sopravvento sul passato e pure sul futuro, quella dello slogan che può sostituire il ragionamento e del lucido al posto del provvedimento che forse un domani seguirà sotto forma di decreto attuativo.

C’è una parola magica che il governo del duellante che ha avuto più successo di pubblico, ha messo al servizio dell’ideologia del suoi padroni e delle riforme che gli hanno ordinato di promuovere: semplificazione. È perfetta per un popolo che si vuole regredito alla condizione servile, quella che ha bisogno di ridurre cultura e istruzione  per ricattare e intimidire, in modo da poter spacciare bugie e illusioni a chi non ha modo di smentire o di preferire la conoscenza e la verità. È quella che permette di irridere la competenza e quindi la facoltà di vigilare  e controllare l’operato della politica e dell’esecutivo, per aggirare leggi, legittimare deroghe. È quella che, come succede da quando una cricca che si riconosce in un maturo giovinastro lo vuol far reuccio grazie a un plebiscito su di lui e sulla sua permanenza al potere, possiede il segreto per far ripartire l’economia, per sbrigliare la crescita, per rafforzare la competitività, ostacolati da mummie misoneiste, professoroni conservatoristi, accademici neofobici.

Non avrebbe dovuto prestarsi il professor Zagrebelsky a opporre ragione e ragionamento a slogan e frasi fatte, contenuti e conoscenza a bugie e motti, e la complessità della realtà alla semplicità della propaganda, la necessità di trasformazioni di sistema alla botteguccia di un prestinaio che non vuol mollare il banco e la cassa.

Lui lo ha fatto per amor di verità, per spirito di servizio, qualcosa di sconosciuto ed avversato da chi vive di sopraffazione e menzogna.  L’altro forse lo ha fatto perché è abituato a vincere facile.. e ciononostante comincia ad aver paura. Spetta al No fargli sapere che stiamo entrando nella sua età del Terrore.