Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quasi 40 milioni a chilometro è costato il Passante di Mestre, Grande Opera necessaria, si disse, per alleggerire il traffico sull’autostrada A4, quella che collega Torino a Trieste.

Talmente necessaria che malgrado i costi iniziali di costruzione siano lievitati di più del 60%, malgrado sia fortemente passiva – i pedaggi, anche a fronte dei provvidenziali rincari imposti dalla Cav, Concessioni Autostradali Venete, l’azienda di gestione al 100 per cento pubblica, che non bastano a ripagare l’unica socia, insieme alla Regione Veneto della Cav, l’Anas, delle spese di realizzazione, malgrado le società costruttrici siano coinvolte nel  “Mafia Serenissima”: nel corso delle indagini  sarebbe emerso un collegamento tra il MOSE e le altre infrastrutture che le società del Consorzio Venezia Nuova, tra cui la Mantovani spa, stavano realizzando in Veneto, la principale delle quali  era proprio il Passante di Mestre, malgrado tutto questo, dunque, che conferma come quel territorio sia diventato il laboratorio sperimentale del programma globale di concedere al privato il controllo totale sul pubblico per indirizzare le risorse  verso i propri interessi, grazie alla corruzione economica e a quella delle leggi,  la Bei e la Commissione hanno disposto un magnanimo “sostegno pubblico” all’ intervento, annoverato tra quelli strategici.  Un aiuto generoso che consiste nell’emissione di bond, obbligazioni per rifinanziare il debito, per un valore compreso tra i 700 e i 900 milioni, con una durata di 15 anni e garantite dalla banca di investimento europea, che si fa carico della restituzione di almeno il 20 per cento del prestito offerto dai sottoscrittori.

È bene che lo ricordino quelli che si illudono che la riesumazione del Ponte sia solo una boutade pre-referendaria (a dicembre arriverà alla Camera il Ddl sblocca-ponte, esulta Alfano), quelli incantati dallo “sviluppismo” dinamico tramite cemento e dissipazione del suolo, quelli che pensano che l’occhiuta matrigna tirerebbe le orecchie al burbanzoso scolaretto se volesse girare il suo film tra un colossal e il Padrino. E siccome si tratta di quelle mega produzione che farebbero invidia a Hollywood, con tanto di sequel, i protagonisti ritornano e non muoiono mai. Infatti nell’ormai lontano 2005 indovinate chi si aggiudicò l’appalto per il Passante: proprio Impregilo, fino a tre anni prima principale azionista del Consorzio Venezia Nuova, che aveva partecipato con un solo competitor, la Pizzarotti di Parma. Che misteriosamente in prima battuta si macchia di un errore procedurale: la  busta non è sigillata con la ceralacca, tanto che  la gara viene rinviata e non sorprendentemente se l’aggiudica il solito sospetto. Pizzarotti protesta, ricorre, dimostra, ma inutilmente, che tutti i parametri erano in suo favore, salvo uno a dir poco discrezionale, quello sul “valore” attribuito dalla commissione giudicante alle imprese partecipanti. Niente da fare, Impregilo, la società davanti alla quale il premier si è pubblicamente inchinato, firma il contratto con la Regione entusiasticamente rappresentata dall’allora presidente Galan che dichiara che la sua soddisfazione “è indescrivibile, è a un livello sublime”.

Ora c’è da chiedersi perché mai dovremmo avere fiducia in questi soggetti, che ogni volta ritornano in una danza macabra, dandosi il cambio e avvicendandosi, rinnovando alleanze e ricostituendo cordate: loro sì che hanno saputo unirsi in tutto il mondo,  cui “si dice” partecipino imprese “riconosciute” ufficialmente  come criminali, con marchio dop della mafia, in modo da non perdere mai le occasioni munificamente offerte da governi assoggettati alle cupole dell’impero.

Perché mai dovremmo permettere che i loro profitti si moltiplichino a spese nostre, inseguendo illusorie promesse di “partecipare” dei miserabili resti dispensati dalla manina della loro ingiusta Provvidenza. Ormai nessuno dei contigui a questa marmaglia, a queste cricche miste: privato, pubblico, politico, nazionale, estero finge più di credere al mantra tante volte ripetuto ma solo a fini propagandistici. Ambiente, niente, diceva un comico di qualche anno fa, e niente manutenzione, niente risanamento, niente opere di salvaguardia, niente ricerca e applicazioni tecniche per la sicurezza delle città, dei suoli, delle acque, meno che mai del lavoro, perché la loro crescita, il loro sviluppo, il loro avanzare impone di soggiogare paesi, popoli, risorse alla loro furia spoliatrice, che deve fare presto, macinare investimenti, moltiplicare dividendi.

E allora bisogna dire di No. Alle loro riforme come alle loro piramidi. Perché le due cose sono intrecciate strettamente, indistinguibili dentro alla menzogna della stabilità, alla convenzione della governabilità. Se, come è vero, la realizzazione delle grandi opere permette di accrescere considerevolmente gli effetti  del processo di appropriazione criminale di rendite parassitarie, concentrando le opportunità di profitto illecito entro sedi istituzionali e processi decisionali circoscritti e più facilmente controllabili,  quelli di un “sistema” che non si preoccupa di violare il codice penale, perché le leggi sono state piegate alle sue esigenze, a quelle di emergenze fittizie che prevedono regimi eccezionali, deroghe e commissariamenti, procedure semplificate, il sopravvento di soggetti monopolistici.

Se non siete faraoni e se non volete essere schiavi, se non credete al mito futurista della velocità che accorcia i tempi di percorrenza dall’umiliata Calabria alla mortificata Sicilia, se non avete fatto giuramento di fedeltà a clan criminali o “diversamente” criminali, se vi sta a cuore il bene comune, se volete riprendervi spazio, respiro, decisioni e libertà, vi conviene cominciare a dire No .