Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ma si, era pretendere troppo. Era troppo chiedere che la zarina di Montecitorio, fiero e sdegnoso busto marmoreo della nomenclatura, tradisse i suoi lazzaroni sorpresi a sonnecchiare, a giocare a battaglie navali bipartisan, a guardarsi la partita, a votare al posto di qualcun altro. Era esigere troppo che si ravvedesse e magari, come è da sempre d’uso presso governo e istituzioni, rimuovesse un subalterno nelle vesti di opportuno capro espiatorio.

Non è successo. Non ci si può che compiacere che la prestigiosa professione di comunicatrice in una delle più autorevoli organizzazioni umanitarie del mondo abbia consolidato una militanza a sostegno di diseredati, marginali, vittime di soprusi e sopraffazioni effetto di tremende disuguaglianze e di feroci ingiustizie. Ma proprio per non dover dare ragione a Salvini, sarebbe stato lecito o forse ingenuo, chiederle che, dopo tanto prodigarsi in compassione nei confronti di soggetti preferibilmente remoti, ponesse riparo anche a qualche offesa all’uguaglianza  e a qualche ferita alla dignità recate a cittadini nostrani, quelli di serie B la cui esistenza, la cui privacy, le cui scelte ed inclinazioni sono controllate, sorvegliate e limitate. Mentre per altri, che soggiornano nelle sue stesse stanze dell’augusto palazzo, la sfera personale è avvolta da una doverosa sacrale cortina di riservatezza, a difesa del decoro, della rispettabilità, della reputazione.

Invece non abbiamo avuto notizia che si sia inalberata per la inopportuna decisione di emanare ed applicare un regolamento della Camera che detta precise indicazioni ai cronisti che frequentano aule e Transatlantico, semplici precetti salva-onore dei deputati, affinché il loro prestigio e la loro rispettabilità non venga compromessa dall’oltraggiosa diffusione di immagini che li ritraggono in indesiderati effetti collaterali della loro missione, onerosa, pesante, diciamolo, noiosa: addormentati, che sbadigliano, che russano con le fauci spalancate come succede a alunni svogliati, quando gli casca la testa per via di una incontenibile pennichella, o mentre si trastullano col tablet, fanno solitari, seguono la squadra del cuore, costretti in quel caso a trattenere grida di giubilo o accuse infamanti all’arbitro.

Avevamo creduto che l’onorevole Boldrini fosse una preside severa ed implacabile, quando la vedevamo assisa sul suo trono ieratica e accigliata come un satrapo orientale. Invece i fatti ci smentiscono, sa essere indulgente e tollerante con i suoi scolaretti, non fosse solo per tutelare il buon nome dell’istituto. Tanto che il regolamento che i giornalisti dovranno sottoscrivere, pena l’interdizione dai locali della Camera, vige anche per la cattura di filmati e immagini ripresi durante la sospensione delle sedute, privandoci della visione di zuffe, tafferugli, lancio di fette di mortazza oltre che di epiteti sanguinosi. Ma il tifo per l’uno o per l’altro contendente non sarà vietato solo a noi. Anche i cronisti saranno obbligati a comportamenti sobri, a una regale compostezza degna di una corte, sollecitati a non manifestare con evidenza suffragio o scontento durante i lavori, costretti a un rigoroso silenzio.

Per carità, non c’è da dolersi particolarmente per un codice di comportamento imposto ai giornalisti e in particolare a quelli che seguono la politica nazionale: è proprio un sovrappiù, un’aggiunta di censura, un eccesso di bon ton dei quali non hanno gran bisogno, abituati come sono alla sottomissione, alla deferenza,   all’assoggettamento cieco e ubbidiente, fino all’ammirazione fanatica.

E non stupisce neppure che l’unico mestiere rimasto, degno di rispetto, tutela, salvaguardia sia quello di deputato, anche quando sconfina in quello del  Michelasso.

Ma magari per mantenere la credibilità e l’autorevolezza equanime di icona della giustizia e di sacerdotessa della solidarietà –  a prescindere da quelle della formazione che l’ha fatta eleggere, decisamente piuttosto offuscate – la presidente della Camera avrebbe potuto ricordare trattamenti disuguali riservati ad altri lavoratori, quelli per il cui controllo sono stati autorizzati, anzi raccomandati per via di quella manomissione della verità che è diventata sistema di governo, sistemi di videosorveglianza e controllo a distanza, che li seguono senza interruzione, a “tutela di interessi ed esigenze organizzative e produttive”.

Esigenze organizzative e produttive? Ma allora è presto fatto. Quelli lavorano per noi, sono alle nostre dipendenze, li paghiamo e adesso vogliono cancellare anche l’unico strumento che avevamo per rompere il contratto e licenziarli: non ci resta che applicare il Jobs Act, condannarli alla precarietà, sorvegliarli, ricattarli e pagarli in vaucher.