Quattro giorni fa abbiamo assistito alla sceneggiata di Renzi a Bratislava con la quale il guappo ha tentato di far credere agli italiani di aver disertato la festa mediatica finale quando nemmeno era stato invitato, l’altro ieri le elezioni a Berlino hanno sancito la crisi della Merkel e ieri Putin ha confermato invece la sua salda presa sulla Russia. Sono tre avvenimenti collegati non soltanto dall’unità di tempo, ma anche da una aggrovigliata logica di concatenazioni, sono parte di un dramma che viviamo e non avvertiamo dentro il rumore bianco di troppe notizie. Tutto è cominciato quando gli Usa, trascinati anche da famelici tycoon che creano guerre dietro il paravento delle azioni umanitarie, hanno pensato che fosse venuto il momento giusto per circondare e isolare la Russia, creando la crisi Ucraina e costringendo un’ Europa tesa al servilismo della prima internazionale finanziaria oltreché subornata dalla Nato, a tener loro bordone.
Con questa azione Washington ha creduto di ottenere definitivamente sollievo dal suo incubo, ossia quello dei rapporti fra Paesi europei e Russia che, assieme alla Cina, è in grado di mettere in crisi il suo dominio globale. Ma sebbene trascinate nel conflitto Germania in primis e Francia a seguire hanno fatto una sotterranea resistenza e Berlino in particolare, ha sottoscritto con Mosca un accorso per il North stream, ovvero un nuovo oleodotto che attraverso il baltico dovrebbe portare il petrolio fino in Meclemburgo, vicino Rostock, bypassando l’Ucraina e persino gli stati a stelle strisce dell’est. Imperdonabile nell’ambito delle sanzioni inflitte a Mosca per la sua assurda e tracotante pretesa di non essere circondata. Ed ecco allora che salta fuori da chissà quale cassetto, un test fatto un anno prima da una sconosciuta agenzia “indipendente” americana secondo la quale i valori delle emissioni di due modelli Volkswagen sono più alti del dichiarato. Un segreto di Pulcinella, tanto più che in precedenza questa agenzia che si guarda bene dall’esaminare le macchinacce dello zio Sam, aveva ottenuto risultati sostanzialmente analoghi con modelli di quasi tutte le aziende europee e giapponesi, salvo Ford, Opel e Fiat , non prese in considerazione chissà per quale misterioso motivo. E giù minacce di multe miliardarie. Così comincia la campagna anti Merkel a cui si aggiunge il pasticcio turco sui profughi e i fatti di Colonia, esplosi mediaticamente addirittura dopo una settimana dagli eventi e preceduti da una serie di flussi sui social network con origine in California. Infine è venuta la richiesta del governo americano di 14 miliardi alla Deutsche Bank per chiudere lo scandalo dei titoli tossici legati ai “titoli subprime”: un qualcosa di paradossale visto che il meccanismo è nato, cresciuto, coccolato e marcito negli Usa. Ma chi tocca i fili muore, anche se il complesso franco -tedesco ha risposto prima con la multa alla Apple per evasione fiscale e poi con lo stop al Ttip.
Su questo terreno il povero Renzi deluso nelle sue aspettative di flessibilità necessarie viste le ferite che lui e il suo ambiente cialtronico hanno prodotto nell’economia del Paese, dopo un tentativo di mettersi a ruota ha cambiato di campo e da creatura di Bruxelles tenta di proporsi a Washington come quinta colonna: non è un caso che la sua penosa e bugiarda sceneggiata di Bratislava segua di poche ore la decisione di far firmare a Padoan un documento in cui si chiede la ripresa delle trattative sul trattato transatlantico. Una mossa organizzata in cambio della quale è riuscito a strappare ad Obama e al suo ambasciatore da un americano a Roma, parole di elogio e di ricatto per la sua indecente riforma costituzionale. Su tutto questo verminaio si staglia la vittoria alla Duma del partito di Putin che ha ottenuto la maggioranza assoluta: svaniscono le speranze statunitensi di un indebolimento di Mosca e si rinforzano le tentazioni di autonomia del blocco carolingio, nonostante le difficoltà di segnare qualche distanza immersi fino al collo nella Nato. In mezzo come un coglione c’è Renzi che di certo gli americani giudicano un pallone gonfiato inaffidabile e che ora anche l’Europa che conta considera tale. Una situazione davvero impossibile dalla quale non c’è che una via di fuga: liberarsi di quest’asino cotto e dei musicanti cialtroni, all’asfittica atmosfera di retorica da twitter e di corruzione. E di certo un no al referendum, che tutte le elites atlantico finanziarie temono perché segna un’inversione di rotta rispetto al dileggio della democrazia, ci toglierebbe se non altro da questa condizione di arlecchini a ore che è la premessa per la svendita totale del Paese.
Renzi è un sodale di Merkel, Hollande ecc. Non è una comparsa ma un protagonista a pieno titolo. Gli screzi, sgarbi e polemiche tra leader sono un gioco delle parti. Tant’è vero che l’articolo che lo Spiegel ha dedicato due o tre giorni a questo “strappo” renziano aveva a corredo la sezione commenti dove diversi tedeschi scrivevano cose del tipo: “Ci vorrebbe anche da noi un Renzi, uno che dice le cose come stanno”. Io, leggendo, allibivo ma, evidentemente, lo scacchiere non è più solo italiano e le valenze di una qualsiasi dichiarazione hanno riflessi inattesi quando ci allontaniamo dall’Italia. Pensare poi che Renzi abbia davvero il compito di far quadrare i compiti economici del nostro paese anziché affossarlo non è realistico. Dobbiamo decidere quali occhiali usare, quali narrazioni ci convincono di più. Se siamo persuasi che l’Unione Europea abbia deliberatamente obbligato gli stati membri a varare politiche economiche suicide puntando anziché sullo sviluppo sulla depressione, in modo da favorire le economie dei paesi emergenti e creare un terzo mondo europeo pieno di povertà e di salari bassi, allora capiamo bene che Renzi sta solo facendo fino in fondo il suo “dovere” e non rischia per nulla di fare “cattive figure” con i suoi sodali per gli insuccessi economici ma, semmai, di prendersi una medaglia al valore militare. Nel senso che, come spesso è stato riconosciuto anche su queste pagine, il nemico dei leader mondiali è il popolo ed ogni diminuzione di potere popolare è una grossa vittoria per le élites. Da questo punto di vista i mandanti di Renzi gli potrebbero rimproverare solo un’eventuale sconfitta al referendum. Ma anche se fosse, e anche se Renzi se ne andasse, gli scenari non muterebbero. Arriverebbe un nuovo primo ministro che riceverebbe la busta delle istruzioni dall’alto, come tutti i precedenti. Oggi, in fondo, è facile fare il primo ministro, basta seguire le istruzioni. Ma quello che non è facile è essere scelti perché, oltre al pedigree neoliberista/mondialista, bisogna avere anche la virtù dell’attore che buca lo schermo e che, quando parla, ti convince per come è, per come si muove, per come sorride, per l’energia che dimostra, per come riesce a far sentire importante chi lo ascolta e per come è capace di comunicare a livello di pelle con i suoi connazionali. In questo senso Renzi è il risultato di un casting eccellente perché, mentre sta disastrando la scuola, la sanità e qualsiasi altra istituzione che si teneva in piedi, riesce a risultare simpatico e convincente e la sua retorica si sposa all’immaginario collettivo degli italiani in un modo che sarebbe difficile ipotizzare per gli altri leader attualmente sul tappeto. Dobbiamo quindi, secondo me, uscire dalla personalizzazione della politica per renderci conto che non è utile prendersela con qualcuno che non ha, in ultima analisi, un potere proprio ma solo mediato, che è qui per uno spazio di tempo che non è lui a decidere ma i suoi mandanti, e che, senza essere l’ultima ruota del carro, è anche molto ma molto distante dalla prima.
Intanto ci si può accontentare di capire chi è il sergente che ha dichiarato guerra ai diritti del lavoro…poi ci sarà tempo per individuare chi siano i generali ( che peraltro hanno interesse a rimanere occulti…).
leggete:
http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o49217:e1
e qui:
http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o49206