11.02.10-farmacoeconomiaDa tempo avevo intenzione di scrivere qualcosa sulla sindrome del mangiar sano che non è altro se non una sintesi tra volgare interesse commerciale, suggestioni di rete e di stampa, indicazioni mediche superate, ma resistenti nell’immaginario e falso quanto erratico appello alla tradizione o meglio a una tradizione di fantasia. Insomma la ricerca di una illusoria ricerca di sicurezze ormai svanite sul piano sociale o birignao alimentare di benestanti. Se a tavola qualcosa non invecchia quella è l’industria alimentare ancor prima di quella del farmaco. Mi sono sempre trattenuto rendendomi conto di andare a rovistare dentro un vaso di Pandora e di farmi bestemmiatore dei nuovi culti, ma per adesso mi spingo a narrarvi qualcosa di straordinariamente illuminante sull’industria farmaceutica e su quella della fiorente economia anti colesterolo.

Bene, a fine primavera è uscito uno studio sul British Medical Journal, vale a dire una delle pochissime riviste di grande prestigio scientifico non legato ai “contributi” dell’industria farmaceutica  o alla pubblicità, nel quale si rilevava che il colesterolo compreso quello cattivo Ldl, non è un fattore di rischio per le persone sopra i 60 anni. Anzi è venuto fuori che il 92% degli anziani con colesterolo alto ha vissuto a lungo o più a lungo di chi aveva livelli bassi di colesterolo, mentre nel rimanente 8% del campione studiato studiato non è stata trovata alcuna associazione tra patologie di vario genere e Ldl. Come ciliegina sulla torta il un gruppo internazionale di esperti che ha passato in rassegna 19 diversi studi sull’argomento e condotti su 68.000 persone ha persino trovato correlazioni che indicherebbero una azione anti cangerogena del colesterolo. La scienza avanza e “falsifica” ciò che pareva una pietra miliare ancora vent’anni fa e grazie a nuovi strumenti di indagine e a nuove possibilità informatiche fa invecchiare le tesi precedenti.

Purtroppo però proprio su quelle è nata una fiorentissima industria che va dagli yogurt alle statine e insomma una gigantesca industria del senza colesterolo: così due mesi dopo lo studio del British Medical Journal, a fine agosto, la Società europea di cardiologia riunitasi a Roma ha lanciato una campagna per dimezzare i livelli di colesterolo ritenuti “normali”, nonostante essi siano già stati ampiamente ritoccati verso il basso per dare sempre più spazio alle statine: se il limite dopo il quale comincia ‘ipercolesterolemia oggi è di 200 o 190, dovrà diventare 100. Ovvio che vi siano pareri diversi e scontri di idee, ma in realtà è una decina di anni che il ruolo attribuito al colesterolo viene via via sempre più messo in dubbio per cui questo repentino e così radicale abbassamento dei livelli appare quanto meno sorprendente. Sorprendente se non fosse che qualche settimana prima era stato espresso parere favorevole da parte del Comitato dei Medicinali per Uso Umano dell’EMA, riguardo  ai primi farmaci anticorpo monoclonali per il trattamento dell’eccesso di colesterolo i quali, ma solo per una straordinaria casualità sono in grado di dimezzare i livelli di colesterolo.

Certo sono farmaci molto costosi: fra una decina di mesi quando arriveranno in farmacia costeranno intorno dai 400 ai 500 euro per un trattamento mensile in Gran Bretagna, Austria e Finlandia dove il prezzo è già stato stabilito e più di 1000 negli Usa.  Ovviamente si tratta di farmaci che  senza un intervento della sanità pubblica solo pochi potranno permettersi. Un intervento che potrebbe non avere troppe conseguenze di bilancio se fosse riservato a quelli che hanno almeno 440 mg di colesterolo totale e considerati dunque a rischio. Ma il 31 agosto i cardiologi hanno stabilito che questi nuovi farmaci sono necessari anche a chi oggi ha livelli considerati normali e sui quali è determinante la genetica più che la dieta, ad onta del salutismo acefalo e fideista che tuttavia non è certo privo di interessi. E tutto questo in presenza di studi che propongono corposi dubbi sulle conseguenze ipotizzate in passato, un passato che appare remoto, anche se su di esso si è sviluppato il gigantesco business del cholesterol free che secondo alcune ricerche ha favorito la crescita dell’obesità negli Usa togliendo inibizioni alla bulimia.

Non si sa cosa preferire, se un passaggio di somme straordinariamente elevate dalle casse della sanità pubblica a quelle delle multinazionali del farmaco per qualcosa dichiarate utili ex ufficio e fuori busta per chi vuole intendere oppure la resa al fatto che solo i ricchi possono curarsi. Magari con l’unica consolazione che finiranno per morire prima.