Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quante volte ci siamo lamentati dell’Istat che non possedeva  la necessaria terzietà, la doverosa obiettività, che i suoi pc erano tarati per rispondere a esigenze  governative, come le bilance di certi pizzicagnoli disonesti.

Ammesso che la statistica sia una scienza –  e è tutto da dimostrare come in fondo per l’economia –  di certo non è una scienza esatta, a cominciare dall’arcinota teoria secondo la quale “risurta che te tocca un pollo all’ anno:… ma… se nun entra ne le spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perche’ c’e’ un antro che ne magna due”. E che potrebbe avere a che fare –  il teorema del pollo – con l’accertata impossibilità da parte dell’illustre Istituto di raccogliere i dati necessari a togliere mezzo pollo al Parlamento: gira che ti rigira gli autorevoli investigatori non vennero mai a capo del complesso impianto cabalistico di stipendi, rimborsi e benefit dei nostri rappresentati, sicché ne abbiamo notizia solo dalle doglianze di deputati e senatori che ce la fanno appena ad arrivare a fine mese, lamentele accompagnate dall’avvertimento trasversale che eventuali tagli e riduzioni autorizzerebbero inevitabilmente il legittimo risarcimento tramite furto e cresta sulle spese. Ma d’altra parte in un afflato ugualitario, l’Istat è anche nota per non aver mai raccolto gli elementi necessari, come l’Inps peraltro per non dire dei Ministri diversamente competenti,  a conoscere il numero esatto di disoccupati, precari, licenziati, esodati, esuberanti. Come anche di lavoratori stranieri, richiedenti asilo e così via.

Insomma ci siamo lagnati che l’Istituto lavorasse solo per dare i numeri buoni per gli ambi e terni del regime, omettendo la contabilità scomoda, tanto che se è servito un ministro che si accreditasse come capace di far di conto in un governo tecnico di ragionieri ubbidienti e di diplomati in computisteria meticolosi e solerti nell’uso del pallottoliere truccato, si è felicemente ricorsi a uno che veniva da là.

Ecco,  invece si sbagliavamo. C’è da sospettare che magari gli toccherà la sorte di quell’altro specchietto per le allodole esibito in sede referendaria, perché deve essere stato accertato che la prestigiosa istituzione è stata infiltrata forse da economisti dei centri sociali, da pericolosi contabili anarco insurrezionalisti, da micidiali sovversivi alla Bakunin. E quel che è peggio travestiti da sacerdoti della scienza, da saggi e soloni, vecchi barbogi  all’apparenza, in verità intenzionati a sovvertire la realtà per foschi disegni disfattisti, proprio come i Rodotà, i Zagrebelsky, come quei sediziosi costituzionalisti, come quei partigiani eversori, e pure quei magistrati agitatori, quei sovrintendenti sobillatori, quei sindacalisti estremisti. In una parola quegli stadi intermedi che potrebbero ostacolare il disegno autoritario e accentratore del ducetto, messo là per eseguire comandi superiori.

E così oggi si legge che Palazzo Chigi va all’attacco dell’Istituto, reo di ”rilevare i dati in maniera vecchia”. L’accusa per una curiosa coincidenza parte proprio alla vigilia della revisione del Pil de secondo trimestre, dolentissima per il governo, che si aspetta che la manina della Provvidenza, sempre più simile a quella dei bari del casinò, segni un più, anche solo frazionale, da rivendersi coi padroni di dentro e di fuori. Sono stati mobilitati quindi gli stessi figuranti che fino a ieri facevano i costituzionalisti, ma anche i sismologi, i geologi, gli educatori e perfino i sessuologi, in modo che si infilino la gabbana da statistici. E lo hanno parlato, eccome: l’Istat non sa fare il suo mestiere, non “pesa” il comparto dei servizi, compie errori “concettuali” perché non considera i giorni lavorativi, eppoi è arcaico: sta ancora a dare rilevanza ai numeri dell’industria manifatturiera. È uno scandalo.

Ecco adesso non possiamo più dire che il governo non fa prevenzione: la fa eccome, agisce in anticipo perfino sulla realtà, sui fatti, sulla verità. Gioca coi numeri: e capirai mica vorrete credergli, in fondo sono arabi.