Zuckerberg-con-RenziAlle volte non riesco a trattenere lo sgomento non soltanto per l’ingiustizia e la diseguaglianza, ma per la facilità con cui queste macchie umane vengono lavate in un bagno a secco di retorica insulsa e di emotività inerme: ieri non volevo credere alle mie orecchie quando ho dovuto subire l’onta di un premier e di un Paese che si compiacciono dell’augusta visita del noto ladro di idee Mark Zuckerberg, sesta persona più ricca del mondo grazie a Facebook e probabilmente, anzi certamente, idolo del renzianesimo. Si rimane di sasso di fronte all’accoglienza da capo di stato che ha avuto con visita al Papa, al presidente del coniglio (non è un refuso), naturalmente presso gli educatori al liberismo della Luiss, in pratica dei dipendenti a cui ha accordato il piacere di una sfilza di banalità da paura confermando che si può essere miliardari, ma con poco cervello e si rimane davvero turbati di fronte alle fusa e ai miagolii  di piacere per il meraviglioso dono portato dal visitatore: 500 mila euro per i terremotati di Amatrice. Oddio non si tratta di soldi veri perché quelli mai, ma di crediti donati alla Croce rossa per fare pubblicità su Facebook: capirai che sacrificio e che aiuto.

Peccato ci sia un piccolo spiacevole particolare: ovvero il fatto che Facebook al pari di Google e di Apple evade massicciamente le tasse nel nostro Paese come del resto dovunque salvo che nei paradisi fiscali dove non ci sono. Il social network nel 2015 ha incassato di pubblicità in Italia 350 milioni di euro ma ha pagato solo 200 mila euro di tasse (ossia un’aliquota dello 0,057 per cento), come se voi ne guadagnaste 35 mila e pagaste 8 centesimi di tasse. E questo naturalmente vale  per tutti gli anni precedenti e anche per il 2016, quindi altro che donazioni di pubblicità o come dicono i giornali Ad credits, tanto per celare dietro formule magiche la squallida realtà: Zuckerberg deve agli italiani decine e decine di milioni di euro veri con cui sarebbe possibile fare effettivamente qualcosa nelle zone terremotate. Allora si capisce bene qual è il meccanismo scattato nel cuoricino compassionevole del patron di Facebook, che tra l’altro ha bloccato l’account di un tv iraniana per aver osato mandare in onda un servizio sulla condizione femminile in Arabia Saudita: fare una donazione inutile, a costo zero, che magari qualcuno monetizzerà in proprio, per ottenere ancora una volta una una moratoria e una benevolenza fiscale assicurata dal governo. Oddio poteva farne anche  a meno conoscendo l’ometto di palazzo Chigi che è nativo evasionale più che digitale, come dimostra anche il fatto che  quando la Francia mise sotto torchio Google minacciando la richiesta di un miliardo di tasse arretrate, l’Italia si accodò salvo ritirarsi dalla partita nove giorni dopo l’insediamento del governo Renzi.

Del resto è così che vanno le cose dappertutto e anche in Gran Bretagna, tanto per dirne una, Facebook paga tasse inferiori a quelle di un impiegato a fronte di 100 milioni di sterline di utile. Ma anche in Usa non è diverso così che nella giungla aggrovigliata dei paradisi fiscali e delle regole benevole e benigne nei confronti dei grandi ricchi che poi si dedicano alla beneficenza per lavare soldi e ottenere ulteriori sconti, si nascondono 1700 miliardi di euro riferiti solo ai grandi gruppi dell’informatica e dell’intrattenimento. I profitti rimbalzano dal Lussemburgo all’Olanda per arrivare poi alle Bermuda o in analoghe mete. Però basta chiedere che paghino le tasse come ha sommessamente chiesto l’Europa, che si scatena l’ira di Washington la quale pur essendo essa stessa vittima di queste pratiche dei super ricchi, minaccia ritorsioni mostrando chi comanda davvero in Usa . Ma l’ineffabile premierino di Rignano se ne frega e nella nota ufficiale non accenna per nulla al fatto che Fb paghi solo spiccioli di tasse, ma fa anche capire che mai e poi mai saranno richieste: “abbiamo discusso  su come valorizzare nel modo più efficace possibile Facebook nel governo della cosa pubblica”. Anzi perché non lo mettiamo anche nella nuova costituzione? L’Italia è un repubblica fondata sul “mi piace”.