Terremoto

Non solo un terremoto in Val Nerina era prevedibile e probabile, ma addirittura annunciato. Parecchi avranno già letto le dichiarazioni del professor Emanuele Tondi, sismologo e  responsabile della sezione di Geologia dell’Università di Camerino, oltre che, incidentalmente, attuale sindaco di Camporotondo di Fiastrone, uno dei paesini colpiti dal terremoto: già nel 2009 dopo il terremoto de L’Aquila aveva previsto che il futuro sisma si sarebbe spostato a Nord, sulla faglia tra Colfiorito e Norcia. Non si tratta certo di una profezia o di lettura del futuro, ma semplicemente di una deduzione sulla base delle rilevazioni effettuate dopo la tragedia aquilana, di considerazioni storiche e della localizzazione delle faglie (l’intervista la trovate qui).

Naturalmente non è possibile sapere l’anno, il giorno e l’ora dell’evento, ma si può essere abbastanza certi  che avverrà  anche se la capacità di un sisma di attivare nell’immediato altre faglie è ancora al di fuori delle capacità di previsione. Ma insomma tutto questo ci dice che le Autorità, quelle che amano tanto la  A maiuscola, avrebbero avuto tutte le ragioni per intervenire in qualche modo e questa intervista serve soprattutto a spalancare  il penoso antro dell’inazione pubblica che affonda le sue radici in una totale e probabilmente voluta confusione di norme, regole, indicazioni: la scuola ristrutturata, resa antisismica, ma crollata miseramente come un castelletto di carta ad Amatrice, simboleggia come meglio non si potrebbe la situazione. Qualcuno sospetta che in tanta sapienza costruttiva  vi sia lo zampino della criminalità organizzata, ma in ogni caso queste cose derivano dall’enorme incertezza creata proprio dal decreto legge del 2o12 che si proponeva di chiarire le modalità di azione antisismica all’indomani del terremoto in Emilia, un ennesimo prodotto dell’emergenza. I moduli   che accompagnano la costruzione di edifici nuovi o la ristrutturazione antisismica dei vecchi, non presentano alcun riferimento alla forza del terremoto cui si dovrebbe far fronte e di solito desunti dagli eventi recenti o dai cataloghi storici, ma nemmeno è chiarito chi eventualmente dovrebbe dare tale indicazione. Insomma si procede alla cieca e contro ogni criterio adottato in altri Paesi ad alta sismicità. Questo per non parlare dei permessi di agibilità che vengono rilasciati dopo un evento sismico il quale induce a ritenere che ve ne siano altri, magari altrettanto potenti (le famose scosse di assestamento) dove si attribuisce una responsabilità giuridica all’accertatore, ma non viene contemplato il suo grado di competenza. E questo, come si è visto benissimo in Emilia. ha fatto da incubatrice alla nascita di pseudo esperti: e dire che fra tanti master del cazzo, almeno questo sarebbe utile. Il meno che ci si possa aspettare da questo bordello è che che crollino struttura date per sicure: tanto chi controlla davvero, chi stabilisce i criteri per stabilire a quale intensità di terremoto debbano resistere, chi va a vedere se i materiali e gli assemblaggi costruttivi sono quelli giusti?

E’ forse per questo che le compagnie assicurative sono molto restie a intervenire nelle zone sismiche e sono invece contentone di succhiare soldi da quelle dove un forte terremoto è in effetti una probabilità remota, almeno fino a prova contraria e tuttavia lo Stato continua a nascondere le proprie responsabilità, nascondendosi dietro questa ipotesi senza mai però farla divenire obbligatoria. Ma è solo illusionismo privatistico: sappiamo bene che le assicurazioni non sarebbero mai in grado di far fronte a una tragedia come quelle de L’Aquila, dell’Emilia o della Valnerina: come accade regolarmente altrove, dopo qualche catastrofe naturale, è comunque lo stato che deve intervenire come per le alluvioni in Germania nel 2013 o per New Orleans e per mille altre calamità. Lo dimostra l’Emilia dove a fronte di un miliardo di beni assicurati per ora ne sono stati ripagati solo 200 milioni. Le assicurazioni non sono concepite per i drammi collettivi e sarebbe comunque lo stato a dover garantire gran parte della ricostruzione a meno che non si vogliano imporre premi impagabili e desertificare intere aree del Paese: le attuali tariffe “civetta” in realtà non consentono affatto la ricostruzione di un bel nulla,  ma pagano spese come un relativamente breve soggiorno in albergo oltre allo sgombero dalle macerie, vale a dire le uniche di cui oggi si fa carico con certezza il pubblico, anche per evidenti ragioni.

Quindi sarebbe ora di confrontarsi con il mondo reale e cominciare a proteggere davvero la gente con fondi per le ristrutturazioni, regole certe e non lasciate volutamente al caso, salvaguardia del patrimonio artistico culturale, lotta alla corruzione e all’affarismo, piani seri e concreti di intervento. Tra l’altro si salverebbero vite e si spenderebbe molto di meno. Cosa quest’ultima che forse da certe parti non è sempre gradita.