TMQhEcXrLa strana e deviante antropologia liberista si insinua dappertutto, pure negli angoli insospettabili dal punto di vista umano, anche se alla fine frutto di un’idea di mercato che applica la beneficenza e l’appello del buon cuore a diritti inalienabili e universali come quello alla salute e alla cura. Forse a tutti sarà capitato in questi mesi di vedere lo spot Telethon sui bambini affetti da gravi malattie genetiche. E forse tutti abbiamo sentito la madre di uno di questi bambini, reale o attrice non è dato sapere, la quale  recita le parole del copione pubblicitario, e immaginando il suo bimbo libero da patologie dice che avrebbe dovuto “insegnargli solo a sognare” e non a misurarsi con la malattia.

Ora, al di là del contesto specifico che tuttavia la mette  in rilievo, questa idea che una madre debba insegnare ai figli solo a sognare non si sa che cosa poi e non a essere persona tra le persone, non a coltivare un qualche valore, non ad essere cittadino, ma solo  a vivere nel vacuo carcere dei sogni individuali è  davvero aberrante. Probabilmente passa inosservata perché la malattia è certo un grande peso, ma ritenere che la normalità sia di per sé una condizione che assolve dalle responsabilità di una educazione, che esclude la responsabilità e  la fatica di vivere, che viene semplicemente aggiunta alla folla di sognanti e  desideranti lascia desolati, anche perché rappresenta un messaggio preciso che viene lanciato in maniera subliminale. Che forse commuove al momento, ma che è anche completamente auto contraddittorio perché a forza di coltivare sogni personali si arriva al punto di dover ricorrere alla beneficenza, alla charity proprio per combattere la stessa malattia e con poteri pubblici che possono permettersi in virtù di questo, di lesinare colpevolmente risorse.

Con effetti tra l’altro spiacevolissimi perché la raccolta fondi ha un costo elevato e la loro gestione comporta la creazione di una burocrazia ad hoc che alla fine finisce per assorbire una gran parte delle donazioni: secondo Telethon (che vale la pena ricordalo è un’organizzazione completamente privata) queste spese ammonterebbero al 27 per cento del totale, ma la promessa di tanta trasparenza è appannata dall’irreperibilità dei bilanci che vengono citati, ma non mostrati. In realtà le cose sono parecchio più complicate perché spesso si agisce a fianco delle aziende farmaceutiche e non è ben chiaro cosa significhi nel concreto e nei singoli casi finanziarie una ricerca, quanto questo sia rivolto direttamente ad affrontare una patologia o gli specifici problemi che essa pone o quanto invece sia destinato a finanziarie pubblicazioni, carriere, ranking, brevetti privati, consulenze e via dicendo, dunque sono destinate  a operazioni parallele per così dire a volte lontanissime dagli scopi finali, altre volte già dimostratesi dei vicoli ciechi. Sta di fatto che alcuni calcolano in un 35% ciò che effettivamente va alla ricerca in quanto tale.

Insomma la “macchina” finisce per assorbire molta parte delle donazioni, cosa che del resto accade non solo per Telethon, ma anche per le analoghe organizzazioni di questo tipo, alcune delle quali beccate a investire i denari in azioni, obbligazioni, fondi comuni che forse saranno terapeutici per la finanza, ma non per i malati. D’altronde si tratta di un modello di mercato ormai universale nel quale si pretende che le sollecitazioni del buon cuore o l’appello a ambigue e pelose responsabilità aziendali, sostituiscano di fatto i diritti e il contratto sociale insiti nell’azione pubblica, contribuendo psicologicamente a distruggere l’idea di welfare. In compenso possiamo sognare: per esempio non di vincere Masterchef, ma di vivere in una società dove non sia possibile che uno Stato solo per alleviare le sofferenze di una banca spenda una cifra equivalente a dieci volte quella che ha raggranellato Telethon in un quarto di secolo e dunque a 20 o trenta volte quanto è andato effettivamente alla ricerca. O magari in una  dove la sanità pubblica funzioni al meglio senza essere taglieggiata dalla politica da una parte e umiliata dai profitti privati dall’altra.  Ma sospetto che non siano questi i sogni di cui si parla nello spot.