Se c’è una cosa buona in Europa è che essa conserva una straordinaria coerenza nella conservazione, nell’incapacità di concepire l’innovazione e la dialettica politica ritenendosi essa stessa il prodotto finale e intoccabile di queste ultime invece di esserne semmai il presupposto. Sospetto che sia proprio questo immobilismo autoreferenziale ciò che l’ha resa così appetibile a una parte consistente della ex sinistra storica (possiamo ormai usare senza problemi questo aggettivo) in crisi di fede e di idee, nonostante l’evidente concezione ordoliberista che è alla sua base. Così non ci deve stupire se la risposta all’immigrazione dovuta alle guerre occidentali e/o al selvaggio sfruttamento delle risorse naturali di interi continenti, si risponde con un atteggiamento sostanzialmente vacuo che non tenta nemmeno di risolvere il problema né alla radice, né nei suoi effetti: ci si limita, anche grazie all’incapacità di classi politiche subalterne e di infimo valore, a cercare di negare il problema grazie alla costruzione di muri materiali o concettuali che vengono eretti anche attraverso la voluta confusione tra immigrazione e terrorismo.
In realtà si contraddicono proprio le radici inclusive che dovrebbero essere alla base della costruzione europea, mostrandone in definitiva le radici puramente retoriche, utilizzate senza ritegno quando si trattava di importare manodopera a basso costo. Ma l’incapacità di uscire fuori dagli schemi costruttivi si rivela soprattutto all’interno e nei confronti dei cittadini cui si offre un’immigrazione come feticcio sul quale sfogare le proprie frustrazioni. Ed è così che nella estate del nostro scontento salta fuori il presidente della banca centrale tedesca, Jens Weidmann a dire che in Europa la vita lavorativa va ancora allungata per poter garantire la sostenibilità del sistema. In pratica bisogna di fatto rinunciare alla pensione (in Germania si può arrivare anche si 70 anni, ma agli sfruttatori non basta mai) per poter godere della pensione. Tutto è basato su un falso sillogismo: ossia che il sistema abbia una sua ontologica immutabilità e che dunque solo le istanze ragionieristiche vi abbiano spazio, anche quando le estrapolazioni contabili sono sospette, mal concepite o semplicemente truffaldine. In pratica significa che in nome dell’europa il modello sociale dei singoli Paesi va abbandonato.
Naturalmente c’è un baco che confonde in maniera fraudolenta il libro contabile con le considerazioni politiche e sociali: viene considerato sistema semplicemente la volontà dell’1 % di conservare e accrescere i proprio profitti. Basterebbe infatti alzare di un 20% le contribuzioni pensionistiche perché i conti tornino e con essi anche la civiltà che diciamo di voler conservare. Ma questo significherebbe meno profitto immediato, meno soldi alla giostra finanziaria, meno possibilità di ricatto e così con il pretesto ridicolo della competitività che si svolge peraltro o all’interno dell’Unione o nell’ambito delle delocalizzazioni o ancora nei confronti di Paesi inarrivabili per livello di salario, si dice che questo è l’intoccabile sistema, quando invece si tratta di una scelta di sistema. Nel medio periodo e tra popolazioni che tendono all’invecchiamento un sistema pensionistico decente sarebbe un vantaggio anche nell’abito del sistema capitalistico, ma gli azionisti, i banchieri, gli assicuratori, i ceti politici gregari e castiformi, la borsa, i manager pagati in azioni, badano solo all’immediato perché è questa l’unica dimensione nella quale sanno pensare, senza nemmeno accorgersi di aver imboccato la strada di un inarrestabile declino.
Poi dopo aver imposto questa totale omologazione e di tenore unicamente economico – liberista negando l’idea di progresso sociale che costituisce l’originalità europea, ci dicono che questa è l’inesistente identità che dobbiamo difendere. Ma sapete credo che la paura nei confronti dell’altro derivi più che altro dalla coscienza, subliminale, della debolezza catastrofica di tutto questo, del mondo alla Soros di cui a questo indirizzo si possono leggere migliaia di pdf riguardanti le opere e i pensieri che costituiscono il senso e il testamento di quelle elites americane di cui l’europa non è che un’appendice-
La stagnazione in cui siamo impegolati è una crisi di domanda, non di offerta. Non c’è serio studio econometrico dal più londonschoolofeconomics al più trozkijsta che non statuisca questa palese banalità. Eppure tutti i Mammasanta della Ue e caravanserraglio di speculatori, confindustriali e mezzucci di propaganda attigui al seguito propendono per misure che stimolino l’offerta (l’ultima “raccomandazione” all’Italia, non sazi di essersi dissetati del sangue sgorgato dal ‘giobatto’, dispone di intervenire sulla contrattazione di primo e secondo livello, e la nostra Trimurti guarda e non favella, invece di organizzare un Autunno più torrido della Tachocline solare). Invece di stimolare la domanda, si interviene da più di un decennio sull’offerta del prodotto, che rimarrà invenduto perché non circola la liquidità per comprarlo (così si innesca il circolo vizioso di meno investimenti, decurtamento salariale, più licenziamenti, meno qualità iniziale e finale di produzione per ammortare i costi). Eppure insistono, come i muli che spingono le pompe del pozzo.
Conclude il suo gustoso articoletto Marco Palombi sul FQ del 21/08/16 p.24, a tal proposito:
(…) Uno si sorprende ma poi legge Gramsci su Einaudi, santino degli offertisti: “appare anche in questo scritto il solito ‘cretinismo economico’ dell’Einaudi e di molti suoi soci: sarebbe interessante vedere la raccolta degli scritti di propaganda economica dell’Einaudi; da essa apparirebbe che i capitalisti non hanno mai compreso i loro veri interessi e si sono sempre comportati anti-economicamente”. Cent’anni dopo non resta che ammettere, con Fruttero & Lucentini, la prevalenza del cretinismo.
Forse è vero. magari non lo fanno apposta, è proprio che saranno affetti da carenza di somatotropina encefalica…
figata DCLEAKS.COM ….