matteorenzi_e_giomalago_656_ori_crop_MASTER__0x0Ci sono cose intollerabili, gocce che colmano la misura. E ci sono comportamenti marginali, episodici, secondari che però illuminano la natura di un uomo più di mille pose e discorsi. Furono le cene eleganti a definire realmente Berlusconi dopo quasi due decenni di chiacchiere e di depistaggi, di incensi e di compravendite, così come è la vacanza olimpica a rendere conto di chi sia davvero Renzi. Come un padroncino arrogante, una di quelle tante vesciche piene di retorica e di egoismi indomiti che hanno trovato una placenta e poi una palestra nell’Italia post democristiana, non sa rinunciare a una vacanza già messa in conto da tempo, a un bagno di selfie  nella piscina olimpica tuttavia disertata dai grandi che hanno a cui pensare, a cui tramare e di cui vergognarsi. E tutto sul conto corrente degli italiani.

Naturalmente finge che non sia una vacanza, che va lì con il suo aereo nuovo di zecca per stabilire contatti di affari in un Paese in preda al caos, ma in realtà ha preso baracca e burattini, cioè se stesso , la famiglia ufficiale orbata ahimè di Maria Elena d’ Etruria,  i tirapiedi e le scorte per una settimana brasileira che tra viaggio, vitto, alloggio, lavatura e stiratura come diceva Totò, costerà un mezzo milioncino, ben che vada. Ma gli è sembrato fico partecipare alla cerimonia inaugurale e sfruttare così i vantaggi dell’essere premier, farsi il suo dorato viaggetto, con cerimonia d’inaugurazione compresa del prezzo, all inclusive come dicono i mestieranti del turismo da mandria. E chi non vorrebbe dire: io c’ero. Solo che lui non c’è proprio, non c’è dove dovrebbe essere, dove ha un senso essere: va a sperperare inutilmente qualche soldino nel momento in cui persino alla polizia vengono tolti i fondi promessi per risparmiare ciò che lui dilapida in selfie, quando il forte calo di consumi elettrici e di gas denuncia un nuovo e ormai drammatico raffreddamento dell’economia lasciando che sia l’Istat di Alice a salvargli il culo in vista del referendum, quando c’è la questione delle banche in ballo, anzi in bail in, quando la seconda campagna di distruzione della Libia e di estromissione dell’Italia dallo scatolone di sabbia, ma anche di petrolio e di acqua fossile, è in pieno corso proprio approfittando della distrazione olimpica, per non parlare dei venti di guerra e di morte che spirano ovunque. Ma no, lui se ne fugge per quasi una settimana a fare il buffone tra Casa Italia e gli atleti e mettendo in programma, per stemperare l’effetto vacanza, una visita a una Onlus di Salvador de Bahia (tre ore di volo andata e ritorno, tanto per gradire) casualmente animata da  una comunità di missionari fiorentini, che lo hanno accompagnato in visita di stato in una favela. Forse ci dovrebbe rimanere per sempre a distribuire caramelle come frate Matteo.

Non è certo un caso che sia l’unico premier non sudamericano e non esotico ad essere domani sulla tribuna d’onore: il suo non è un viaggio, né una vacanza, è una diserzione. Per questo ciò che ci costerà il viaggio, per quanto poco possa essere (ma lui sa che vale e a Firenze le cene da mille euro erano la regola) è solo un furto. Nemmeno con destrezza, ma con la tracotanza e l’ottusità del guappo: ladrao meravigliao. Alla fine lui non è a Roma, semplicemente perché non è: acquista una consistenza ectoplasmatica solo nelle fesserie, negli inganni, nel sottofondo di un potere di cui è  burattino, nelle bugie infantili e buona grazia che se non se va in giro a caccia di pokemon, almeno che si sappia. Per quello gira fra gli atleti con una tuta da pirla con villa nella periferia bene e si bea della nuova zaffata di foto che sparge sugli italiani: meno si è, più si ama il ritratto.