Casualmente e con grande sorpresa, quella tipica del lettore occidentale che certe cose non le viene quasi a mai a sapere, ho appreso che la Volkswagen Lupo e la Seat Arosa, due utilitarie costruite dal ’98 al 2005 – 2006 montavano un motore comunista, ovvero quello della Skoda Felicia, derivato a sua volta da quello della vecchia 105 S che forse qualcuno con più di 40 anni ricorda di aver visto anche sulle nostre strade. Dunque il gruppo che per una delle sue marche sostiene di essere all’avanguardia della tecnica, per le sue piccole aveva scelto un propulsore nato e ideato in quel sistema d’oltre cortina che viene demonizzato e ridicolizzato per le sue produzioni. Certo il socialismo reale, quello dell’Urss e dei suoi satelliti non era certo auto dipendente, ma forse la propaganda ci ha raccontato per decenni una realtà diminuita, tanto da farci credere che l’industria principe del capitalismo post bellico fosse quasi inesistente all’Est, che nessuno o solo i caporioni di partito potevano permettersi un’ automobile e anche in questo caso facendo immensi sacrifici. Certo se si parte dalla famiglia della signora Merkel che di auto ne aveva addirittura due pur essendo il padre un pastore protestante immigrato nella Germania orientale da quella Ovest, definendo così un profilo radicalmente contrario a ciò che viene narrato, si direbbe che ci hanno riferito un po’ di balle. E che forse anche la Merkel se le racconta.
Quella dell’est non era una società che si basava sulla mobilità privata, quindi non ci sono stati i fenomeni del capitalismo occidentale con la rincorsa esasperata al cambiamento dei modelli o all’ossessione del gadget, al potenziamento continuo e spesso inutile dei motori eppure le cose non stavano proprio come ce le narrano per l’opportuna damnatio memoriae. Prendiamo la mitica Trabant oggi oggetto di culto: ne furono costruite oltre 4 milioni, praticamente quanto l’altrettanto mitica Mini Morris e poco meno della vecchia 500. Ah ma aveva il motore a due tempi: certo però un buon terzo degli esemplari, a partire dal 1975, era fornita a scelta con il Volkswagen 1050 cc destinato alla Golf e alla Polo o, in alternativa, il 1100 della 128 Fiat. Senza dire che spesso le aziende occidentali hanno studiato il due tempi e vi hanno rinunciato essenzialmente per problemi legati al profitto. E sapete qual’è la terza macchina più venduta al mondo dopo il maggiolino e la Ford T? La Zigulì russa del resto insidiata dalla Lada Niva che quando apparve costituì il prototipo del fuoristrada moderno, ad onta della sua scarsa perfomance estetica. Per non parlare dei quasi 5 milioni di auto Skoda di vari modelli, dei quattro milioni usciti dalle catene di montaggio della Polski Fiat dal dopoguerra (la jont venture in realtà era cominciata già negli anni ’30 con la produzione dalla Balilla), dei due milioni della vecchia Dacia, della Zastava e di quell’altra decina di marche dalla Volga, alla Moskvitch alla Zaz che producevano auto destinate alla nomenklatura.
Certo si dirà che questa produzione avveniva in parte a ricasco di quella occidentale, ma questo è dovuto principalmente al fatto che tutto l’est europeo Russia compresa era rimasta ai margini dello sviluppo impetuoso della produzione automobilistica nei primi del secolo scorso a causa non certo del comunismo, ma delle varie autocrazie più o meno evolute che dominavano dagli Urali all’Oder, tra Zar, impero Asburgico, resilienze ottomane che si estendevano peraltro su una metà della futura Jugoslavia. E il successivo periodo tra le due guerre fu troppo agitato e denso di straniamenti geopolitici per permettere l’insediamento di sistemi produttivi così complessi. Quindi c’era molto da recuperare anche se non va dimenticato che in Urss si producevano motori in linea per aeroplano anche di 1500 cavalli, cosa che l’Alfa Romeo non era riuscita fare risolvendosi a produrre su licenza quelli Mercedes. Inoltre gli spazi immensi e le distruzioni della guerra rendevano impegnativa e difficoltosa la realizzazione di un sistema stradale adatto gli spostamenti in auto. Un serie di condizioni che certo hanno reso marginale il settore, ma comunque molto meno di quanto non si immagini o non venga riferito.
E’ un esempio concreto, minimo, che ci fa comprendere come la narrazione sul grande nemico sia stata artefatta, esagerata, deformata. E forse quello stile di vita che non puntava ossessivamente sul consumo matto e disperatissimo che si sta mangiando le risorse del pianeta, appare oggi meno terribile di quanto non si sia detto con la sospetta insistenza di un mantra mentre la misura e la sicurezza del lavoro sia pure modesto comincia a rifare capolino nell’immaginario, nella Ostalgie. Certo c’era la Stasi e il Kgb, c’era l’intromissione nella vita degli altri come recita il titolo di un film peraltro corrivo e mediocre, ma cosa sono, anche in rapporto alla popolazione, i 9o mila agenti della Stasi al confronto dei 2 milioni e e mezzo di persone che negli Usa lavorano alla sicurezza ovvero al controllo delle persone? No, non era un paradiso, non lo era di certo, c’era un inammissibile vigilanza ideologica e mancanza di libertà personale, ma se non lo era quello non significa affatto che lo sia il mondo attuale, dove la persuasione occulta e la mancanza di alternative sostituiscono il controllo, dove la deportazione dalle illusioni inoculate, l’emarginazione sociale ed economica fanno da Siberia. E dove anche un motore con la falce e il martello può essere all’avanguardia della tecnica, se solo ve lo suggeriscono.
Esporre, sottolineare, correggere e rifiutare le storiche montagne di menzogne propalate sull’Unione Sovietica, DDR etc. non significa sognare o anelare il ritorno a un mitico eldorado della fantasia. Sta di fatto, a sentire le statistiche, che tra chi ha vissuto in Russia e Germania Orientale durante entrambi i regimi, il 75% preferisce il “sistema” di allora.
Quanto sul giudizio influenzi il ricordo nostalgico della gioventu’ e’, chiaramente, fattore non calcolabile.
Chi scrive ha visitato l’Unione Sovietica da ragazzo e poi durante il primo impiego. E, sia pure nel limite di quanto ho potuto osservare in un paese immenso, la realta’ riscontrata non aveva nulla a che fare con quella mediatica riportata in Occidente.
Tanto per citare un esempio, le famose-riportate persecuzioni religiose. C’era l’Istituto delle Religioni, immenso edificio di stile stalinin-cremlinesco dove si concentrava il management delle religioni delle 80 e piu’ repubbliche, e delle ancora piu’ etnie, sette etc.
Non e’ abituale ricordare che nelle repubbliche sovietiche islamiche, la religione ufficiale era l’Islam, liberamente praticata e non ostacolata. Di Sunni, Shia, Takfiri, Salafisti etc. la gran parte della popolazione (in Occidente) non aveva mai sentito parlare.
E a Mosca ci si rendeva conto indirettamente dell’enormita’ geografica del paese, e di quante popolazioni vivessero nell’USSR, quando, in un ristorante o sulla metropolitana, ci si imbatteva in un usbeco, un turkmeno, calmucco etc. riconoscibili dai loro spesso sgargianti costumi, e magari seduti accanto alla classica bionda dagli occhi azzurri della Karelia, Estonia etc.
E’ solo a partire da Reagan in poi che si e’ sentito parlare dei mujahedin (“combattenti per la liberta’”), sappiam bene finanziati da chi.
Con il risultato che le repubbliche islamiche sovietiche d’antan pullulano di basi militari americane – naturalmente per “mantenervi la democrazia.”
E al contrario della vulgata di allora, nell’Unione Sovietica e nei paesi del Comintern, la critica era ammessa, praticata e, ufficialmente incoraggiata, tramite giornali satirici come il Krokodil (in Russia), e simili pubblicazioni negli altri paesi, con nomi differenti. La critica non poteva essere idologica, ma doveva rivolgersi a episodi concreti, metodi, esempi di inefficienza etc. Costituiva peraltro un vaccino per tenere sotto controllo l’impulso alla corruzione, inerente in ogni organizzazione gerarchica, indipendentemente dal regime.
Chi ha frequentato aeroporti, ricordera’ che durante l’USSR, dai voli Areoflot scendevano persone e funzionari del tutto simili alle migliaia di impiegati nel mid-management europeo-americano. E’ da poco dopo la rivoluzione-colorata che ha dissolto l’Unione Sovietica, che dai medesimi aerei scendevano lugubri personaggi accompagnati da gualdracche ingioiellate.
Infine, la Russia non ha “accettato senza grossi scuotimenti il completo capovolgimento della loro ideologia da un giorno all’altro.” Gli e’ che quando il parlamento russo (si c’era), ha votato contro la dissoluzione dell’Unione Sovietica, i carri armati di Yeltsin e della cricca sionista-CIA hanno bombardato il parlamento e impedito nel sangue la rivoluzione popolare.
Del resto, forse che oggi (in Italia, e nel mondo occidentale in genere), il cittadino medio accetta “senza grossi scuotimenti” il regime neo-liberal turbo-capitalista? Provi un po’ a scuotersi, controllato com’e’ al limite del reato di pensiero….(leggi “negazionismo” ma non solo).
Rispondo all’interessante intervento di diderot39 partendo però da una sua frase:
“Quanto sul giudizio influenzi il ricordo nostalgico della gioventù è, chiaramente, fattore non calcolabile.”
È vero ma il regime conta proprio su questo, le generazioni più anziane tramontano e sono sostituite da generazioni più giovani che non hanno avuto esperienza dell’eventuale positività del passato e che, dunque, hanno una sola alternativa: abbracciare con entusiasmo il presente così come viene loro raccontato.
Si potrebbe pensare che chi ha l’età per ricordare possa influire sulla gioventù per indirizzarla bene ma, ahinoi, è proprio del capitalismo distruggere ogni legame fra le generazioni in modo che i giovani siano “coltivabili” solo dai media e dalle nuove abitudini, stili di vita, mode e manie che i media diffondono con periodicità “generazionale”. Non è un caso che nel paese modello del capitalismo, gli Stati Uniti, si vadano a compiere gli studi accademici nei campus così da essere completamente sottratti all’influenza della propria famiglia.
Ecco perché la Russia di oggi non è salvabile né riportabile a quella di ieri: basta leggere una qualsiasi rivista russa e la si troverà ingolfata al pari delle nostre di tutti i miti cari al capitalismo attuale. E una volta che si è aperta la strada a questo tipo di devastante aggressione comunicativa a senso unico il passato non esiste più in termini di concreta alternativa esattamente come da noi non ha senso ipotizzare che si ritorni, che so, al paesino di campagna dove le autorità che facevano testo erano il prete, il notaio e il farmacista.
Il capitalismo è una dottrina, o una religione, estremamente pratica e cinica: mentre il cristianesimo punta su una promessa di vita eterna ottenibile a patto di rinunciare alle tentazioni del mondo, il capitalismo non crede alla vita eterna e quindi utilizza e moltiplica le tentazioni del mondo perché ha capito che dietro ad ogni “peccato”, in senso tradizionale, esiste una voglia repressa da soddisfare, un cosiddetto “mercato”, con le conseguenti possibilità di enormi arricchimenti. Una volta aperto il vaso di Pandora, però, non è più possibile richiuderlo perché saranno le stesse masse umane a pretendere come un loro diritto quello che i loro genitori, nonni e antenati avrebbero considerato abiezione, vanità, fantasticheria o pura perdita di tempo.
La Russia si trova in questa fase e credo proprio che nonostante i fatti di sangue giustamente ricordati da diderot39 non ci sia stata alcuna reale opposizione da parte della gente alla trasformazione della loro società comunista nell’ennesima aberrante società capitalista. I morti del parlamento russo sono come i morti del falso tentato colpo di stato contro Erdogan. Morti veri, ma “creati” giusto per dare un potente segnale al proprio popolo che “qualcosa sta cambiando” e in modo irrevocabile. Il popolo, a questo punto, capisce l’antifona e si adatta. Non scende per le strade, come pure potrebbe se fosse convinto e compatto e, con riferimento alla Russia, non nasce quella guerra civile in cui le nuove forze pro-capitaliste, teoricamente, avrebbero dovuto avere la peggio vista la sproporzione numerica fra i pochi traditori e i molti sostenitori del comunismo.
Alla fine degli anni ’70 ho avuto modo di andare alcune volte in Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia per ragioni di lavoro. Nonostante la brevità dei viaggi, ogni volta limitati a due-tre giorni, ho potuto verificare con i miei occhi i fenomeni di cui avevo sentito spesso parlare: i negozi di alimentari desolatamente vuoti di merce, le file interminabili di gente l’unico giorno del mese dove arrivava il camion con le scarpe, la poca igiene nei locali pubblici, le grandi librerie del centro sprovviste di un dizionario della lingua nazionale (colpa dei piani quinquennali, mi venne detto), una società a doppia morale con dentisti e ginecologi che si dovevano pagare a parte per avere un servizio decente, le prostitute nei grandi hotel. Era una società grigia e allora non mi sembrava meglio della nostra a cui, per la mia ingenuità di allora, non attribuivo tutti i difetti che oggi invece mi risultano chiarissimi. Oggi, molto più di ieri, sono per un ampio recupero dei valori comunisti e socialisti, questo giusto per dire da che parte sto. Ma non mi sento di mettere la mano sul fuoco e di affermare che il comunismo sovietico fu una costruzione autoctona e non un “pezzo” del programma capitalista che prima di convertire al capitalismo i territori più vasti e popolati del globo, Russia e Cina, volle che prima di ogni altra cosa venisse fatta piazza pulita dei poteri tradizionali, in primis la religione, e che le relative popolazioni passassero attraverso quella lunghissima quaresima di privazioni dopo la quale i colori sfavillanti del consumismo avrebbero senz’altro attecchito con la rapidità di un incendio. Come è poi accaduto.
A volte non capisco perché dobbiamo difendere o attaccare l’Unione Sovietica, come se esistesse una sia pur remota possibilità di ritornare a quel modello e a quei giorni. La Russia di oggi è fin troppo integrata nel mondo capitalista e perfino lo scenario di guerra che ci viene fatto intravedere non ha nulla a che fare con i rischi di un eventuale contagio da parte di un redivivo “comunismo” che non solo non esiste ma che, probabilmente, non è mai esistito se non come esperimento di manipolazione di enormi masse umane obbligate a vivere in condizioni limite, supercontrollate e, comunque, talmente poco convinte della bontà del loro regime da aver accettato senza grossi scuotimenti il completo capovolgimento della loro ideologia da un giorno all’altro. Quanto ai comunisti cinesi, pensano ancora di essere dei maoisti, a parole. Ma anche il maoismo fu forse più un modo per irreggimentare vari popoli in un esperimento manipolatorio di altro tipo che li fece vivere per decenni nella povertà assoluta “per vedere l’effetto che fa”, esperimento che contemplò anche la soppressione di elementi basilari del comune patrimonio identitario umano con, addirittura, la proibizione di avere fratelli o sorelle (la politica del figlio unico) e, dunque, con la condanna ad essere ancora di più consegnati all’autoritarismo dello stato. Che poi esistesse una cappa ideologica profondamente innervata nel sociale per addolcire la pena, non è di grande conforto. Sappiamo bene che se si ha una motivazione ideologica adeguata si vive felici anche in una cella di quattro metri quadri o in un’ambasciata dell’Ecuador a Londra.
Quanto al supercontrollo, però, anche noi non possiamo lamentarci. Le tecniche di controllo si raffinano sempre di più e, con internet, dilagano fino a trasformare in informatore del regime qualsiasi cittadino dotato di cellulare. Altro che Stasi! In Romania, per esempio, i cittadini sono invitati a scaricare gratuitamente una app per Android che si chiama Inspectorul Pădurii (ispettore forestale) che serve per consentire al cittadino di verificare se un trasporto stradale di legname che si incontra per strada sia legale. Basta inserire nella app il numero di targa del camion e si vedrà se si tratta di un trasporto autorizzato o meno. In quest’ultimo caso il cittadino può telefonare al 112 per avvertire le autorità. Negli ultimi due anni, con questo inusitato meccanismo di controllo “democratico” e a costo zero per lo stato romeno, si sono potuti effettuare ben 30.000 sequestri di legname (fonte: http://stiri.tvr.ro/premierul-dacian-ciolos-cere-schimbarea-modului-de-avizare-a-transportului-de-masa-lemnoasa_76936.html).
Tutto bene dunque. Il cittadino, promosso a 007 non remunerato, ci prende gusto, lavora di smartphone e scova implacabilmente i cattivi che tagliano gli alberi abusivamente. Domani, con lo stesso gusto, scoverà ebrei, musulmani, cristiani o altro ancora, secondo le specifiche ricevute.