Anna Lombroso per il Simplicissimus
Sospensione della Convenzione europea dei diritti umani, tre mesi di stato di emergenza, la creazione di un tribunale speciale per i presunti responsabili del tentato golpe e di un carcere speciale dove rinchiuderli, buttando la chiave. E ancora, purghe di magistrati, militari, accademici, tra i quali i 1.577 rettori, giornalisti (ammontano a 9332 i provvedimenti disciplinari). Perfino un cimitero del disonore: il sindaco di Istanbul ha annunciato che sarà costruita la Tomba dei traditori per seppellire i golpisti, i cui cadaveri non meritano di essere accolti nei cimiteri cittadini.
Ecco che finalmente Erdogan dimostra di meritarsi a pieno titolo l’ingresso in Europa al fianco di leader e premier che esprimono al meglio la “forma” delle democrazie occidentali, della quale il sultano rivendica la pervicace azione di tutela in patria. Magari con qualche “esagerazione”: il golpe vero, presunto, provocato, cavalcato è stato un po’ più estremo e spettacolare, ma è sicuramente in linea con quelli solo apparentemente più felpati, solo apparentemente meno cruenti di quelli in corso altrove, con l’imposizione di stati di emergenza, la cancellazione del lavoro, dei suoi valori, dei diritti conquistati, come mossa preliminare a quella delle altre prerogative e libertà fondamentali, l’isolamento della parte della magistratura che mostra di voler contrastare corruzione, malaffare, uso di parte del sistema giudiziario e produzione di leggi ad personam; e poi smantellamento della rete dei soggetti e delle autorità di controllo a tutti i livelli territoriali, impoverimento dello stato sociale e dell’istruzione pubblica, riconoscimento del primato dell’interesse privato su quello generale e del profitto rispetto al bene comune, espropriato e alienato, demolizione dell’impalcatura di regole che sostiene la partecipazione dei cittadini al processo decisionale, progressiva riduzione del principio di laicità assoggettamento a una morale confessionale promossa a etica pubblica.
E lui, con irruente entusiasmo ha fatto tutto, anche un po’ di più come accade spesso a chi, neofita infervorato, vuole conquistarsi meriti con chi sta nei piani alti. Più “aspirante” titolato di lui non si può immaginare in quel contesto dove sono solo formalmente vigenti strutture, nominalmente democratiche, come l’elezione diretta e il parlamento, ma dove le decisioni vengono prese unicamente attraverso accordi tra le élite economiche, politiche e burocratiche. Dove i processi democratici sono annullati se si esclude la ratifica notarile, dove lo svuotamento della capacità economica e della sovranità degli stati in favore dell’imperialismo finanziario custodito da un protettorato ha sottratto ogni possibilità di decisione alle nazioni e ai popoli, demandando a oligarchie il compito di garantire ubbidienza e “conformismo” anche mediante la repressione più severa. E dove qualsiasi manifestazione di protesta, di critica, di opposizione viene contrastata e soffocata per il “bene della democrazia”, quella loro, che, per dirla con i documenti ideologici della Trilateral, esige un “certo livello di apatia e di non partecipazione”, ma che, se ci fossero, imporrebbero misure efficaci di “contenimento”.
Ma anche sulla tutela dei diritti il giannizzero ex leader del Partito del Benessere, trasformato in Partito della Giustizia e lo Sviluppo, è perfettamente allineato con i suoi protettori e finanziatori che gli hanno elargito mance generose per assolvere al compito per lui grato di respingere i profughi, di rimandarli al mittente, transitando per un paese già umiliato e depredato, magari là in quelle patrie in guerra, dove lo spietato Califfo, pericolo pubblico numero uno, li ammazza con le armi finanziate da lui in cambio di petrolio, perché anche in questo affinità e somiglianze sono confermate, nel non guardare tanto per il sottile quando si scelgono amici e nemici, a volte sempre gli stessi, che a intermittenza vengono lodati o disapprovati, favoriti o disprezzati, ma sempre foraggiati.
Perché non dovrebbe fare come la fortezza europea che si difende dai barbari alzando muri, lasciandoli annegare, sparandogli ai confini, negandogli cittadinanza e aiuto, trattando i disperati come sono stati trattati gli africani, che, grazie alle alleanze strette dalle cancellerie per bloccare i flussi provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, vengono imbottigliati nei paesi di transito e soprattutto in Libia? Perché non dovrebbe rivendicare come credenziale per l’ingresso da noi, il diritto d’autore turco nel genocidio armeno e ora in quello curdo?
Perché non dovrebbe ridere dei paesi europei che lo condannano, mentre vorrebbero emularlo per la sfacciata ostensione di prepotenza, oppressione, sopraffazione, mentre vorrebbero avere le manifestazioni di consenso, più o meno pilotato, senza dover ricorrere ai cerimoniali plebiscitari della democrazia formale, mentre sognano un benefico golpe in modo che anche da loro regni l’ordine come nell’impero ottomano?
L’ha ribloggato su chiediloamanu.
La mia tesi è la solita. Non lasciamoci ingannare dalle apparenze, non pensiamo che siccome qualcuno fa del male assoluto allora sia lui il mandante di questo male assoluto. Almeno, non pensiamolo quando ragioniamo in termini geopolitici. Vediamo invece il contesto, vediamo a chi serve un Erdoğan che improvvisamente si mette a fare l’Hitler. E casomai cogliamo l’occasione per riflettere sul fatto che quando Hitler si mise a fare l’Hitler potrebbe esserci stato anche allora un disegno geopolitico esterno che mirava, tramite la seconda guerra mondiale, a consolidare il potere economico degli Stati Uniti sull’Europa e altre parti del mondo. Per raggiungere lo scopo, si scelse di creare divisioni tra paesi cattivi e paesi buoni e di reinventare la figura del dittatore, capace come poche altre di polarizzare odii e amori di massa. Ed è quello che sta succedendo in questi anni pieni di “reinvenzioni” di déja vu storico-politici.
Anche su questo blog si legge spesso che spirano venti di guerra. Ma la guerra si costruisce, non nasce per caso, non nasce perché si sono rotti misteriosamente degli equilibri, essi stessi frutto di precise manovre geopolitiche. L’impazzimento di Erdoğan è altrettanto poco plausibile dello pseudo golpe che ne è alla base. Sa molto di Ucraina, dove tutto quello che è successo è stato costruito a tavolino per creare una zona di crisi locale che potesse però in ogni momento espandersi fino a diventare una crisi mondiale.
Prendere sul serio Erdoğan e non fare neppure lo sforzo di vedere chi lo manovra come un burattino è involontariamente fare il gioco dei manovratori. Certo, come al solito, i morti sono veri, gli imprigionamenti sono veri, le ingiustizie sono reali. Ma se inveiamo contro Erdoğan, chi lo ha spinto a fare quello che ha fatto la passerà liscia e si compiacerà vedendo che il gioco dei falsi bersagli sta riuscendo per l’ennesima volta: malvagio Erdoğan e tutto finisce lì.
Una cosa è invece per me chiarissima: Erdoğan non può aver deciso sua sponte tutta questa bieca involuzione. I politici di oggi sanno di essere ancora più controllati rispetto ai passato, sanno che per sbarazzarsi di loro una grande potenza ha mezzi di efficacia istantanea, dai servizi segreti (quelli del loro stesso paese, ovviamente!) ai droni. Erdoğan sa qual è il suo potere reale e sa che è molto limitato a meno di non seguire la “traccia” che gli viene imposta o “consigliata” dall’alto. Allora sì che può dar sfogo a tutti i suoi istinti ma perché gli è consentito e, comunque, entro dei limiti ben precisi.
Ovviamente, se il piano dei manovratori è quello di seguire la falsariga del periodo fra le due guerre mondiali aspettiamoci che Erdoğan faccia scuola e si moltiplichino i suoi “cloni”. Del resto, i candidati in Europa non mancano e, anche nel nostro paese, si può contare già adesso su un certo numero di leader che ben potrebbero incarnare la figura di un moderno dittatore.