Anna Lombroso per il Simplicissimus
Nulla ci viene risparmiato: come un vecchio padrino che non si arrende, come un boss che non si piega alla pensione, che impugna la pistola e va in prima persona a ricattare le sue vittime del racket, come il capoccia irriducibile che si presta simbolicamente perfino a buttare una bottiglia incendiaria contro la vetrina del negozio, per persuadere il cravattato che è meglio che paghi il pizzo, così una ex più alta carica che persiste nell’errore di credersi monarca anche dopo la detronizzazione, lancia la sua intimidazione al popolo, aggiungendosi a una vasta schiera di manutengoli preoccupati di perdere la rendita e di lasciare il posto e gli annessi privilegi, ma anche a uno smilzo gruppo di costituzionalisti al dettaglio, di intellettuali resi remissivi dalla promessa di un posto d’onore nei talkshow, di consulenze, di incarichi e di fondi e editoriali un tanto a peso.
Determinato a non fare il buon nonno, tenace nel dimostrare di non voler essere a nessun costo un buon esempio, incrollabile nella scelta di essere un cattivo maestro, tanto da ispirare la buona scuola governativa, ripercorre in una occasione ufficiale, di quelle alle quali sorprendentemente viene ancora invitato, il suo calvario di ben nove anni, tutto impegnato nel creare le condizioni per cancellare un passato democratico nel quale pare essere stato una svogliata comparsa e per il consolidamento della figura del golpista – ragazzino, suo nipote naturale e beneficiario della sua eredità di cancellazione dei principi e dei valori costituzionali.
E peggio di un agente della Folletto, peggio di un venditori di numeri al lotto in tv, che minaccia chi non compra il suo terno di “volersi far male con le mani sua”, quello che ha dato inizio alla nuova fase “scostituente” chiamando al governo un bigio ragioniere e i suoi esperti in computisteria, ci ricorda la sua opera instancabile per intimorirci e convincerci della necessità di liberarci delle “zavorre”, che ne so, lavoro, diritti, partecipazione, istruzione pubblica, accesso alle informazioni, tutela del territorio e del paesaggio, promozione della cultura, accoglienza, tutti attrezzi ammuffiti secondo l’imperituro giovanotto, che, non a caso, sono scritti in una carta arcaica, buon prodotto letterario, ma zeppo di imprecisioni, errori, carenze, ammesse a suo dire, anche dai padri costituenti. Non so se quello che a volte spero, che i nostri cari siano seduti sulla nuvoletta, guardano giù e ci proteggono. Ma fosse vero ce ne sarebbero di nuvolette piene dei saggi dell’Assemblea incazzatissimi, chiamati in causa senza neppure tavolino a tre gambe per confessare tramite Renzi, Boschi, Rondolino, Benigni, di aver sbagliato, di essere contenti che qualche illuminato simpatizzante per figure autoritarie e tiranniche, meglio se proprio fascista, per ignoranza della storia e non conoscenza della realtà, metta le cose a posto, come erano prima del ’45 magari, anzi meglio, prima del ’43, quando qualcuna di queste intelligenza pensava bene di iscriversi al Guf.
Proprio come un ex scolaro fannullone che ce l’ha coi “professori”, come l’asinello Renzi che ce l’ha coi saggi sapientoni, racconta di aver passato 9 anni a “rompersi la testa”, ma anche a ricevere “dalle forze politiche perfino giuramenti fino alla fine della legislatura nel 2013 e poi riassumendomi la responsabilità al solo scopo di fare le riforme e quindi al di là dei perfezionismi, che dicono qua e là alcuni professori“. A proposito dei “perfezionismi”, Napolitano ha ricordato che “gli stessi costituenti riconobbero errori” perché dice, “nella seconda parte l’opera dei costituenti non è stata perfetta e lo sapevano anche loro”.
Per questo motivo ora occorre “far prevalere il senso dell’interesse comune al di là del confronto fra forze diverse che si contrappongono per la guida del Paese.
Ecco c’è da sperare che anche grazie al suo vibrante monito e alla sua pervicace propaganda, si forze diverse se ne esprimano tante. Perché aperta la strada alle manomissioni, la Costituzione italiana, potrebbe subire la sorte di altre carte, ferite e oltraggiate in nome di quell’interesse comune ai padroni e ai loro servi, quello del profitto, dell’attuazione tramite riforme della più iniqua disuguaglianza, dell’applicazione su larga scala del rifiuto, in modo da moltiplicare emarginazione, paura, ricattabilità. Finiremo come la Repubblica Ceca che si richiama alla Costituzione per vietare l’uso del termine “lotta di classe”, diventato monopolio di chi la fa alla rovescia. Come in Polonia dove, sempre grazie a una interpretazione “restrittiva” del dettato della Carta sono finiti fuori legge gli osceni, immorali e nichilisti Kafka, Goethe e Dostoevskij. Come in Svizzera dove è stato inserito tra i principi costituzionali il segreto bancario. Come in Germania dove riccicia il tentativo di inserire nel novero delle norme costituzionali il riconoscimento e rispetto della “proprietà”, proprio come sancito qui da noi nella recente giurisprudenza governativa in materia di urbanistica ed edilizia.
Come è successo con la Costituzione Europea, retrocessa a Trattato per farlo ingoiare senza discussioni, che stabilisce il primato della “società di mercato” e che riconosce tra i “diritti fondamentali” quello di “proprietà”.
Non ricordo chi scrisse: “I generali dicono che vogliono difendere la libertà”. “Che libertà?”. “Quella dei generali”. Sarà meglio che togliamo la nostra libertà dalle mani dei generali, anche quelli che dovrebbero essere a riposo.
Gentile Lombroso,
complimenti per il pezzo. Ho una sola curiosità: su che base lei afferma che Kafka e Goethe sarebbero proibiti in Polonia causa interpretazioni costituzionali? Ho tentato una verifica ma non trovo nulla che collimi con quanto scrive. Grazie, e se vorrà precisare meglio grazie ancor più.
L’ha ribloggato su Redvince's Weblog.
La discussione sembrerebbe oziosa in quanto la proprietà privata è apparentemente già riconosciuta e garantita dalla nostra Costituzione all’articolo 42. Eccone il testo:
Art. 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici
appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge,
che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i
limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla
legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse
generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione
legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Dicevo, sembrerebbe oziosa, ma non lo è. Infatti c’è un grande equilibrio in questo articolo 42, equilibrio che però potrebbe essere completamente eroso qualora venisse introdotta una legge con un diritto di espropriazione generalizzato (cosa che la Costituzione non proibisce) o si individuassero speciosamente limiti troppo estesi “allo scopo di assicurarne la funzione sociale”, per esempio qualora la legge dovesse fissare un tetto di 10.000 euro al valore delle proprietà che un cittadino può detenere, cosa che non è teoricamente in contraddizione con il dettato costituzionale.
Ricordo anche che la graduale eliminazione del denaro contante è un fenomeno che sta avvenendo davanti a tutti noi e con pochissime resistenze da parte della gente che non capisce che essere obbligati a mettere i propri soldi in banca significa prestarli alla banca e non semplicemente depositarli. Prestarli, nella speranza che ci vengano restituiti! Eppure, non si riesce a capire quale articolo della Costituzione accorra in soccorso del cittadino per impedire questo che non è un mero trasferimento del proprio denaro da sé stessi a un istituto che ha l’obbligo di custodirlo ma è, appunto, tecnicamente e sostanzialmente, un investimento speculativo gravato da tutta una serie di rischi. In questo senso la Costituzione è gravissimamente bacata già in partenza e, ovviamente, lo sarà ancor di più se dovesse passare la riforma, di Renzi. Con riguardo al sottovalutatissimo problema del contante, la Costituzione avrebbe dovuto prevedere un articolo che dicesse a chiare lettere che il cittadino ha il diritto di poter depositare il proprio denaro presso un’istituzione di deposito conservandone sempre la piena proprietà, ossia senza alcun obbligo di prestarlo ad una banca, che non è un istituto di deposito ma di credito. Non è stato fatto perché la Costituzione che abbiamo è, nonostante le apparenze, una costituzione capitalista, fatta nell’interesse delle banche e non dei cittadini.
Grazie del suo intervento e delle sue sempre preziose precisazioni, signor Casiraghi.
Le posso chiedere sotto quale rispetto, secondo lei, la riforma costituzionale cosiddetta ” di Renzi” (e parlamento complice al seguito), su cui — sperabilmente — saremo chiamati a votare ad ottobre, insidierebbe l’integrità della proprietà individuale di conti correnti e depositi bancari? Glielo chiedo anche perché mi risulta che la norma del bail-in, o responsabilità solidale dei correntisti rispetto alle acrobazie fin troppo spericolate negli investimenti finanziari da parte delle banche, è purtroppo già approvata e in vigore senza previa consultazione referendaria dei soggetti direttamente interessati (o meglio, colpiti) dalla norma stessa: i cittadini con conti bancari in patria, e non alle Isole Vergini o nel Lichtenstein o, nel dopo-Brexit, nella City londinese.
Buongiorno Marilù, mi sono probabilmente espresso con poca chiarezza. La riforma di Renzi ha aspetti degenerativi ulteriori ma non ha direttamente a che fare con il problema dell’integrità della proprietà individuale di conti correnti e depositi bancari.
Ricordo innanzitutto che i cassieri delle filiali bancarie hanno da anni l’obbligo di segnalare ogni tipo di operazione che a loro parere è sospetta per cui anche versare del denaro che è nostro, perché, per esempio, era tenuto in casa, rischia di suscitare questo sospetto determinando l’avvio di una procedura di inchiesta a nostro carico. D’altronde se i cassieri non segnalassero ciò che a loro insindacabile parere è sospetto, rischierebbero loro in proprio! Come risultato di questa atmosfera di terrore fiscal-finanziario, siamo di fatto obbligati a portare i nostri soldi in banca il che significa appunto spogliarci della loro proprietà e questo in modo reale e tutt’altro che metaforico. L’articolo 1834 del codice civile, che riporto in parte, stabilisce infatti quanto segue (le maiuscole sono mie):
“Depositi di danaro. Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, QUESTA NE ACQUISTA LA PROPRIETÀ, ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi.”
Quando noi quindi diciamo “quello lì ha un sacco di soldi in banca” oppure “i miei soldi, per stare sicuro, li tengo in banca” non ci rendiamo conto di dire un’assurdità: nessuno può avere un sacco di soldi in banca o tenere dei soldi in banca perché quei soldi sono della banca. È la banca che tiene i SUOI soldi in banca, non noi!
La prima affermazione andrebbe dunque riformulata in “la banca ha un debito enorme nei confronti di quello lì” e la seconda in “i miei soldi, per stare sicuro, li ho prestati alla banca.” Frase da cui si intuisce subito la superficialità del nostro modo abituale di fare e di pensare. Si tratta in effetti di un processo di auto-espropriazione cui abbiamo consentito per l’assenza di alternative (ossia perché non esiste una banca che si occupi solo di custodire il denaro in modo che esso rimanga sempre nostro), per difenderci dall’inflazione (che è essa stessa una strategia operativa volta a supportare l’idea che le banche siano indispensabili) e anche per la nebbia totale in cui noi cittadini siamo avvolti sin dalla nascita proprio sulle questioni di fondo dell’economia.
Per quanto riguarda invece il bail-in, che è una pura mostruosità concettuale e legale (si veda l’articolo di FiloDiritto http://www.filodiritto.com/articoli/2016/06/i-profili-di-criticit-del-bail-in-una-misura-che-presenta-indiscutibili-caratteri-di-incostituzionalit.html?utm_source=Filodiritto&utm_medium=email&utm_campaign=Newsletter+594) il significato pratico per privati e aziende è di non avere mai conti correnti o depositi che superino i 100.000 euro per ogni banca (banca, non filiale di banca, i depositi in più filiali della stessa banca vengono infatti sommati e se superano i 100.000 si ritorna in zona pericolo). I conti cointestati possono arrivare invece a 200.000 euro (100.000 per ogni cointestatario).
Si noti però che questa è solo la teoria. Primo, le regole possono cambiare in qualsiasi momento in modo del tutto legale per cui le regole del bail-in non sono scritte nella roccia ma nella sabbia (si veda il precedente dell’haircut greco e cipriota in cui le “regole” vennero letteralmente modificate da un giorno all’altro dalla Commissione europea). Secondo, quei 100.000 euro salvati sono tali solo perché garantiti dal Fondo Interbancario. Ma chi ci garantisce che il fondo interbancario abbia denaro sufficiente per rimborsare tutti? Si veda comunque https://www.fitd.it/Faq, sito del Fondo Interbancario, che consente di scaricare l’elenco delle banche aderenti e tutta la legislazione anche in merito al bail-in. Terzo, non tutte le banche aderiscono al Fondo Interbancario, in particolare, non vi aderisce Poste Italiane (che in effetti opera solo come “venditore” della Cassa Depositi e Prestiti, si veda http://www.cdp.it/). Apparentemente, dunque, chi ha un conto corrente postale ha solo la garanzia dello Stato Italiano, cui appartiene la Cassa Depositi e Prestiti. È una garanzia abbastanza forte? In un’epoca in cui gli stati nazionali d’Europa stanno più o meno lentamente morendo, nessuno lo può sapere.
Buongiorno Marilù, mi sono probabilmente espresso con poca chiarezza. La riforma di Renzi ha aspetti degenerativi ulteriori ma non ha direttamente a che fare con il problema dell’integrità della proprietà individuale di conti correnti e depositi bancari. Ricordo innanzitutto che i cassieri delle filiali bancarie hanno da anni l’obbligo di segnalare ogni tipo di operazione che a loro parere è sospetta per cui anche versare del denaro che è nostro, perché, per esempio, era tenuto in casa, rischia di suscitare questo sospetto determinando l’avvio di una procedura di inchiesta a nostro carico. D’altronde se i cassieri non segnalassero ciò che a loro insindacabile parere è sospetto, rischierebbero loro in proprio! Come risultato di questa atmosfera di terrore fiscal-finanziario, siamo di fatto obbligati a portare i nostri soldi in banca il che significa appunto spogliarci della loro proprietà e questo in modo reale e tutt’altro che metaforico. L’articolo 1834 del codice civile, che riporto in parte, stabilisce infatti quanto segue (le maiuscole sono mie):
“Depositi di danaro. Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, QUESTA NE ACQUISTA LA PROPRIETÀ, ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi.”
Quando noi quindi diciamo “quello lì ha un sacco di soldi in banca” oppure “i miei soldi, per stare sicuro, li tengo in banca” non ci rendiamo conto di dire un’assurdità: nessuno può avere un sacco di soldi in banca o tenere dei soldi in banca perché quei soldi sono della banca. È la banca che tiene i SUOI soldi in banca, non noi!
La prima affermazione andrebbe dunque riformulata in “la banca ha un debito enorme nei confronti di quello lì” e la seconda in “i miei soldi, per stare sicuro, li ho prestati alla banca.” Frase da cui si intuisce subito la superficialità del nostro modo abituale di fare e di pensare. Si tratta in effetti di un processo di auto-espropriazione cui abbiamo consentito per l’assenza di alternative (ossia perché non esiste una banca che si occupi solo di custodire il denaro in modo che esso rimanga sempre nostro), per difenderci dall’inflazione (che è essa stessa una strategia operativa volta a supportare l’idea che le banche siano indispensabili) e anche per la nebbia totale in cui noi cittadini siamo avvolti sin dalla nascita proprio sulle questioni fondamentali dell’economia.
Per quanto riguarda invece il bail-in, che è una pura mostruosità concettuale e legale (si veda l’articolo di FiloDiritto http://www.filodiritto.com/articoli/2016/06/i-profili-di-criticit-del-bail-in-una-misura-che-presenta-indiscutibili-caratteri-di-incostituzionalit.html?utm_source=Filodiritto&utm_medium=email&utm_campaign=Newsletter+594) il significato pratico per privati e aziende è di non avere mai conti correnti o depositi che superino i 100.000 euro per ogni banca (banca, non filiale di banca, i depositi in più filiali della stessa banca vengono infatti sommati e se superano i 100.000 si ritorna in zona pericolo). I conti cointestati possono arrivare invece a 200.000 euro (100.000 per ogni cointestatario). Si noti però che questa è solo la teoria. Primo, le regole possono cambiare in qualsiasi momento in modo del tutto legale per cui le regole del bail-in non sono scritte nella roccia ma nella sabbia (si veda il precedente dell’haircut greco e cipriota in cui le “regole” vennero letteralmente modificate da un giorno all’altro dalla Commissione europea). Secondo, quei 100.000 euro salvati sono tali solo perché garantiti dal Fondo Interbancario. Ma chi ci garantisce che il fondo interbancario abbia denaro sufficiente per rimborsare tutti? Si veda comunque www punto fitd.it, sito del Fondo Interbancario, che consente di scaricare l’elenco delle banche aderenti e tutta la legislazione anche in merito al bail-in. Terzo, non tutte le banche aderiscono al Fondo Interbancario, in particolare, non aderisce Poste Italiane (che in effetti opera solo come “venditore” della Cassa Depositi e Prestiti, si veda il sito www punto cdp.it . Apparentemente, dunque, chi ha un conto corrente postale ha solo la garanzia dello Stato Italiano, cui appartiene la Cassa Depositi e Prestiti. È una garanzia abbastanza forte? In un’epoca in cui gli stati nazionali d’Europa stanno più o meno lentamente morendo, nessuno lo può sapere.
Grazie di nuovo, signor Casiraghi! Ha chiarito con la consueta lucidità e accuratezza sia l’equivoco in cui ero io caduta nel leggere una sua affermazione precedente (“In questo senso la Costituzione è gravissimamente bacata già in partenza e, ovviamente, lo sarà ancor di più se dovesse passare la riforma, di Renzi.”), sia il groviglio di astuti malintesi in cui siamo avviluppati, noi cittadini ignari (o anche, talvolta, colpevolmente ignoranti) da un senso comune non sempre così buono e affidabile.
Il fatto che non siamo però ancora finiti come il Bangladesh o l’Etiopia o la Corea del Nord, mi suggerisce che, a certi gravi vizi di fondo della nostra Carta fondamentale come delle leggi successivamente introdotte, siano stati contrapposti — almeno finora, e soprattutto fino al prossimo ottobre — validi contrappesi e antidoti efficaci.
Mi piacerebbe proseguire questa conversazione ma capisco che non è il caso, per un minimo (e stavolta buon!) senso di rispetto verso i nostri taciturni — e molto pazienti — anfitrioni.
Ancora grazie e a presto rileggerla!
Di nuovo sono dolente, Signora Lombroso, ma devo rivelarle che non sono “al servizio della teocrazia del mercato”, mai stata. (Tra l’altro, per inciso, non è che potrebbe smettere di insultare chiunque si trovi ad avere opinioni diverse e, su alcuni punti, anche diametralmente opposte, dalle e alle sue? E’ un ottimo esercizio di democrazia, sa?)
Ho però la fortuna di essere tra quegli italiani (non pochissimi, stando alle statistiche) che, grazie al lavoro onesto e non all’arrembaggio dei beni e/o della buona fede dei propri simili, si trova ad avere accumulato dei risparmi, regolarmente dichiarati, e negli ultimi anni altrettanto regolarmente erosi dall tasse. Che forse, anche se non del tutto, sono e saranno state convogliate nella costruzione di ospedali, scuole, strade, così come nella busta paga di insegnanti, netturbini, medici, infermieri, pompieri, sindacalisti, poliziotti, magistrati, amministratori comunali, regionali, statali ecc. ecc. La qual cosa mi rende fiera di essere italiana e di abitare in Italia e non — non ancora — in Bangladesh, dove è pienamente ‘”legalizzato” il furto non solo dei beni, ma anche della salute e della vita della gran parte dei cittadini a quasi esclusivo beneficio di un’oligarchia che ormai, più che politica, temo faccia solo e soltanto propaganda.
Il diritto alla proprietà, inserito nelle costituzioni di paesi come la Polonia, per esempio, non mi parrebbe un’acrobazia balorda fuori da ogni logica e, nel caso di quella nazione, di ogni esperienza diretta di cosa possa significare avere uno Stato ultradecisionista e incontrastabile nei suoi decreti, pena punizioni che, al confronto, le nostre carceri (per fortuna chiuse!) di massima sicurezza dell’Asinara e di Pianosa sarebbero sembrate eleganti resort per le vacanze al mare.
Infine, potrebbe illuminarmi circa “i tribunali che esonerano di responsabilità industriali assassini”? Non è proprio del maggio scorso la sentenza della Cassazione che ha finalmente e definitivamente confermato le condanne dei responsabili della tremenda strage all’acciaieria di Torino, la Thyssen-Krupp, nel dicembre 2007? Tra l’altro l’AD tedesco, che in base alla legge italiana era stato condannato a scontare oltre nove anni in carcere, ne sconterà invece solo cinque, dal momento che potrà essere imprigionato solo in Germania, dove la giurisprudenza locale prevede un massimo di cinque anni di detenzione per chi si è macchiato del delitto di omicidio colposo.
Chiudo qui, mi sono dilungata anche troppo, abusando della vostra ospitalità (e sacrosanto diritto di accompagnarmi alla porta della vostra…proprietà, se ne violo le regole, tra cui quella non detta ma indubbiamente sensata della giusta misura).
Chiedo scusa, ho inserito qui, sbagliando, la mia replica alla risposta di Anna Lombroso, delle 8:37 di oggi e che, pertanto, avrebbe dovuto comparire in calce a quel commento e non qui in cima.
Signora Lombroso, mi spiace ma, di nuovo e una volta di più, non riesco a capirla: in che modo il diritto alla proprietà può ledere la democrazia? Il diritto di furto sulla base dei propri desideri e anche antipatie o persino smanie vendicative, potrebbe invece esaltare le virtù repubblicane e democratiche dei popoli che lo adottano, quel diritto, nelle loro Costituzioni? Poi, certo, ci sono proprietà acquisite con la violenza e/o con l’inganno, che è una forma di sopraffazione dell’altro più sottile e subdola, ma proprio per questo dovrebbero esistere leggi, pubbliche indagini, pubblici tribunali; per tutelare e ristabilire i diritti lesi di chi quelle prevaricazioni è costretto a subire.
Se ritiene che siano tutti strumenti inutili, e che comunque è la legge del più forte e spietatamente egoista che è in ogni caso destinata a prevalere, che cosa le può importare della forma o deformazione che la nostra o altre Costituzioni potrebbero ricevere?
Certe acrobazie compiute dagli equilibristi al servizio della teocrazia del mercato, sono davvero spericolate. Non voglio ricorrere all’abusata formula: la proprietà è un furto. Ma mai come di questi tempi suona vera, ormai la proprietà privata ha sempre il sopravvento su interesse e godimento dei beni comuni. Inserire la proprietà tra i diritti fondamentali mi pare davvero un’esagerazione ora che ricchezza e accumulazione non sono più frutto della fatica, del lavoro, del rischio e delle produzioni, ma dei giochi del casinò finanziario, monopolio di dinastie, azionariati, ceti manageriali rapaci. Proprio adesso, quando le reti di controlli e vigilanza sono state smantellate, quando i tribunali esonerano di responsabilità industriali assassini, quando la politica produce leggi che stabiliscono l’egemonia del privato sul pubblico. Chiunque sia uso a leggermi, sa che ogni giorno mi ripeto sulla necessità di stabilire regole democratiche che recano in sè i contenuti della legalità. Ma anche per leggere è necessario essere scevri dai pregiudizi o da interessi di parte, di quella parte che sta conducendo una guerra di classe, purtroppo vincente se ha tanta presa anche tra chi potrebbe esserne vittima. Anna Lombroso.
Cara Lombroso, caro Simplicissimus. Qualora foste possessori di “refurtiva” in termini di proprietà privata (appartamenti, case, depositi ecc…) e voleste, per coerenza, liberarvi la coscienza, potete postare qui l’elenco specificando le modalità di cessione agli esclusi, i diseredati, gli sfruttati, i bambini e le donne che lavorano per le aziende italiane in Bangladesh, eccetra. Rimaniamo in trepidante attesa, già colmi di ammirazione.
immagino, anonimo, che lei sia anche di quella schiera che ritiene che l’accoglienza vada attuata mettendo a disposizione lo sgabuzzino di casa e non pagando le tasse e comportandosi nel rispetto di leggi e imperativi morali.. e immagino che lei si collochi tra gli ingiustamente diseredati che meriterebbe il mio patrimonio in titoli e azioni. La deludo, non c’è. E temo che pensando come pensa e quindi agendo, o meglio non agendo, e votando di conseguenza, continuerà ad esserlo
Credo che il diritto alla proprietà possa essere lesivo della democrazia, nella misura in cui questo concetto è strumentalizzato per favorire la fagocitazione dei beni comuni della collettività, ancora fortunatamente prevalenti rispetto a quelli dei vari tycoons maneggioni, da agglomerati di interessi “privati”, che proprio in quanto tali non sono sottoposti ad alcun controllo democratico.
Agglomerati che si coalizzano proprio per proteggere dalla giustizia le “proprietà acquisite con la violenza e/o con l’inganno” cui fa riferimento, che credo costituiscano la parte preponderante di certi stratosferici accumuli di ricchezza.
Mi torna in mente una battuta di Beppe Tritoni, deputato golpista interpretato in un film da Ugo Tognazzi: “…tutti quei pecoroni che han paura soltanto che i rossi gli portino via tutto, anche quelli che non hanno nulla…”.