Cronache marziane del dopo Brexit. C’è un antica scenetta di Totò riproposta in più di un film in cui il protagonista chiede all’avversario di dargli uno schiaffo se ne è capace e quello invece di esitare gli assesta uno smataflone tremendo, allora Totò incredulo per tanta arroganza, gli dice di dargliene un altro se ha il coraggio così quello gli tira un altro ceffone da antologia e la storia si ripete con Toto che ancora non ci crede e vuole vedere fin dove andrà avanti il suo schiaffeggiatore. Il pubblico capisce che tutto questo fare educato e apparentemente riflessivo non è altro che paura, insicurezza e ride di fronte a una correttezza che è solo impotenza e vigliaccheria, con ciò raggiungendo la catarsi su ciò che esso stesso è.
Purtroppo la gag rappresenta ciò che sta accadendo da decenni: l’opinione progressista prende botte da orbi, ma sembra non reagire, limitandosi ad essere incredula di fronte al suo avversario che ormai non nasconde nemmeno più le sue intenzioni. Tutte le volte sembra porre un limite dicendo che più non è possibile oltrepassarlo, ma l’avversario se ne frega e procede come un treno. Così invece di opporsi a mosse e intendimenti dichiarati apertis verbis abbozza e dedica le forze a santificare in qualche modo le armi del nemico, come se questo riducesse la portata della sconfitta, mentre porta solo conforto psicologico. Illustri e nobelati economisti dicono che l’euro è un assurdo economico, ma una mano santa per la riduzione della democrazia e questo induce a una sgangherata fede nella moneta unica; l’Europa traligna in liberismo allo stato puro e costruisce un apparato istituzionale non scalabile dal basso, praticamente impermeabile al consenso come dichiarano felici i responsabili della oligarchia di fatto di Bruxelles e si feticizza una Ue che paradossalmente non estingue gli egoismi nazionali, ma li gioca dentro un quadro di gioco al massacro economico. E potrei andare avanti per ore se non fosse che l’articolo sulla Brexit della Foreign Politics, magazine creato dalla Carnegie Foundation, ma ora di proprietà della Washington Post il cui titolo è appunto “E’ tempo che le elites si ribellino alle masse ignoranti”, toglie ogni dubbio riguardo agli obiettivi che l’oligarchia si prefigge: vuole eliminare da qualsiasi decisione le “masse ignoranti”e ribaltarle. Certo l’autore di questo pamphlet, sembrerebbe far parte delle medesime vista l’abbondanza dei più vieti luoghi comuni ( se volete leggerlo è qui) e l’aria sciatta, ripetitiva, sommaria di tesina liceale, solo più banale, asfittica e ottusa. Ma questa è la minestra del convento americano.
Il che ci porta ad un’altra considerazione: che ormai le classi dirigenti sono spesso ignoranti come e forse più delle masse. Allevate in illustri opifici degli studi privati il cui scopo principale non è la diffusione della conoscenza, ma l’educazione dei rampolli delle elites a riconoscersi pienamente come tali e giustificare se stessi in quanto tali, ne escono fuori molto spesso sotto forma di presuntuosi e tracotanti babbei destinati a fulgide posizioni grazie alla rete di conoscenze, connivenze, complicità: il darwinismo che essi invocano per l’intera società, il merito che pretendono dagli altri per loro non ha alcuna validità. Infatti mai come nei nostri tempi le classi dirigenti sono così mediocri e inadeguate: basta pensare al montismo e al suo ambiente per toccare con mano questa realtà nella sua versione italiana. Per quello che valgono dovrebbero vivere a un’immaginaria corte del Re Sole come scampoli di un potere ormai al tramonto e invece dettano legge e cercano di ripristinare il feudalesimo. E’ questo ambiente ormai eticamente marcio e intellettualmente miserabile che filosofeggia sull’ignoranza che ha portato al Brexit, laddove per ignoranza si deve intendere la deviazione dagli interessi di loro signori. Per concludere che la democrazia è un errore, che va superata con tutto il suo rituale di elezioni visto che non le si può interamente controllare.
E hanno anche ragione se c’è ancora gente che arzigogola incerta e che si chiede dove vogliano arrivare, quando loro lo dicono senza remore. Dopotutto la mediocrità e la stupidità non sono un loro monopolio.
A proposito di “leaders,” il commento del Sig. Casiraghi e’ quanto mai a proposito.
Abbondano, soprattutto in accademia, dove arroganza e prosopopea vanno pari passo con il “titolo” accademico. Che, specialmente nelle discipline socio-politico-economiche, probabilmente vale quanto la laurea in Albania, presa dal Trota di Bossiesca memoria.
Tali attitudini sono ormai completamente internazionalizzate.
Abito in relativa vicinanza alla Nike – ditta famosissima per riuscire a vendere per 10 volte di piu’ le stesse scarpe che in negozio poco distante costano 10 volte di meno.
Avevo scritto a un “leader” italiano – per carità, non per ottenere lavoro o beneficenza, ma per estendere la proposta di un gruppo ambientalistico che sarebbe di ovvio interesse pubblicitario per la ditta.
Avevano delegato il sottoscritto a farlo, proponendomi di scrivergli in italiano. Cosi’ feci e non avendo nemmeno ricevuto una risposta, sia pure un “va f’’’ulo”, ho ricercato le qualifiche del “leader”.
Bingo! Si e’ laureato alla Bocconi in scienze di marketing o simile. Il che mi ha fatto rispolverare una dichiarazione rilasciata a testata nazionale dal rettore della Bocconi. Il quale voleva dire che gli esami di maturità non servono. Sappiamo bene perchè gli esaminatori della maturità vengano (venissero?) da fuori – per ridurre le possibilità (reali) di favoritismi interni, etc.
Ecco la dichiarazione, che caratterizza il personaggio, ma che anche dimostra come bisogna esprimersi per diventare dei “leaders.”
“Adottare come parametro valutativo i risultati scolastici del terzo e quarto anno vuole essere segno di fiducia nella capacità formativa della scuola, inoltre si pone come stimolo agli studenti stessi per una applicazione continuativa, che consenta di metabolizzare studi e nozioni in un processo di maturazione personale che non può essere improvvisato, scoraggiando quindi la fiducia nello «scatto» finale, nonché su possibili componenti di disinvoltura e di fortuna.”
Toto’ direbbe “per dindirindina”. Ci vogliono polmoni da atleta per leggere la proposizione in un fiato. Ma non si tratta che di uno tra gli innumerabili fiori letterari della lingua managerese. Talis magister, tali pupilli….
Le cazzate contenute nel citato articolo di “Foreign Policy” ne sono, peraltro, l’ennesima internazionalizzata dimostrazione.
A proposito delle reazioni al Brexit chi avesse tempo e voglia puo’ leggersi il blog “Shakespeare on Brexit” http://wp.me/p2e0kb-1WZ
Veramente è dal 1945 che gli americani fondano in Europa think tanks e associazioni che mirano a selezionare e preparare i gruppi dirigenti dei vari stati europei: i cosiddetti “leader”. Si perde il conto del numero, davvero massiccio, di queste pseudo logge basate sul concetto che le masse hanno bisogno di essere guidate. Il mondo del business è addirittura pervaso dal concetto di leadership ma chiunque abbia incontrato o frequentato dei “leader” sa che nella maggior parte dei casi si tratta solo di persone mediocri, raccomandate e protette anche quando sbagliano.
Intanto “leader” è una brutta parola e chi la pronuncia dovrebbe essere guardato con sospetto perché significando “colui che guida o conduce” ha una stretta analogia semantica con “duce” o “conducator”. In altri termini leader e dittatore sono la stessa cosa, in politica e nel mondo del lavoro, e, alla fine, tutta questa enfasi sulla parola “leader” tradisce solo la cultura a cui appartengono queste persone che se ne riempiono la bocca e la penna: l’elitismo, che è esattamente l’opposto dello spirito democratico, ma che rappresenta un amo sempre molto attraente per tante persone di classe sociale medio-bassa che darebbero l’anima pur di salire la scala dell’elitismo anche di un solo gradino.
Parlare di elitismo, come fa il signore americano citato da Mr. Simplicissimus, è manifestamente andare alla pesca di queste anime scialbe che ambiscono a “nobilitarsi” entrando nella gerarchia delle gerarchie e diventarne sì schiavo, ma con parecchi fringe benefits interessanti. Perché l’élite può offrire ai suoi servitori fama e ricchezza e chiede in cambio solo una cosa: che si obbedisca ciecamente alle istruzioni ricevute.
Ed ecco che capiamo perché i politici di oggi dicano delle assurdità a ritmo continuo. Stanno obbedendo ciecamente alle istruzioni ricevute. Sono soldatini o burattini della gerarchia più potente che esista, fieri di potersi consolare per la perduta libertà e le figure di palta, cui sono ripetutamente costretti, con incarichi di prestigio, posti di primo ministro o di sindaco, prebende multiple, lauree honoris causa, prime pagine a disposizione su tutti i media e tutto il corteggio di piccoli e grandi privilegi che sono previsti per loro.
Si è mai fatto un censimento di tutti i politici, accademici, giornalisti e industriali italiani ed europei che hanno venduto la loro anima all’elitismo, che hanno avuto rapporti con think tank, associazioni e ong di filiazione americana o che hanno avuto modo di partecipare ai sacri riti delle massonerie e paramassonerie? E se ne è aggiornato l’elenco in modo da sapere, prima di votarli, che non sono gente come noi ma i super-protetti schiavi di Dio, i “leader” che non hanno mai guidato nulla, deciso nulla, ma che, in cambio, saranno guidati e decisi tutta la loro vita?