Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sapete quelle colonne sonore che ci perseguitano al supermercato, verosimilmente imposte per creare confusione e istigare ad acquisti dispendiosi, futili e irrazionali così quando torniamo a casa, pieni di sacchi e sacchetti, scopriamo di non avere niente per cena? Quelle musiche indecifrabili, monotone come nenie letargiche, collage insignificante di note e voci, che perseguono tutte l’intento di stordire la nostra capacità di scegliere tra gli scaffali della merce in vendita?

Ecco, è così l’accompagnamento dei nostri giorni, una combinazione di propaganda dell’inquietudine e di rassicurante persuasione che l’attuale mediocrità è il migliore di mondi possibili, una miscela di intimidazione e di apostolato della delega, in modo che non si lascino nelle mani del popolo bue decisioni, libertà di espressione, autodeterminazione, secondo le promesse del grande spot  che pubblicizza l’inevitabile fatalità delle politiche di austerità, la doverosa e improrogabile necessità di abbattere l’edificio  dello Stato sociale e dei diritti, la desiderabilità degli strumenti (Ttip, Tisa, Ceta) che autorizzando il monopolio planetario delle multinazionali delle corporation e dei mercati,  promuovono la neutralizzazione totale e irreversibile delle più elementari “compensazioni”, equilibratrici delle democrazie costituzionali: giustizia, Parlamenti, rappresentanze, volontà popolari.

Il grande e sussiegoso bisbiglio, dopo gli insuccessi elettorali, quando lo spacconcello che prima l’aveva voluto per sancire la superfluità del parlamenti e delle rappresentanze, si è rimangiato le promesse di andarsene in caso di sconfitta e quando ci ha resi edotti che una vittoria del No sarebbe insignificante, ci sussurra, ma è solo una coincidenza, che i referendum sugli scaffali delle moderne democrazie sono merce deteriorabile, forse scaduta, che è preferibile non comprare e non consumare se non si hanno nozioni di cucina, perché potrebbe rivelarsi velenosa.

Il coretto di menzogne e rimozioni proprio come al festival della canzone, viene bene a fare da contrappunto alla riprovazione della forosetta alle Riforme, che deplora la disinvoltura dei falsi partigiani che voteranno con Casa Pound, come se fosse autorevole il pulpito morale condiviso coi Verdini, anche se ormai agli esponenti di questo governo di fantocci “triplicisti”, incaricati di assecondare la manutenzione di  quel monumento di sopraffazione autoritaria, di celebrare le liturgie e i sacrifici offerti alle divinità della povertà di tanti e indispensabili a moltiplicare la ricchezza di pochi, di custodire la grande galera, dove chiudere chi sta dentro e escludere chi da fuori aspira a una incerta sub-sopravvivenza, comunque più  preferibile  della fame certa, della paura sicura, della probabile morte per bombe, magari proprio spedite da là.

Insomma ci mettono in guardia: sarebbe meglio prendersi una pausa di riflessione, come sempre si auspica nelle questioni di corna e tradimenti, tanto che a sorpresa si esprime perfino la sagoma cartonata che fa pubblicità al Colle. Meglio non lasciare il prezioso e fragile  strumento delle mani sbagliate, quelle della plebe che ci potrebbe prendere gusto e poi tocca annullarne faticosamente gli effetti, come altre volte si è dovuto fare, come si vorrebbe fare con petizioni a mo’ di Change e raccolta di firme hipster e pretty in Gb. E come non c‘è rischio che avvenga da noi,  visto che anche gli studenti del primo anno sanno che non è prevista una consultazione sui trattati internazionali. E poi se ormai è inevitabile, sarebbe auspicabile rinviarlo, in modo da favorire l’informazione, in modo da non finire come i poveri inglesi plagiati da una torma di fascistelli e da manipoli di razzisti.

Eh si, perché si sa che ceto dirigente e cauti commentatori parlano per il nostro bene, perché non finiamo ostaggi di spinte viscerali, col rischio che un pronunciamento popolare sconfini nell’eversione, tanto che forse l’Italicum si rivelerebbe troppo blando e la riforma costituzionale troppo permissiva, che in fondo sarebbe meglio rivedere tutta l’impalcatura per limitare l’uso improprio del voto, l’abuso di partecipazione, l’apologia del sistema democratico, messo in mano pericolosamente a un popolo infantile, influenzabile, corruttibile e permeabile a razzismo e xenofobia. Proprio come hanno mostrato di essere gli inglesi, che pure tanto ci piacevano da correre a infornargli le pizze a ridosso della City, a mutuarne gergo e slang, a vestirci come loro e come Sordi in Fumo di Londra, appena atterrati a Heatrow, a cercare di copiare il loro impero, anche senza lanceri del Bengala accontentandoci di meno grandiosi macellai italiani.

Perché, ammettiamolo, suona piuttosto ridicola la sorpresa per l’affiorare in Gb di un sentiment ispirato a razzismo, esclusione e rifiuto, proprio come non ci stupisce in altre aree delle geografie europee che non vantano la stessa tradizione di oppressione colonialista, il rinascere vigoroso di fascismi, peraltro nutriti generosamente dalle cancellerie.  Come se emarginazione, discriminazione anche violenta, confinamento, fossero fatti nuovi che fanno la loro irruzione grazie all’affermarsi di fermenti intestinali, a revanscismi nazionalistici, al populismo insomma, e non ci fossero stati avvertimenti sulla possibilità che si scatenino guerre tra gerarchie di poveri, battaglie e razzie di seconde e terze generazioni di immigrati incolleriti, repulisti e richieste di risarcimenti violenti di “locali” che si sentono defraudati.

E non si può non sospettare che vogliano farci vedere solo l’aspetto esteriore, quello pittoresco e folcloristico, con gli hooligan provvisoriamente distratti dalle curve e dirottati contro gli stranieri. A dimostrazione che, grazie alla pedagogia europea, potremmo esserne immuni, che se restiamo agli ordini del potentato evitiamo l’infamia, la vergogna e la condanna della storia.  Perché sia chiaro che le ruspe di Salvini, di Farage, di Le Pen sono condannabili, mentre il razzismo in doppiopetto del Migration Compact, dell’accordo che Cameron ha stretto in tempi non sospetti con l’Ue, dei patti col sultanato,  degli accordi sottobanco coi despoti corrotti e corruttori, che si vendono la pelle dei sudditi in cambio di affari, la Dachau dei vivi a Idomeni, la giungla di Calais, i muri dai cui spalti sparano gli eserciti regolari e strani affiliati, devono avere il rispetto dovuto a necessarie azioni di contenimento del fenomeno, messe in atto per garantire la sicurezza, per difendere la nostra civiltà, per ristabilire l’ordine costituito, quello degli scaffali del centro commerciale.