quei-dueDopo la vittoria degli azzurri sul Belgio, la televisione è stato il palcoscenico corrivo e irritante di un teatrino dell’assurdo nel quale si è consumato un grottesco, futile riscatto da ben altre frustrazioni davanti alle quali il Paese sembra come ipnotizzato. E ho avuto persino il dispiacere di vedere in un canale importante, non mi ricordo più se della Rai o di Mediaset un folgorante basso servizio in cui con irrefrenabile orgoglio patrio si sosteneva che finalmente il Made in Italy faceva valere il suo meglio, ovvero il calcio, la cucina e la moda mentre via via comparivano paccheri, tailleur e goal. Se non è sole, spaghetti e mandolino del vecchio e infame stereotipo poco ci manca, anzi è molto peggio perché si tratta di uno stereotipo di ritorno, non più qualcosa di cui liberarsi, ma a cui aspirare.

Però quel servizio curato da brillanti cervelli mai usati, tutti i torti non li aveva: gli italiani hanno fatto di tutto perché questo accadesse, perché nelle istituzioni si incistasse un ceto politico da amatriciana, cene eleganti e ribollita che ha guidato la distruzione delle tutele e della dignità del lavoro e nello stesso tempo ha favorito la deindustrializzazione, che – con esemplare mancanza di etica e di verità -ha concesso alla maggiore impresa del Paese, resa grande anche da una  rete di benefici, concessioni, favori da terzo mondo, complicità mediatiche e valanghe di soldi pubblici, di andarsene alla chetichella, con la fanfara in testa per la presunta conquista della Chrysler. Adesso tutti i nodi vengono al pettine: tutto o quasi si produce altrove, tutto o quasi viene pensato altrove. In questi ultimi due mesi – dopo essersi limitata a soffiare nel palloncino e a produrre in Serbia le cinquecentone in cui incastrare all’occorrenza il Papa, sono usciti due nuovi modelli, le nuove Tipo tre e due volumi da famiglia in gita al mare e la golosa 124 spider, davvero una sorpresa. Dunque Marchionne dopo tutto ha capito che bisogna rinnovare la gamma per dare alla Fiat uno spazio dentro la plumbea Chrysler. Invece no, è tutto  un’ gioco di prestigio: le nuove tipo che verranno comprate da noi  essenzialmente perché hanno un marchio italiano e hanno un prezzo concorrenziale sono state sviluppate in Turchia dove peraltro sono integralmente prodotte, si tratta di auto che puntano essenzialmente sui mercati in via di sviluppo, che hanno il loro sbocco nei Balcani, in Medioriente, in Africa, (ce ne sarà anche una marchiata Dodge dedicata al mercato messicano)  ma di solito destinate ad essere marginali nei mercati ricchi non perché siano di per sé cattive auto, ma perché offrono soluzioni ormai datate, progettate decenni prima. Se poi tali soluzioni, di solito affidate a sottomarche, tipo Dacia, non erano brillantissime già da prima (la nuova tipo è in sostanza una Bravo, modello abbandonato per scarso successo) allora  si ha il sospetto che la Fiat sia una sottomarca di se stessa.

Ma sarei ingiusto se non citassi tutt’altro prodotto, la pronipote della vecchia e gloriosa 124 spider e battezzata con lo stesso nome in suo onore, come se ormai l’industria italiana dell’auto, incapace di andare oltre volesse ossessivamente commemorare i suoi tempi d’oro prima del decesso. E’ comunque una macchina, che fa immagine e che rappresenta un guizzo inaspettato. E’ gradevole , vivace se non potente, qualcosa che potrebbe fare breccia nel mercato di fascia medio alta americano ed europeo. E bravo Marchionne. Ma un momento … anzi un minuto di silenzio per commemorare l’industria italiana: la Fiat 124 Spider non è altro che la Miata ovvero la Mazda Mx5  nella versione terza serie del 2006 e viene integralmente costruita in Giappone sulle stesse linee di montaggio dell’originale ormai più evoluto. Del resto cambiare un marchio, metterci il volante ottomano della nuova Tipo, ideale per appoggiarvi il Tasbeeh e altri imperdibili arredi , variare un po’ di fanaleria, eliminare un bel po’ di tecnologia  di punta imponendo un prezzo di listino maggiore rispetto all’originale giapponese non è certo un grosso problema, non nell’organizzazione della fabbrica nipponica. E non sfiora nemmeno il denso pelo sullo stomaco dell’uomo col maglioncino.

Nell’insieme si tratta di puro bricolage privo di qualsiasi apprezzabile strategia che si limita a sfruttare pertugi e nicchie sfruttando tecnologie anziane più che mature al solo scopo di compiacere momentaneamente gli azionista, ma senza vera ricerca e prospettive. Si vede la mano del furbetto che non riesce ad uscire da questa dimensione. E’ spassosissimo vedere come le pubblicazioni specializzate facciano i tripli salti mortali per attribuire un qualche straordinario pregio o una qualche italianità al prodotto come comanda il padrone. La sostanza alla fine è che ai nuovi modelli non corrisponde un grammo di nuovo lavoro in Italia, dal momento che tutto, proprio tutto si fa altrove, compresi i bilanci. In compenso abbiamo sviluppato una gigantesca e inimitabile produzione di prese per il culo. E Marchionne ci mette il turbo.