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Via Matteo Renzi chiusa per frana

Putin-4Qualche giorno fa avevo spezzato una lancia a favore della Raggi e dio sa con quanta difficoltà. Ma ieri notte ho avuto la riprova e la consolazione di non essermi sbagliato, vedendo come in un incubo il modo e i riflessi pavloviani  in cui la vecchia, asfittica  compagnia di giro di tromboni giornalisti e commentatori, praticamente a reti unificate visto che il dissenso è ormai inesistente, ha cercato di dare un’interpretazione del voto che farebbe invidia al brigante Musolino travestito da Heidi. Non voglio nemmeno occuparmi delle cose miserabili, come la traduzione di titolo di un quotidiano inglese: “Per la prima volta una donna alla guida della città” come Per la prima volta un populista alla guida della città (rai24). O il fatto che l’ex assessore Esposito, importato da Marino a Roma e poi tornato nelle braccia di Fassino, nero come la notte, abbia sostenuto che chissà cosa faranno i cinque stelle nella capitale, ” certo manca un urbanista”, mentre l’unica squadra in tutti i luoghi in cui si è votato che comprende un urbanista è proprio quella della Raggi con Paolo Berdini.  Ciò che è più interessante è la tesi prefabbricata secondo la quale , senza tenere in alcun conto l’ulteriore e corposa riduzione degli elettori, viene decretato che il Movimento cinque stelle ha raccolto i voti della destra. Una teoria tutta da verificare sul piano tecnico e con i flussi elettorali, ma completamente falsa sul piano politico visto che 1) dove un candidato piddorenziano  si è scontrato con le anticaglie del berlusconismo ha generalmente vinto sottraendogli consensi; 2) la destra stessa quando esclusa dal ballottaggio ha consigliato il voto per il renzismo e da parte sua a Napoli il renzismo si è alleato con la destra contro De Magistris; 3) il Pd e la destra sono di fatto un’offerta unica che si concreta, non solo nelle politiche pressoché identiche, ma anche  nel progetto del partito della nazione. Non a caso dovunque è stato il cadidato Pd stesso a raccogliere personaggi della destra berlusconica per garantirsene il voto. La novità vera è invece l’esatto contrario di quanto vanno blaterando illustri e lustri commentatori: si è  spezzato il ricatto del Pd sull’ area di sinistra – tanto per chi volete votare alla fine se non per noi? Volete far vincere la destra o per i populisti? – che di fatto ha spazzato via la sinistra radicale e ha convinto molte persone a farsi complici della distruzione della democrazia in nome di un simbolo sempre più vuoto. Tutto questo è alla fine.

La tesi di comodo, già studiata a tavolino come interpretazione in caso di sconfitta, è multiuso come un coltellino svizzero: da una parte raschia il fondo del barile di chi ancora si illude in una natura a sinistra del Pd, solleva come una morchia il denso catrame delle illusioni, dall’altro è come una parola d’ordine: tranquilli se hanno vinto con i voti della destra e non per la rabbia e la stanchezza degli elettori, i Cinque Stelle possono agevolmente rientrare nelle logiche di sistema e dunque non c’è bisogno di ripensamenti veri all’interno dei partiti tradizionali, salvo i sussurri e le grida di rito. L’importante è nascondere e confondere il fatto che le argomentazioni più trite hanno perso ormai il loro senso e che si trovi di fronte a una ribellione al malgoverno di un ceto dirigente sempre più omologato. Certo ci si rende conto che Renzi – l’ometto che ieri è stato capace di far ridere il mondo intero mostrandosi intento a trafficare col telefonino mentre parlava con Putin – ha subito una sconfitta colossale, che è politicamente un Gregor Samsa svegliatosi una mattina mutato in un insetto mostruoso, forse balugina l’idea che probabilmente è ora di cambiare cavallo, però non si ha la minima percezione che non è solo la cavalcatura di turno che va cambiata, ma la direzione.

Il vero punto dolente, è stato rivelato da Fassino, lo sconfitto a sorpresa della città Fiat o forse sarebbe meglio dire Chrysler, il quale dopo essersi vantato della propria splendida amministrazione ha dato la colpa della sconfitta al disagio della città, lasciando come epitaffio questo magrissimo ossimoro. Ma dopo la retorica non si è trattenuto e ha detto che con questo sistema elettorale il quale dà spazio a un terzo partito, questo è quello che può succedere. Lo ha detto come se dovessimo essere tutti in gramaglie per il disappunto dell’Ad della Fca, come se dovessimo tutti prendere atto dello scandalo della democrazia e dei suoi intollerabili pericoli come quello di perdere addirittura il lungimirante Fassino.Ma il messaggio è chiaro: cari amici, cari compagni, cari camerati, dear managers, qui non ci salviamo senza una legge elettorale come l’Italicum e dunque non bisogna mollare sul referendum, è questione di vita o di morte.

A questo punto è chiaro che Renzi aspettava queste elezioni per sondare gli umori in vista del referendum che costituisce la vera posta, al di là dell’amministrazione di molte città chiave del Paese. Un responso positivo o comunque non negativo avrebbe dato le ali alla campagna referendaria del guappo di Rignano, riuscendo probabilmente a mettere in piedi un effetto valanga vittorioso. Adesso invece si è visto che la misura delle chiacchiere, delle bugie, delle sbruffonate è colma e che il referendum torna in alto mare nonostante i chiari tentativi di sabotarlo. Non oso pensare all’uragano di balle e di idiozie che dovremo subire in questi mesi, però almeno Fassino ha svelato quale sarà ora l’argomento principe della campagna: che senza l’Italicum si rischia che vincano non le forze responsabili, ma il populismo, ovviamente nella figura dei Cinque stelle. Difficile da mandar giù vista l’irresponsabilità politica di chi lo dice, la retorica qualunquista con cui lo dice, il vuoto narcisismo di un Parlamento subalterno disposto a tutto pur di  arrivare al 2018. E’ dal No che bisogna ricominciare davvero una nuova storia. Perché se qualcosa è evidente in queste elezioni è che gli italiani non vogliono più “fare la fine degli italiani”.

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