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Lo skyline parla cinese

L’altro giorno sfogliavo un volume dedicato agli skyline, ovvero a un tipo di immagine delle città  tutta nata in America assieme ai grattacieli e rimasta saldata al suo immaginario fino ad oggi, dove è ossessivamente ribadita ad ogni film, telefilm, serie e quant’altro. Tanto saldata da non renderci conto che ormai gli abusati skyline americani sono decrepiti , consunti e anche bassi nonostante i tentativi di alzare i numeri ufficiali con enormi  antennoni ed altri artefatti, come nel caso della torre che ha sostituito il Word trade center: spesso si tratta di strutture di compensazione delle oscillazioni poste all’esterno proprio per aumentare il dato dell’altezza . Prima ci fu l’Empire state building che svettò come il più alto edificio del mondo per trent’anni, poi vennero la Sears Tower a Chicago e le Twin Tower, la gara era aperta, anche se pareva che la essa potesse svolgersi solo in America, sia per ricchezza che essa drenava anche grazie all’accorto uso di queste simbologie di potere, sia per la concentrazione della ricchezza, sia per le difficoltà che esistevano altrove: la falda acquifera molto in superficie in buona parte d’Europa e la necessità di tutelare gli antichi centri storici, i terremoti in Giappone, i tifoni in tutto il sud est asiatico o semplicemente il rifiuto della verticalizzazione eccessiva.

Il vivere gran parte del tempo alla televisione provoca anche un effetto di ritardo temporale nel quale non ci rendiamo conto del declino dell’impero neanche nelle sue simbologie più evidenti e sebbene qualche immagine ogni tanto passi non abbiamo quasi cognizione che altri sky line più moderni, più raffinati, più alti si affaccino ormai sulla superficie del pianeta. Nella tabella pubblicata sopra (per ingrandirla fare doppio click) ci sono tutti i grattacieli con altezza al tetto (via antenne e guglie) si vede benissimo come gli Usa siano rimasti indietro essendo passati da unici detentori dei cieli ad avere  solo una piccola parte degli edifici più alti e il buon vecchio Empire figura al 16 posto in attesa di scendere al 40 esimo una volta realizzati i grattacieli già in progetto  e in costruzione, la maggior parte dei quali  tra Cina e sud est asiatico o area mediorientale.

Questa potrebbe rimanere una mera curiosità se non fosse che se si fa una conta fra grattacieli dai 100 metri in su, come nella tabella risalente a qualche anno fa e probabilmente sommaria, si vede che non solo la Cina ha superato gli States, ma che questi vengono tallonati da vicino anche da altri, che insomma i piccoli sky line crescono  a una sorprendente velocità, ancorché vengano riproposti alla nostra banale meraviglia sempre gli stessi. Qui non si tratta di fare una discussione pro o contro i grattacieli, ma semplicemente di mostrare come proprio uno dei simboli dell’impero rampante sia stato ormai acquisito e superato altrove. Del resto se passiamo davanti al Colosseo possiamo capire meglio di cosa si tratta: l’anfiteatro Flavio fu inaugurato l’80 dopo cristo, a miracol mostrare, ma fu in un certo senso quasi il canto del cigno della Roma architettonica perché in seguito tutte le realizzazioni  più importanti e significative sia pubbliche che private vennero realizzate nelle provincie e non più nel centro, comprese quelle che portavano sulle loro spalle di calce, mattoni e marmi anche la simbologia imperiale, i valori ormai confusi di una repubblica, ancora formalmente esistente, ma che si intrecciava al dispotismo orientaleggiante, i segni del gusto, l’irrequieta religione. Una spia e al tempo stesso la causa di una crisi lenta e irreversibile.

Non è che voglia proporre paralleli impossibili e rozzi, ma è chiaro che  qui non si parla di architettura, di verticalizzazione, di ingegneria e dinamiche urbane, ma di simboli e di segni da interpretare. Si parla di un tramonto che è nelle cose.

 

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