Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è poco da dire: la cifra di queste elezioni amministrative è  il risultato sorprendente del M5S — primo partito a Roma e  secondo a Torino. E se è poco appariscente a Napoli o a Milano, si deve al fatto che le due amministrazioni uscenti sono, nell’immaginario degli elettori, ancora riconducibili a “ideali” poco uniformi con quelli dell’establishment, che si potrebbero addirittura catalogare come di “sinistra”, col sindaco de Magistris  rappresentante di una sinistra populista e il sindaco Pisapia di una sinistra civica.

Il che, come è  evidente perfino a Renzi, riconferma la punizione inflitta al Pd, alla sua volontaria rinuncia a tradizione e mandato, fin dalla sua fondazione, alla sua abiura dal ruolo di rappresentanza dell’interesse generale, del suo festoso oblio della funzione di testimonianza della volontà di riscatto dallo sfruttamento, tutti principi retrocessi a retorica molesta, da chiudere con le viole del pensiero e il quadrifogli dentro al sussidiario delle elementari.

Secondo alate penne, il movimento miete successi laddove c’è più insoddisfazione certo, ma, dicono, soprattutto dove non ha dovuto dimostrare capacità di governo, esibendo solo potenziale dirompente, dove ha potuto avvantaggiarsi grazie ai suoi capisaldi tradizionali e irrinunciabili: il vigore della battaglia generica, gentista e generista  contro l’élite e i suoi vizi e la purezza, il richiamo a valori etici, ben interpretati grazie alla giovane età dei suoi testimonial, alla loro improvvisazione creativa prodigata in una denuncia che suona le note del  pop.

E vi pare poco? Vi pare poco che a Roma il Pd vinca ai Parioli e in Prati, mentre loro si assestano ben bene là dove vinceva la sinistra storica di Petroselli e Vetere, dove vive chi sta male, nelle periferie e nelle borgate?  Dove non ci si preoccupa granché dei buchi nelle strade del centro ma di quello nello stomaco che non sia riesce a riempire?  Certo a dire così si riceve facilmente l’accusa di essere di quelli che ascoltano le voci della pancia più che quelle della testa, che per una città complicata come la Capitale ci vuole competenza, preparazione, capacità, esperienza, tutte doti peraltro assolutamente estranee al management della ditta che l’ha gestita in questi anni, sia da una parte che dall’altra del finto discrimine e ormai così tremendamente e volutamente somiglianti.

Ormai ogni volta che si fa una affermazione, tocca fare una dichiarazione preventiva: non sto coi terroristi, ma non voglio limitazioni delle libertà, non sono sessista, ma ho repulsione per le donne della compagine governativa. E per stare nello spirito del tempo dichiaro ufficialmente che, oltre a non essere solita salire sul carro vincente, non mi so riconoscere nel Movimento 5stelle.

Ritengo l’onestà requisito necessario ma non sufficiente, anche se la cortina di silenzio calata ad esempio sull’affaire Rolex: gli orologi prestigiosi sollecitati e incamerati da una delegazione di governo mi fa desiderare purghe, gogne e colpi di frusta non solo teorici. Non mi bastano esternazioni estemporanee di solidarietà con gli afflitti per compensare la diserzione sul tema dell’immigrazione e sulla strategia governativa, quel migration compact di pura marca neo colonialista, motore di puzzolenti cooperazioni allo sviluppo che bene interpretano l’ Aiutiamoli a casa loro col valore aggiunto dell’export di corruzione e disuguaglianza, un regalino concesso dall?ue in cambio dell’accreditamento a ripetere noi e di spontanea volontà quello che è stato imposto tramite la Turchia alla Grecia, l’ingrato compito di kapò.

Deploro la sprezzante indifferenza sulla necessità di schierarsi contro il fascismo, vecchio e nuovo, in orbace o in doppiopetto, le strizzate d’occhio corporativiste al movimentismo nero. E non mi sta bene la rimozione della priorità della lotta per il lavoro, ristretta nelle maglie riduttive del salario di cittadinanza, l’indifferenza per la guerra mossa alla rappresentanza, che si sviluppa nella totale emarginazione del sindacato, in previsione di una organizzazione unica al sevizio in outsourcing dei padroni.

Si però .. però invece mia piace la paura che l’establishment mostra, la diffidenza sospetta di ceti che rimpiangono per svariate ragioni le formazioni partitiche tradizionali, vuoi per malintesa nostalgia di qualcosa che abbiamo contribuito a far fuori, vuoi perché si sentono rassicurati dalla delega a soggetti altri, incaricati di faccende ormai considerate sporche, cui riversare malumore, vuoi perché  di quella macchina grandiosa quanto miserabile hanno potuto, su scala minore, approfittare, per appartenenza a una lobby, per contiguità, per riconoscimento e affinità, per somiglianza generazionale o sociale, per inclinazione a farsi illudere che questo è il migliore dei mondi possibili o che comunque un altro sarebbe peggio.

Mi eccita l’odore di questa paura, come due gocce di napalm dietro alle orecchie prima di uscire, mi attizza il rumore del macigno buttato nello stagno, proprio perché temo ormai di essere diventata peggiorista, se è difficile che si superi il brutto contemporaneo, se – hanno cominciato loro –    la difesa della democrazia, non tanto come sistema elettorale, ma come valore che deve ispirare la cosa pubblica, viene interpretato come misoneismo, come conservatorismo che ostacola il disegno divino delle loro riforme e del loro sviluppo. Mi aiuta che la competizione con la badante delle buche, costringa Giachetti a pronunciarsi per Stadio della Roma e Olimpiadi, per quello cioè per cui ogni cittadino di buonsenso ha rinfacciato al Marino delle mezze verità: chiusa Malagrotta, ho risolto il problema dei rifiuti, fatto l’inventario, ho risolto la questione degli affitti di favore, nominata la commissione di esperto, ho risolto l’annosa emergenza delle case occupate dai senza tetto. E cioè l’assoggettamento a quella ideologia costruttivista delle grandi opere, dei grandi imprenditori, dei grandi costruttori, delle grandi corruzioni e del grande malaffare.

Perché non è detto che dopo molto digiuno Giachetti voglia magna’, per carità. Ma è sicuro che sta dalla parte di chi pensa che il Mercato sia un dio buono e giusto che pensa per noi, che lavora per noi, che deve decidere per noi, che ha a cuore il nostro bene e lo persevera tramite il libero svolgersi della concorrenza, della competizione. Anzi, meglio ancora, della guerra, quella dei chi ha soldi, potere, o tutti e due, contro di noi. Così se qualche Davide tira dei sassi con la fionda, succede che si faccia il tifo contro Golia.