austriaue1Stranamente, dopo il can can per le presidenziali, non si parla più dell’Austria, né del Brennero, tanto da rendere lecito il sospetto che il Paese si sia dissolto senza un lamento dopo che per una percentuale di zero virgola qualcosa, ha evitato il nazismo secondo l’interpretazione canonica di stampo europeo. Invece l’Austria esiste ancora e sui suoi giornali, a nostra totale insaputa – perché per il nostro bene è opportuno il silenzio – domina un’accanita e drammatica polemica sui brogli che vi sono stati e che assumono un enorme rilievo vista la vittoria del candidato dello status quo europeo per una manciata di voti. Non si tratta di cose da poco, anzi l’elenco dei misteri  è molto lungo e coinvolge un numero di voti molto superiore a quello che ha decretato la vittoria di Van der Bellen su Hofer.

A Linz su  3518 aventi diritti al voto si sono registrati 21.060 suffragi, 14.533 dei quali per Van der Bellen; a Miesenbach nella Bassa Austria, hanno votato anche i  ragazzi di età compresa tra i 14 e i 15 anni, mentre l’età legale è 16 anni; a Waidhofen l’affluenza è stata miracolosa, il 146,9% ; in  Tirolo sono state rinvenute schede a favore di Hofer buttate in un sacchetto per la spazzatura; in quattro distretti della Carinzia e in uno della Stiria il conteggio dei voti postali (per un totale di 20 mila ) è cominciato in anticipo di qualche ora e senza la presenza dei delegati del partito di Hofer. Dulcis in fundo c’è poi il giallo delle schede per corrispondenza rimaste misteriosamente bloccate a causa di un disguido delle Poste austriache: stranamente i voti per Van der Bellen sono stati consegnati immediatamente, mentre quelli per Hofer,  circa 130 mila, sono arrivati solo il 26 maggio e per aggiungere la beffa sono state consegnati insieme alle offerte della catena di supermarket Hofer, omonima del candidato.

In effetti è proprio il voto postale a suscitare i maggiori dubbi: si attendevano, sulla base dei registri elettorali, 740 mila schede, dato confermato ufficialmente dal ministero dell’interno nei giorni precedenti la tornata elettorale. Invece ne sono arrivate secondo il calcolo fatto dopo la chiusura delle urne  766 mila, ma ora secondo le notizie che giungono dalle autorità elettorali di distretto sarebbero 800 mila. Visto che la vittoria di Van der Bellen su Hofer è stata determinata proprio dal voto postale, tutto questo assume un carattere sinistro: il presidente eletto ha preso nel voto per corrispondenza il 62% contro il 48% di Hofer il che è statisticamente sospetto per non dire impossibile, visto che il 17 per cento del totale dei voti non può discostarsi di tanto dal risultato  finale. Basti pensare che le proiezioni elettorali cominciano ad essere credibili e sufficientemente esatte quando si raggiunge un campione con l’ 1 per cento dei voti. Tutto questo del resto ha come  risvolto anche l’incredibile e ingiustificabile aumento dei voti nulli che al  primo turno, a fronte di una scheda era più complessa, sono stati 92 mila e nel secondo turno con tutto semplificato sono saliti a 165 mila. Lo scandalo dilaga e il ministero dell’interno non ha potuto astenersi dal mettere sotto indagine cinque distretti di voto: un modo anche per tentare di circoscrivere lo scandalo.

E’ quasi una tradizione che il perdente lanci a torto o a ragione l’accusa di brogli e quasi sempre si tratta solo di un modo per attenuare la sconfitta, anche se obiettivamente imbrogliare conviene perché una volta proclamato il vincitore non si può tornare indietro come dimostra l’elezione di Bush junior su Al Gore grazie a 600 voti sottoposti a manipolazione, ma il cui conteggio andò troppo avanti per evitare che un cambiamento di vincitore danneggiasse gravemente le istituzioni. In questo caso anche Hofer ha riconosciuto l’opportunità di controllare i voti, senza però stravolgere il risultato: l’ appuntamento assieme alla vendetta è per le elezioni politiche del 2018. Tuttavia l’entità dei brogli eventuali è troppo grande rispetto al distacco dei candidati per non far nascere il concreto sospetto sospetto che vi siano forze disposte a tutto purché prevalgano i propri candidati: e nel caso specifico dell’Austria la vera posta in gioco non era una battaglia fra diversi gradi di xenofobia (in fondo la barriera al Brennero era un’idea degli amici di Van der Bellen), così com’è stata presentata all’opinione pubblica del continente, ma tra un atteggiamento supino all’Europa e ai suoi padroni di oltre atlantico e un altro assai più critico, in grado di dare concretezza ai malumori, di rompere il coro del silenzio e dell’acquiscenza geopolitica sia pure prendendo spunto da motivazioni non esattamente edificanti. Del resto tanto per parlar chiaro sono proprio i poteri oligarchici a cui si volge Van der Bellen che tentano di depistare verso l’immigrazione e la guerra di civiltà la rabbia per il furto di lavoro e diritti teorizzato da Bruxelles, anche se poi la malerba seminata spesso sfugge di mano. Diciamo che è stata un’elezione recapitata a Vienna con posta celere.