Anna Lombroso per il Simplicissimus

Esuberante fino all’incontinenza (ha fatto della velocità e del dinamismo marinettiano la sua cifra), megalomane fino alla dissipatezza più arrogante e scriteriata (stanno per piovere su 4 milioni di noi i volantini per il si con l’epica di governo in vista dell’auspicato plebiscito), sgargiante e ilare fino alla volgarità (le sue smorfiette e i suoi ghigni hanno superato i mostruosi record del Cavaliere), il presidente del Consiglio più gradasso – ma solo con noi – degli ultimi 150 anni ha scoperto morigerata compostezza, sobria moderazione, costumata temperanza. Tutto va bene, tout va très bien: è ora di smetterla con gli allarmismi, non c’è da temere la troppe volte annunciata invasione, l’esodo biblico minacciato non ci sarà e comunque abbiamo strategia e strumenti per contrastare l’emergenza.

In  una delle peggiori settimane di sempre, secondo i dati dell’Onu: tre naufragi, 65 corpi recuperati, 700 dispersi almeno 40 dei quali bimbi – e pensate che lutto reale e virtuale se fossero stati “occidentali”, bianchi, europei, una strage che secondo l’Unicef va chiamata con suo nome: “genocidio” – la sorprendente e inattesa ragionevolezza di Renzi ha lo stesso grado di credibilità del  chiassoso e scomposto uso politico della paura dell’altro Matteo. Il secondo rema con vigore e col vento propizio nel mare tempestoso della percezione popolare della minaccia di accadimenti unici, inattesi, imprevedibili ed eccezionali: orde barbariche alle porte della vulnerabile Europa, rischio islamico, pressione della violenza fanatica  capace di imporre usi, costumi, tradizioni incompatibili con la “civiltà”, come se quello che succede fosse un fatto anomalo e non preventivabile, mai presentatosi prima e quindi impossibile da contrastare e non – come invece è – un fattore sistemico e ricorrente riassumibile nel fisiologi spostamento di intere popolazioni dalle zone più esposte e interessate a conflitti e catastrofi climatiche e quindi più disagiate, a quelle privilegiate, intoccate da conflitti, salvo quello sempre più cocente ma mai davvero ammesso, di classe.  Tanto che milioni di profughi si muovono   dall’America centro-meridionale verso gli Stati Uniti, dall’Asia sud-orientale verso l’Australia; dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa e altri milioni nel silenzio globale scappano dalla guerra e dalla morte sicura verso Pakistan, Giordania, Iran, Libano, paesi nei quali si conta un numero di immigrati che sfiora una percentuale di quasi la metà della popolazione.

Il primo, il Matteo ancora presidente, invece parla la lingua dell’aritmetica, dei dati confortanti; con   i 170 mila arrivi del 2014, i 140 mila del 2015  e i   47.740 migranti del 2016, solo  il 4% il più rispetto allo stesso periodo del 2015. Si avvale della scelta di “equità” del suo ministro al Viminale: un’ugualitario e armonico tetto di 70 immigrati per ogni provincia italiana, sia Trieste, Monza, o Prato, sia Roma, Milano, Bari. Tranquillizza i cattivisti e si compiace coi buonisti, che perfino il ferino Juncker ha deciso di allinearsi sulla proposta italiana di aiutarli a casa loro con il trasferimento  burocratico, ottuso e  miserabile, della strumentazione finanziaria applicata alla disperazione  tramite il migration compact.

E tutto beato dell’approvazione imperiale tace sulla contropartita: la pressione esercitata sull’Italia perché mostri la sua soggezione e ubbidienza, come e più della Grecia, istituendo nuovi hotspot e altri centri di accoglienza, altre strutture di polizia  per identificare, controllare e recludere i migranti, in modo che- magari in lager inumani e vergognosi, non lascino il Paese risparmiando la pingue Europa che pensa di non meritarli, non ne vuole più, li accolla al suo Sud più affine e spinto verso analoghe disperazioni, tanto che spetta al Mezzogiorno italiano fungere da laboratorio dell’inciviltà occidentale: ai quattro Cie già aperti – Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto – se ne dovranno aggiungere altri, guarda un po’, a Mineo e Messina,  e poi  uno in Sardegna e uno in Calabria, che mica li vorrete nella capitale morale, o nella operosa Val Padana, o nella Capitale già investita dal traffico, dai rifiuti, dalla mafia che ha già saturato il mercato con brand della cooperazione nel settore.

Così bischero da non tenere conto nemmeno delle nuove consapevolezze raggiunte dal G7, solitamente piuttosto tardo nell’accorgersi di quel che succede intorno alle tenute padronali, Renzi persegue il suo vaneggiare come se l’adozione e la replica dell’approccio “economicistico” e finanziario al fenomeno, come se i casi di successo molto citati a proposito dei nostri investimenti in sviluppo, quello  di Eni e Edf,  multinazionali  competenti  in danno ambientale e morale,  rappresentassero la soluzione per quello che considera un incidente e non un destino che inciderà sulle nostre vite e il nostro futuro nei decenni a venire.

E come se non ci fosse altra strada che attuare su scala globale sfruttamento, depredare e saccheggiare dentro e fuori dai confini, esportare corruzione e clientelismo, corollario indispensabile di export, internazionalizzazione e sforzo bellico, quello che promuove profittevoli commerci e produttive  ricostruzioni, per fermare la fuga, addomesticare la disperazione, concludendo accordi opachi con sanguinose dittature, comprando la cooperazione di tiranni in modo che reprimano all’interno speranza e aspettativa di salvezza, secondo prassi già sperimentate e fallimentari.

Perché per lui, come per i suoi superiori, la ricchezza è rappresentata solo dallo sfruttamento, dal profitto, dall’accumulazione. Quando  gli immigrati tornati in patria hanno aiutato noi a casa nostra, lasciando all’Inps  3 miliardi di contributi versati e non riscossi. E quando di miliardi se ne aggiungeranno molto probabilmente altri 12. Quando perfino spalando lo sterco che non raccogliamo noi, sono quelli che nessuno vuole a dimostrare che potrebbero essere loro quelli che ci aiutano a pulire e rimettere in piedi un posto un tempo bello, sempre più sporco e oltraggiato.