Anna Lombroso per il Simplicissimus

12 candidati sindaci.   De Magistris e Lettieri sono sostenuti da 15 liste ciascuno, per lo più “civiche”, ma poi c’è Movimento Idea Sociale, c’è il Popolo della Famiglia di un supporter di Adinolfi, c’è Ricomincio da 10, una formazione che ha tra i suoi obiettivi strategici un azionariato popolare per acquisire lo Stadio San Paolo e poi chiamarlo Stadio Maradona. E c’è anche un Pulcinella con tanto di maschera sul volto e casabba bianca, anche lui sceso in campo per amore della città.

Qualcuno avrebbe calcolato che un napoletano su 80  elettori aventi diritto si è candidato per le amministrative di Napoli.

E già mi aspetto i commenti:   non occorre attingere ai testi sacri dell’antropologia per interpretare  questa conferma dell’antico proverbio: il Sud sarebbe un Paradiso popolati di diavoli. È quello che succede in posti dove corruzione, nostalgie borboniche, familismo, clientelismo diventano costruzioni difensive di una popolazione che con epica grandezza arcaica mutua i modi cupi del talento criminale. La separatezza dal Nord, la richiesta di risarcimento spingono a legittimare e percorrere le scorciatoie  del parassitismo amorale, dell’inevitabile ricorso all’assistenzialismo che diventa professionale, sicché le energie locali contribuiscono all’aberrante stratificazione delle cattive abitudini, al dilagare di fenomeni riconducibili alle mafie.

Ma non sarà invece l’espressione di quel genio meridionale, fatto di improvvisazione, di acrobatica abilità nello sperimentare espedienti e equilibrismi in grado di garantire una sopportabile seppur temporanea sopravvivenza, di quell’estro creativo applicato all’arte di tirare avanti dalla miseria alla nobiltà e viceversa?

Perché è evidente che se non si vuole entrare nelle schiere della manovalanza camorrista, se si è stanchi di star seduti al caffè aspettando la manina della provvidenza, se si rifugge dalla tentazione molto contemporanea di dichiarare come incarico da manager un posto a termine di pizzaiolo a Londra, malgrado il master al Federico II, se si è stanchi di sperare un reddito di cittadinanza, incongruo laddove si è sempre meno cittadini, l’entrata in politica può rappresentare una soluzione più che dignitosa, un investimento non azzardato per mettere a frutto attitudini e doti personali, uno sbocco professionale fruttuoso e meno precario dei vaucher e delle progressive opportunità offerte dal Jobs Act. Quella riforma cioè che rappresenta in pieno l’idea di lavoro di un ceto dirigente che ha già sperimentato quello che molti giovani napoletani si accingono a fare: entrare nel più perfezionato sistema parassitario esistente in Italia, approfittare senza merito di occasioni offerte da padroni che hanno bisogno di una manodopera senza alcun talento, salvo quello di ubbidire a chi sta sopra e  sopraffare chi sta sotto, di quadri spregiudicati, arraffoni  e arruffoni, nei quali l’ambizione e l’avidità sono smodate quanto la tracotante indole alla menzogna.

Vogliamo forse criticare giovani senza speranze se ci provano a seguire l’unico esempio che arriva loro da chi dovrebbe invece indicare la via della responsabilità, del dovere e della cura dell0uinteresse generale?  e cioè l’esercizio licenzioso del potere a fini personali o per garantire il mantenimento di tremende disuguaglianze, in modo che chi ha abbia sempre di più e chi aveva poco sia ridotto in una vergognosa miseria e nullatenenza, quella che rende implacabilmente ricattabili, rinunciatari, condannati a subire e all’abiura di diritti e dignità? Vogliamo criticare chi ha davanti agli occhi le carriere di bulli forti solo della loro prepotenza, di squinzie iperdotate di malizie e protervia, di studenti fuori corso promossi a vice ministri, di diplomate con fatica, ma senza sforzo insediate in dicasteri cruciali? Tutti beneficati da vitalizi assicurati, incarichi e avanzamenti tutelati, privilegi consolidati, compresi trattamenti speciali, assistenziali, fiscali e bancari, quelli che fanno la differenza permettendo che cure, casa, famiglia, prole, vecchiaia, non siano un lusso proibito.

Fossi a Napoli li voterei, che tanto non possono far peggio dei governi nazionale e locali, del premier che non ha nemmeno dovuto sottoporsi alla prova elettorale. E nemmeno di quella larga maggioranza di disillusi, stanchi, disincantati della democrazia e della sinistra, appartati e amareggiati, che hanno convertito il rituale silenzio nel cupo brontolio di chi si esprime solo con la scontentezza passiva, con lo scontroso appartarsi nelle geografie della frustrazione e della propria incapacità, attribuite a cause di forza maggiore, a fattori esterni, al mancato arrivo salvifico dei marziani. E che ancora una volta si piegheranno al “voto utile”, a Renzi, in mancanza d’altro, a potentati locali, tanto sono tutti uguali.

Si, fossi a Napoli li voterei, che poi se ognuno, insieme a papà, mamma, zia Nunziata voterà, avranno anche contrastato l’astensionismo, con la speranza che restituiscano il favore a quel che resta della democrazia, votando No a  ottobre.