Adesso che Trump è saldamente il candidato repubblicano alla presidenza, qualche anima bella comincia a chiedersi se sia stato saggio in campo democratico mandare avanti Hillary Clinton, ovvero un avanzo di Casa Bianca, militarista, confusa, intimamente reazionaria dietro la cortina del politicamente corretto. E oltretutto incarnazione vivente della debolezza e inconsistenza della proposta dei democratici più istituzionali i quali in realtà puntavano e puntano semplicemente sull’effetto prima donna alla Casa Bianca, a prescindere dalla donna stessa. Non c’è alcun dubbio che sia stata proprio la candidatura della Clinton, con la sua ruvidità imperialista ad aver messo le ali al paradossale Trump, da una parte facendo giustamente temere che la fievole personalità degli altri sfidanti repubblicani avrebbe portato a una sconfitta certa, dall’altra spingendo l’elettorato dell’elefante a piegare ancora di più verso destra visto che già la Clinton ne presidia una consistente parte.
Del resto le ultime analisi condotte sulle primarie svolte fino a un mese fa e le intenzioni di voto alle presidenziali mostrano qualcosa di inaudito per il piddismo e il socialdemocraticismo europeo: Sanders, il vero democratico, portatore di proposte certo molto più avanzate e radicali sulla società americana di quelle dei suoi avversari interni e esterni, avrebbe molte più probabilità della Clinton di spuntala contro Trump ed è proprio la pubblicazione di queste analisi che ha dato nuova slancio al candidato democratico alternativo nelle ultime settimane. Evidentemente si ha la sensazione che l’esperienza di governo accumulata dalla ex first lady ed ex segretario di stato, presente dietro ogni maledetto pasticcio mediorientale e di export della democrazia, venga utilizzata al solo scopo di nascondere una visione altrettanto ingenua e allo stesso tempo cinica del suo avversario sui generis. Forse per gli esperti di bon ton politico alla Zucconi l’impensabile è diventato possibile, ma la realtà è che decenni è diventato possibile, praticabile e praticato l’impensabile. Basta soltanto dire Libia, Siria e Ucraina.
Del resto queste elezioni sono in qualche modo un redde rationem della democrazia americana: il miliardario contro una delle dinastie appoggiate dai miliardari che detengono non solo l’economia, ma anche l’informazione, una sorta di tragedia in famiglia o forse meno drammaticamente di una cena col menù fisso del liberismo, delle lobby e dei destini imperiali, nella quale non si parla dei cibi e delle portate, ma di come si sta a tavola, se si mettono i gomiti sulla tovaglia, se si fuma il sigaro e via dicendo. Se per esempio si vogliono costruire muri in nome di una tradizionale xenofobia o li si costruiscono come in Europa in nome di una presunta guerra di civiltà. La reazione ha bisogno dell’etichetta, del galateo per rendersi più accettabile ed è per questo che lo pseudo progressismo nostrano che conosce bene tutto questo, fa disperatamente il tifo per la Clinton. Trump si comporta male, usa una retorica inammissibile per il potere economico a cui appartiene arrivando a proporre l’abbandono dei trattati commerciali tipo Ttip (un grande affare per un pugno di potenti, ma pessimo se non letale per milioni) perché le multinazionali tornino ad investire e produrre in Usa. Ed è arrivato persino a prospettare un taglio del gigantesco debito statunitense.
Sono tutte cose che probabilmente Trump, se mai dovesse vincere, non farebbe o non potrebbe fare, ma che nella società della comunicazione non si devono nemmeno nominare per evitare di mettere pulci nell’orecchio e nelle menti. Se fossi cittadino americano voterei per Sanders, oppure mi asterrei. Anzi no, quasi quasi voterei per Trump e questo per due motivi: il primo, più immediato, è che un “maleducato” alla Casa Bianca renderebbe più visibili e meno credibili le trame dell’impero e indurrebbe a maggiore prudenza nel seguirne e appoggiarne le sciagurate le mosse; il secondo più importante è che una vittoria del miliardario che vuole farsi re agevolerebbe la trasformazione della minoranza democratica attorno a Sanders in una vera e propria piattaforma politica autonoma, già oggi rappresentata dall’attivismo e/o dalla partecipazione di 9 milioni di persone finalmente decise a trasformare il sistema americano. Una vittoria della Clinton rischierebbe di far riassorbire questa piattaforma di progresso riportando sotto l’ala protettrice dell’industria bellica e delle lobby.
Quest’ultimo è in definitiva il vero motivo per cui l’establishment è così avverso alla vittoria di uno dei suoi membri, come del resto accade anche altrove: la sua sindrome di Tourette politica, rischia di creare una vera opposizione, di rimettere in gioco una politica in stato di animazione sospesa dai tempi di Reagan. Dopo l’esperienza di Obama le persone che vogliono cambiare le cose stanno cominciando a comprendere che non basta affidarsi a un leader, anzi che forse i leaderismo stesso, se portato all’estremo, è un trucco. E nel caso di Trump anche un parrucco.
Chiaramente esiste un dilemma e una difficolta’ di intepretazione nella dinamica degli eventi. L’influenza del sionismo e’ argomento che scotta, per ovvi motivi. Tuttavia, un certo filo conduttore lo si trova – come del resto chiaramente elaborato nel testo “Praktischer Idealismus” del super-filo-sionista Coudeneuve Kalergy, fondatore della ‘benemerita’ EU.
Propongo questo video di meno di un quarto d’ora sull’innegabile influenza del sionismo sul cambiamento dei costumi. https://www.youtube.com/watch?v=hoZJdF2u6vc
In piu’ la verita’ sempre e curiosamente nascosta sui fatti e sui registi del 9/11 sta venendo fuori.
Il “Jew York Times” ha gia’ decretato da tempo la vittoria di Clinton. Ed e’ probabile che Sanders finisca vice-presidente – una doppietta ancor meglio che con Obama, la prima donna presidente e il primo vice-presidente ebreo.
In zona Cesarini, Trump ha dichiarato di fronte all’estatico congresso del’AIPAC – una delle enormemente potenti lobby sioniste – che “Gerusalemme sara’ per sempre la capitale di Israele.” Ma e’ poco di fronte a Clinton, la quale ha detto, “Appena insediata, elevero’ le relazioni e l’associazione con Israele a un nuovo livello.”
Il che, ricordando il tipo di relazioni che il marito aveva con la Lewinsky, invita perlomeno allo sghignazzo.
Tutto sommato, ad essere dei book-makers (e nonostante l’odio genuino che moltissimi nutrono per Clinton) mettiamola all’ 80% e Trump a 20%. Peraltro le macchine elettroniche si possono facilmente pilotare – come successo e documentato in Ohio, 2 o 3 elezioni fa e anche (putativamente) da altre parti.
E’ difficile rappresentare il controllo praticamente totale del sionismo sulla politica estera, CIA, corte suprema, sistema bancario, Wall Street, educazione, finanza, informazione e cultura in America.
Anche la relativamente recente e potentissima lobby dei LGBT e’ finanziata ampiamente dal sionismo. E’ ormai abituale in TV vedere uomini sbaciucchiarsi fra di loro (e anche donne con donne) – al punto da letteralmente far voltar lo stomaco. E l’argomento scottante di questi giorni e’ in quale gabinetto debbano andare i transgenders – e c’e’ chi propone un gabinetto tutto per loro…
Qualche mese fa, Biden, che si vanta di essere un super-sionista pur non essendo ebreo, e’ andato appena poco sotto dal dire pubblicamente che gli ebrei sono una razza superiore. Il che gli ha portato la critica perfino da certi ambienti sionisti, preoccupati che dichiarazioni del genere siano controproducenti nel contesto dei loro obiettivi.
A prova dell’enorme presa per fondelli del popolo americano, adesso Clinton fa dichiarazioni “di sinistra”, “contro i miliardari”, mentre la Goldman-Sachs (nomen omen) la paga 750 mila dollari per leggere un discorso di mezz’ora, il cui contenuto e’ peraltro “riservato”.
Comunque sia ritengo non così essenziale sapere chi vincerà. La politica ai miei occhi si configura sempre più come una cortina fumogena che impedisce di vedere i veri snodi, le vere linee di azione, i veri interessi che muovono il mondo e il nostro vero ruolo in esso, caratterizzato, ahinoi, da una straordinaria passività e irrilevanza.
La politica è un’operazione complessa che mira a creare steccati fra persone che avrebbero interessi comuni per cui, allo scopo, vengono escogitati miti positivi e negativi del tutto artificiosi, si inventano a tavolino identità e appartenenze da distribuire settorialmente utilizzando un gran dispiego di mezzi affinché i cittadini aderiscano agli stampi così creati e vi si calino dentro con entusiasmo ferino pronti a combattere e a morire in nome di essi sia in senso metaforico che non.
Gli Stati Uniti hanno perso dal 2001 in poi milioni di posti di lavoro e buona parte della loro un tempo cospicua industria manifatturiera a vantaggio della Cina e questo incredibile rovescio è accaduto con il beneplacito di presidenti sia repubblicani che democratici. E sarebbe accaduto indipendentemente dal lobbismo di matrice ebraica perché il vero vincitore di questo tradimento dell’America è la Cina, non l’America, e la Cina non può certo essere ritenuta soggetta all’influenza ebraica. Se gli ebrei d’America avessero voluto rafforzare il paese che più di ogni altro sembra volerli difenderli (ma non li difende affatto, li espone solo ad un’eventuale futura recrudescenza di antisemitismo vista la gran mole di odio che nel frattempo si accumula sotterraneamente) sarebbero dovuti stare dalla parte di chi a parole non voleva la deindustrializzazione del paese, ossia i repubblicani. Che a loro volta sono dei gran ballisti, visto che, appunto, hanno permesso e stimolato nei fatti la svendita dell’America. Alla fine, ai piani alti della politica, chi decide ha i propri uomini e donne in entrambi gli schieramenti e se la ride. Se la ridono i ricchi ebrei, certo, ma sono comunque in buona compagnia con i parimenti ricchi cristiani, indù, buddisti e atei accomunati da un’unica fede massonica, paramassonica o comunque elitaria che risponde al motto “il mondo è dei pochi – ricchi, furbi e ben organizzati – che se lo prendono”.
Basta pensare a Obama e alle speranze da lui suscitate per capire che Sanders non potrebbe fare altro che fare quello che ha fatto Obama, ossia niente. Non è un problema di persone, è un problema di potere. Il potere non è nelle mani del futuro presidente degli Stati Uniti, chiunque lo divenga, e non lo è mai stato. Questo fu, tra l’altro, il significato duraturo dell’attentato a Kennedy, far capire che i presidenti sono pedine e, come pedine, possono anche essere sacrificate in nome del bene superiore, che è quello delle élites che comandano. Alla fine, tutto questo spazio che dedichiamo ai politici è del tutto irrazionale tenuto conto della loro assoluta inincidenza sulla vita di un paese. Se non ci fosse Renzi non ci sarebbe stato il Jobs Act? Senza Tsipras la Grecia si sarebbe salvata dalla Troika? Sono fantasie. Il rullo compressore è in moto e come quando in Cina, India, Brasile, Egitto o altrove si spostano milioni di persone per far posto a una diga o a nuovi sfruttamenti minerari, anche in Europa e negli Stati Uniti ci dobbiamo preparare a mutamenti estremi. Che altro significato ha avuto la migrazione biblica di cui siamo stati testimoni recentemente e che è stata una prova generale di come si possano sconvolgere le vite di milioni di profughi e letteralmente giocare con le esistenze di queste persone per il puro gusto di provare che l’Europa non è più quel santuario intoccabile di cultura, valori e ideali che era parte dell’identità del nostro continente e che ci avrebbero dovuto preservare per sempre dai pericoli di ricaduta nella barbarie e nel caos? Siamo anche noi nel frullatore e non possiamo far altro che farci frullare.
“Siamo anche noi nel frullatore e non possiamo far altro che farci frullare.”
È fatalismo o auspicio di farci frullare ?
Nè l’una cosa né l’altra. La frutta nel frullatore non è fatalista se pensa che finirà in brandelli e neppure auspica di finire in quel modo inglorioso. Riconoscere che non si può far nulla non è arrendersi ed è comunque molto più sano rispetto a pensare che si può fare qualcosa anche quando le cose, palesemente, non stanno così.