Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non ha nemmeno fatto lo sforzo di aprire Wikiquote alla voce sbaglio. E’ ricorso alla formula più abusata da truffatori incalliti, imbroglioni recidivi, medici negligenti, scolaretti impreparati.

Errare humanum est, così ha chiuso il capitolo “banche sleali” il presidente della Consob durante la relazione annuale al mercato finanziario. Ora,  la Consob si accredita come una divinità crudele e  separato e il cosiddetto “mercato finanziario” si presenta come un quelle divinità remote ed efferate. C’è dunque da dubitare che la delicata ammissione di Giuseppe Vegas, ex senatore di Forza Italia che guida l’autorità incaricata di tutelare gli investitori e vigilare sui comportamenti degli operatori, possa ottenere il risultato auspicato: riconquistare la fiducia dei risparmiatori, minata da un imprevedibile “incidente”, che chi si poteva immaginare quello che sarebbe accaduto in Banca Etruria, in Banca Marche, in Carichieti, in Carife, malgrado i precedenti dei furbetti del quartierino, di Mps, della Popolare di Vicenza e i trailer di quello che è accaduto altrove, Cipro, Grecia, Usa, Spagna, insomma  nelle varie geografie della criminalità finanziaria.

“L’attività umana non è mai esente da rischi, ha detto, i poteri pubblici non possono eliminare ogni forma di rischio, ma devono renderlo ragionevole”, impartendo una lezione di giudizioso buonsenso ai risparmiatori truffati, colpevoli di non aver letto con la doverosa attenzione i prospetti e i supplementi informativi che accompagnavano le emissioni, redatti, ha sottolineato, nel rispetto delle regole di trasparenza. All’anima del rigore, all’anima della cristallina limpidezza al servizio della clientela, se in perfetta sincronia la procura di Arezzo scoperchia la pentola fetida delle direttive del management “etrusco””: circolari che ordinano di cedere obbligazioni rischiose al “pubblico indistinto” e indicazione di trattare con riguardo un pubblico invece “distinto”, oggetto di cure particolari.

È passato qualche mese dal suicidio di Luigino D’Angelo, pensionato di Civitavecchia, ricattato e raggirato. È passato qualche mese dalle confessioni dell’ex funzionario della banca rea di averlo portato alla morte. È passato qualche mese dall’ignobile pretesa di innocenza “leopoldina” della ministra in odor di multipli conflitti di interesse. È passato qualche mese dall’affidamento allo spaventapasseri della corruzione, Cantone, della spinosa pratica dei risarcimenti, atto simbolico quanto oscenamente ingannevole.

Così la coltre dell’oblio, stesa magicamente da media che scaraventano tra le brevi in cronaca i casi umani – insieme alle contestazioni dei derubati durante le visite pastorali degli esponenti del governo e a un provvedimento che applica il sistema di selezione caro alle ideologie imperanti, differenziando meritevoli di risarcimento e meno degni di riparazione – ha riposto l’incartamento della catena di delitti dei serial killer bancari nell’uggioso faldone delle conseguenze inevitabili della crisi, senza la speranza che lo riaprano quelli di  Cold Case.

È che l’egemonia di una oligarchia che sconfina nei territori della criminalità è stata preparata ancora prima che qualcuno si chiedesse se è più delittuoso rapinare una banca o fondarla e, oggi, governarla.

E la sua progressione inarrestabile si combina con il disegno autoritario di una sedicente “riforma”, che intende attribuire potere assoluto all’esecutivo, per una non singolare coincidenza  con gli interessi privati e fino a ieri definiti “conflittuali”   di ministri e dirigenti politici, famigli e  affini, amici e complici, collegati e assoggettati all’impero finanziario, scrupolosi esecutori dei comandi dell’establishment europeo e oltre, quegli esperti in rischi che tramite direttive, leggi speciali, decreti ad hoc, sanno sempre su chi caricare gli effetti catastrofici di una inettitudine al servizio del golpe contro sovranità e democrazie. E che perseguono il loro obiettivo eversivo con tracotante candore, se il premier davanti al solito intervistatore ridotto a pelle di tigre davanti ai Lari dell’ubbidienza festosa  ha sentenziato:  “i giudici applicano le leggi, io faccio le leggi”, sancendo che il disegno è già stato completato e che il referendum, che comincia invece a preoccuparlo, sarà meno di un atto notarile, una cerimonia irrilevante come ormai è diventato tutto quello che riguarda la volontà popolare.

E non a caso i primi attentati alla Costituzione – disse Gonella nel 1952 “la Costituzione si deve rivedere, mica è il Corano” –   quel peccato d’origine che poi, benché bloccato da una sconfitta elettorale, via via autorizzò la violazione della Carta e diede luogo a altri oltraggi alla partecipazione, è passato alla storia come “legge truffa”, una definizione che la dice lunga sull’ombra lunga gettata sulla democrazia da corruzione, totalitarismo, derisione della rappresentanza, primato dell’interesse personale e privato.

Non sorprende se oggi un governo esperto in materia di imbrogli e attrezzato per i brogli ancor più di Scelba, addirittura intenzionato a superarlo in limitazione di libertà, ha accelerato quel processo che ha già dato colpi violenti a principi che la Costituzione stabiliva come inalienabili e irrinunciabili,  a cominciare dal lavoro, fondamento della Repubblica, dalla tutela di beni comuni e paesaggio, dai valori dell’istruzione pubblica, dalla rivendicazione di laicità, dal richiamo a solidarietà e ospitalità, al ripudio della guerra.

Per non dire dei principi di equità e di uguaglianza, traditi dalla volontà quotidiana di dimostrare nelle parole, nei fatti, perfino nelle leggi, compresa quella che crea arbitrarie graduatorie tra le vittime e il risarcimento dovuto, che si tratta di vecchi attrezzi del passato, arcaici e desueti, che sempre di più va ascoltata la voce del padrone,   che sempre di più va segnata la differenza tra chi paga e chi gode i frutti del sacrificio, che sempre di più loro sono loro, anche quando umanamente sbagliano, e noi siamo un “niente”, meno che uomini, meno che caporali.