Anna Lombroso per il Simplicissimus

Per quanto rivendichiamo di essere disincantati, per quanto ci riteniamo scevri da pregiudizi, finiamo per scoprire che la nostra è una razionalità limitata, condizionata da passioni, preconcetti ideologici, emozioni. Difficile dunque non essere compiaciuti per la vittoria di Sadik  Khan, 45enne nuovo primo cittadino di Londra.

Famiglia numerosa – otto figli, di cui sette maschi e una femmina, immigrati pakistani usi a lavoro e fatica, babbo autista di bus, mamma sarta, alloggio popolare di quelli assegnati alle famiglie più indigenti a  Earlsfield, periferia della capitale, racconta di sé di essere cresciuto vedendo i suoi  arrabattarsi in continuazione, e di aver seguito il loro esempio facendo ogni tipo di lavoretto  fin da ragazzino, per contribuire al ménage domestico e  ai pochi soldi che i Khan mandavano ai parenti in Pakistan, “perché noi stavamo meglio di loro”, ricorda. Ha studiato nelle scuole pubbliche  gratuite,  poi, dice, influenzato dal serial televisivo “L.A. Law” (Avvocati a Los Angeles), si è laureato in giurisprudenza  e, passato l’esame di difensore d’ufficio,  si è specializzato  in diritti umani, patrocinando vittime della violenza della polizia, della discriminazione sul lavoro, di torture e violenze in  carcere.

Sembra il ritratto di un  eroe di Dickens o il protagonista di un film di Frank Capra, con qualche pennellata in più, che ne fa una icona moderna del riscatto sociale e di una globalizzazione benevola: è musulmano, in un paese poco disponibile alla generosa integrazione di minoranze “rischiose”, ha una bella moglie di successo, avvocato come lui, possiede gli atout che avvantaggiano l’immagine e l’accreditamento nella società dello spettacolo, a cominciare dalla quotidiana interpretazione del ruolo primario in un legal movie.

Così riesce a piacere anche ai benpensanti: laburista addomesticato, rimprovera a Corbyn di avere adottato un approccio “troppo radicale”, ha molto a cuore il superamento delle disuguaglianze, con particolare riguardo per la restituzione di garanzie e prerogative perdute al ceto medio, e, tanto per non sbagliare, si dichiara fiero di essere  a un tempo musulmano, britannico, laburista, marito, padre e tifoso del Liverpool, in una apoteosi di “piacionismo” ecumenico che ha dimostrato di essere gradita, anche grazie alla rivelazione oculata di un pugno di ferro sotto il guanto di velluto: professione di muscolarità contro il terrorismo, consenso per operazioni militari anche arrischiate.

E infatti senza tentennamenti ha dichiarato orgogliosamente di essere pro-business e pro- Europa, affiliazione quest’ultima poco impegnativa e onerosa per il rappresentante di un Paese che sta in un club esclusivo senza pagare la quota associativa.

È che a volte ci si schiera a fianco di qualcuno per adesione sentimentale, letteraria, emotiva, perché certe vittorie, alla prima occhiata, ci sembrano appagare il nostro gusto della provocazione, per via dell’empatia irrazionale che ci suscita la storia di un successo faticato che dovrebbe parlare di affrancamento e riparazione di torti, quelli subiti per via della casualità della lotteria naturale in aggiunta a quelli  invece prevedibili e calcolati di un sistema fondato sulla continuità inalienabile del privilegio, dell’iniquità, del profitto e  dell’accumulazione.

Invece accade sempre più spesso che si si sottrae ai codici e ai destini imposti alle minoranze non solo numeriche, fatti di marginalità, di sospensione di diritti e garanzie, discriminazione, abbia la memoria corta, in una rimozione, se non in un rifiuto del mandato che tacitamente gli è stato consegnato. Vale per premi Nobel per la pace usurpati, per il tradimento di genere o di ceto di politici  in quote “rosa” o “gay” o “operaie” – dalle nostre ministre, a ex sindacalisti, a Scalfarotto, e così via e c’è da sospettare che varrà per Khan, compiaciuto per l’ammissione al circolo esclusivo.

Certo non dispiace nemmeno a me, almeno a prima vista, la sfida alla benpensante e ipocrita Albione di un sindaco mussulmano, laddove certe etnie sono state accolte con tollerante ospitalità in veste di camerieri, chef etnici, ristoratori fusion, senza contare pizzaioli italiani. Ma dovremmo invece aspirare tutti e in tutte le latitudini a eleggere rappresentanti laici, che assicurino la libera espressione di ogni professione di fede, a cominciare da quella di ateismo, sempre meno popolare oggi che a interpretare etica pubblica, a propagandare solidarietà, a esercitare critica all’Europa che piace tanto a Kahn abbiamo lasciato tutto lo spazio in un potere sostitutivo assoluto e totale a un Papa, proprio mentre paradossalmente riceve il Premio Carlo Magno.