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I talent della marginalità

SGA-Talent-webChe dire oggi? La scelta è immensa, spazia dall’attacco di diarrea renziana che annuncia la campagna elettorale del guappo e del suo tutore per il referendum costituzionale, all’accusa circostanziata fatta dal premio Pulitzer, Seymour Hersh, riguardo al famoso attacco con il gas sarin  Siria: si sarebbe trattato di un accordo fra Usa, Turchia e Quatar  come pretesto per l’invasione del Paese, una tesi ormai avallata da molti analisti, ma che oggi vede Hillary Clinton come tessitrice dell’accordo di morte. Ma non  avendo nulla da aggiungere a questa infernale commedia rispetto a quanto ho letto, ho deciso di parlare tanto di me. Ieri sono stato tentato di iscrivermi alle selezioni per una di quelle sagre di talenti che pur annegate in patetici titoli ammerregani  non sono altro che la vecchia corrida rispolverata e corretta dagli assidui copiatori d’oltreoceano, dove all’irrisione paesana di un tempo si sostituisce tutta la meticolosa serietà che gli anglosassoni attribuiscono alle cazzate.

Ero e sono curioso di vedere come va, di respirare quell’ambiente, anche se non so cosa potrei fare, magari recitare Dante decentemente e  senza aspirare le “C” come certi guittoni d’Arezzo o magari strimpellare qualche strumento meglio di tante band armate di provincialismo senza speranza e persino fare la besciamella. Ma non è questo che importa: la mia curiosità nasce dal cambiamento sociale e antropologico denunciato dall’evoluzione della vecchia corrida ai talent di oggi. Qualcuno potrebbe pensare  che una volta nelle mani di cinici presentatori finivano i marginali destinati ad essere sbranati dal pubblico, mentre ora arrivano talentuosi pieni di sogni che vengono lisciati dalle giurie in parte formate da attrezzi della stessa pasta che hanno avuto più fortuna, in parte sottomesse all’altare televisivo , all’unanimità prone al format e agli autori.

A prima vista potrebbe sembrare che ci sia stata una grande evoluzione rispetto alle forme primitive di un tempo, ma a guardare con attenzione dentro questo caleidoscopio si scopre invece che le forme corrispondono a una profonda involuzione sociale. La marginalità di un tempo, i piccoli sogni di gloria e di protagonismo coltivati al di fuori del lavoro e della vita di relazione, ora è diventata il maistream delle speranze, il centro di tutte le possibilità per il presente e il futuro. Per questo una volta, quando il lavoro magari grigio e faticoso prima o poi si trovava e soprattutto aveva diritti e dignità, lo strumento televisivo era diretto a sottolineare senza misericordia ingenuità e stonature di aspirazioni accessorie , mentre oggi nella società dei voucher tutto è teso a dare la maggiore plausibilità possibile alle esibizioni, cosa che del resto viene facile visto che con i mezzi di cui si dispone oggi anche un barboncino può cantare l’Aida.  La marginalità è diventata il mainstream della vita e dunque viene spettacolarizzata.

La speranza è che solo ballando e cantando, raccontando barzellette o facendo sfoggio di abilità circensi, si possa esprimere un talento apprezzabile e monetizzabile, che non valga la pena di dedicarsi a percorsi di conoscenza e di studio -fatta eccezione per economia e comunicazione, l’ultima spiaggia degli asini – o di battersi per esprimere qualcosa che vada al di là della fruibilità episodica. Del resto lo stesso significato di talento è quello di una propensione ancora priva di basi e retroterra, è solo una promessa che deve passare al vaglio della fatica e di una selezione non effimera e spesso teleguidata . Ma oggi c’è l’illusione di poterla farla fruttare indefinitamente senza mai mantenerla.

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