Il primo maggio in Italia ha una storia quanto mai tormentata. Dopo l’inaspettato successo delle manifestazioni internazionali indette nel 1890 in ricordo della strage di Chicago, ma soprattutto per appoggiare la richiesta della giornata lavorativa di 8 ore, la festa del lavoro nella penisola, nasce per davvero nel bagno di sangue di Bava Beccaris. Nel 1898 i lavoratori erano in subbuglio per le condizioni di vita divenute impossibili, basti pensare che un’ora di lavoro era retribuita 18 centesimi mentre un chilo di pane ne costava 40. Così il primo maggio di quell’anno grandi manifestazioni attraversano le città e anche i piccoli borghi tanto che si hanno 3 morti a Minervino, e altri 5 tra Firenze e Sesto fiorentino. A Milano la festa fa coagulare la rivolta che esplode il 6 e che viene repressa a colpi di cannone facendo oltre un centinaio di morti e forse anche 300 secondo alcune testimonianze. Di fatto è la strage di gran lunga più rilevante di ognmi tempo e luogo legata alla festa del lavoro a cominciare da quella di Chicago, un nefasto primato che fa il paio con la velocità con cui Bava Beccaris venne nominato senatore del regno nemmeno 30 giorni dopo gli eventi. Nel 1902 si ritirò a vita privata con una pensione di 8000 lire, l’equivalente di circa 11 anni di lavoro di un operaio.
Successivamente la repressione della festa fu attenuata anche perché dopo l’uccisione del re Umberto I°, di ritorno dalla casa dell’amante da parte dell’anarchico Bresci proprio per vendicare la strage di Milano, la monarchia tentò in qualche modo di ricucire lo strappo con il Paese. Umberto I°, detto re mitraglia dagli anarchici e re buono dai cortigiani, non era soltanto il mandante della strage e il ricompensatore di Bava Beccaris, ma era rimasto pesantemente sfiorato – l’ossimoro è d’obbligo -anche nello scandalo della Banca romana, stampo, anzi archetipo di tutti quelli che seguiranno dopo compresi quelli di oggi. Poi con l’approssimarsi della guerra e la resa del socialismo nei confronti del nazionalismo guerrafondaio la festa entrò in una fase carsica per riesplodere nel 1920 quando le gigantesche manifestazioni in occasione del Primo Maggio rimisero paura alla monarchia e alla classe dirigente che probabilmente proprio allora cominciarono a pensare al fascismo come soluzione del problema.
Ritornò anche la repressione: solo in quel giorno si contarono in Italia 10 morti e più di 70 feriti. A Torino più di 100 mila persone si riversarono in piazza per celebrare la festa (a quel tempo non riconosciuta) dei lavoratori. In corso Siccardi la guardia regia aprì il fuoco sul corteo uccidendo due operai e facendo più di 50 feriti. A Pola in Istria i bersaglieri aprirono il fuoco su un corteo di giovani socialisti uccidendo 4 dimostranti e ferendone altri 20. A Bagnara di Romagna fu fredddato dai carabinieri un muratore anarchico. A S. Severo in provincia di Foggia una donna restò uccisa a seguito di scontri tra socialisti e nazionalisti, mentre a Brendola in provincia di Vicenza un leghista rosso perse la vita durante gli scontri tra socialisti e popolari. In fine a Paola in provincia di Cosenza gli scontri tra socialisti e popolari tolsero la vita a un capolega cattolico. Come si intuisce c’era stata una saldatura fra agrari, industriali, apparato monarchico e borghesia cattolica, una santa alleanza contro le forze del progresso sociale, dando vita ad una battaglia che forse avrebbe potuto portare nel tempo quando meno ad una società più giusta, efficiente e meno corrotta se questa lotta non fosse stata in qualche modo congelata dal fascismo che per vent’anni riuscì a destreggiarsi tra le illusioni di un populismo militar sociale e la realtà sempre più verminosa del capitalismo di relazione. La festa del lavoro fu abolita e sussunta dal ridicolo Natale di Roma.
Comunque sia dopo la guerra, dopo la disfatta totale e vergognosa del blocco sociale rappresentato dal fascismo e il suo salvataggio imposto dai vincitori per ragioni geopolitiche,l a Festa del primo maggio è tornata splendere nei suoi significati e nelle sue speranze. Ma tutto è durato vent’anni dopo di che è via via cominciata una repressione di tipo diverso, caratteristica della fase neo liberista e del mondo della comunicazione, vale a dire lo svuotamento dall’interno, la sua riduzione ad evento fra gli eventi, la sua sterilizzazione. Molto meglio dei cannoni di Bava Beccaris anche se il manganello non è stato dismesso e serve quasi quotidianamente, Ma di certo non vengono usati per ciò che è rimasto della festa simbolo, un pugno di retorica e un concerto.
“Nel 1898 i lavoratori erano in subbuglio per le condizioni di vita divenute impossibili, basti pensare che un’ora di lavoro era retribuita 18 centesimi mentre un chilo di pane ne costava 40.”
Un chilo di pane a Milano costa attualmente circa 5 euro. La paga oraria offerta da alcune “cooperative” è quindi del tutto coerente con quella del 1898, senza che serva il “valore dimostrato a Milano nella repressione della rivolta” (motivazione ufficiale per il conferimento della medaglia d’oro al valor militare) degli epigoni del Bava Beccaris, che pure non mancherebbero.
A proposito del generale farabutto che fece sparare con le colubrine ad alzo zero sulla folla, anche su una coda di indigenti che aspettava un piatto di minestra davanti ad una confraternita religiosa, noto che non è mai stata proposta la sua radiazione dall’albo delle medaglie al valore dell’esercito italiano. Capisco che la questione sfugga dalla sensibilità di molti e ne condivido le ragioni. Ma sarebbe un bel segnale iniziare anche ad abbattere certi “simboli”, soprattutto toponomastici, che rappresentano la grave latitanza dell’unica forma di condanna efficace per i criminali delle varie epoche: quella della Storia.
L’ha ribloggato su Redvince's Webloge ha commentato:
Da anniversario in ricordo di morti sul lavoro e nelle lotte per affrancarsi dalla schiavitù, al triste e ipocrita epilogo degli ultimi decenni. Con la storia che si ripete: crisi economica generata dal capitale e da chi lo detiene, scaricata sulle sui lavoratori e sulle lavoratrici (anche di più) e dei poveri cristi che il lavoro non lo hanno oppure sono schiavizzati da un lavoro precario, dai raccoglitori di pomodori di Rosarno agli addetti ai call center siciliani, potrei andare avanti. Tutto questo generato da leggi emanate da governi illegittimi,come la Cassazione ha sentenziato. E allora che cosa festeggiamo? La fine dei diritti dei lavoratori, lo schiavismo legalizzato, le guerre tra poveri per ottenere il necessario: lavoro,istruzione,cure sanitarie e assistenza sociale in particolare verso gli ultimi senza distinzione.Combattere le diseguaglianze e le mafie in modo definitivo quelle infiltrate nelle istituzioni a tutti i livelli.