Anna Lombroso per il Simplicissimus

Loro dicono: ne avete fatto una battaglia “ideologica”. Beh, cosa ci sarebbe di male a battersi in nome degli ideali di chi si sente nel giusto se prende posizione attiva contro lo sfruttamento dell’ambiente, delle risorse e delle persone? Se è uno dei pochi modi che ancora ci hanno lasciato per manifestare critica e dissenso nei confronti di un’ideologia plasmata sulle richieste della finanza e applicata giorno dopo giorno da un governo non legittimato da un voto  e che gode della fiducia, continuamente reclamata, di un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale che considera il referendum del 17 aprile il test di collaudo di quel plebiscito su se stesso che dovrebbe  stravolgere  in un colpo solo, 47 articoli della Costituzione? E non ha il carattere di ideologia, per non dire di teocrazia del profitto, il continuo richiamo al culto del “rinnovamento” fine a se stesso,  la liturgia delle misure eccezionali e emergenziali spacciate come riforme, la religione dello “sviluppismo” tramite interventi e opere faraoniche, pesanti, ingombranti, che lasceranno un’impronta, si, ma di  oltraggio e di infamia, se tra i loro effetti, desiderati, c’è l’incremento di malaffare e corruzione?

Loro dicono: avete trasformato una questione tecnica in una cerimonia di carattere simbolico per manifestare contro il governo. Ma non è proprio il presidente del Consiglio ad attribuire valore dimostrativo a questa scadenza, per dare prova di muscolarità autoritaria, per vanificare il significato profondo di un pronunciamento popolare, ultima occasione democratica prima della conversione definitiva del voto in gota domenicale finalizzata a apporre un sigillo notarile su scelte calate dall’alto? E non ha avvalorato questa ostensione di dispotismo gradasso appellandosi all’astensione, alla manifestazione cioè di spirito disincantato e rinunciatario, che placa la coscienza civile autorizzando all’elusione, all’astrazione mediante gita al mare, quel mare così minacciato in nome della “crescita”?

Loro dicono: quelli del si penalizzano l’occupazione e avranno sulla coscienza la riduzione di posti di lavoro. Ma non vi offende che parlino di lavoro quelli che hanno dimostrato di avere convenienza strategica dalla sua scarsità, quelli che fino a ieri hanno rivendicato i successi industriali delle nostre imprese impegnate negli armamenti (come la  fornitura di 28 Eurofighter Typhoon al Kuwait) e oggi esaltano gli attuali e futuri ricavi della guerra all’ambiente, al mare, alle risorse, nascondendo pudicamente la loro esiguità che rende irragionevole  la loro pervicacia? Non vi pare insultante che giochino con i numeri di quella occupazione come con i trionfi del Jobs Act, come con le magnifiche sorti e progressive dei vaucher, della mobilità, della nuova e moderna servitù, per cancellare l’ingiuria del dover scegliere tra posti insicuri, fatica certa, reddito miserevole, e salute, qualità di vita, ambiente protetto? Ed anche tra investimenti in occupazione qualificate, in ricerca e in innovazione, in favore di sostegno suicida al fossile, a risorse dannose per il clima,  a grandi strutture industriali elargite dall’alto come donazioni generose, ma che non generano nuove economie, anzi, se interi territori e porzioni di mare sono svenduti a multinazionali e imprese statali di natura intensive, che consumano immense quantità d’acqua, inquinano il  suolo, l’aria e i fondali marini. Non vi sentite vilipesi dalla imposizione a difendere attività residuali e i pochi posti elargiti dalla Total o dalla Shell, a detrimento del turismo, della qualità ecologica, del riscaldamento globale che sta cambiando in peggio le nostre vite ma a beneficio di interessi opachi, di un affarismo sempre più scriteriato?

Loro dicono: è una questione tecnica, lasciate fare a noi. Ma non vi pare che abbiamo avuto sufficienti dimostrazioni che la loro tecnica non è certamente neutrale, che dalla riforme costituzionali, ai diritti, al lavoro, viene decisa negli uffici e nei grandi studi dei consulenti delle multinazionali, dai sacerdoti della giurisprudenza che scrivono leggi sotto dettatura dei padroni?  Non è per quello che i quesiti referendari sono criptici proprio per convertire in gergo indecifrabile questioni e soluzioni chiare ed evidenti, proprio come quella  che non esistono in terra il diritto e il permesso di sfruttare un giacimento o una risorsa finchè non si esauriscono?  Non è forse vero che il blocco di nuove concessioni non impedisce che nell’ambito di permessi   già accordati siano perforati nuovi pozzi e costruite nuove piattaforme, se previsto dal programma di lavoro, come potrebbe  accadere per la Vega, nel mar di Sicilia, dove l’Eni progetta da tempo una nuova piattaforma (Vega B) da aggiungere a quella oggi in esercizio, e che scade nel 2022? E non c’è da sospettare  (come scrive oggi il Simplicissimus qui: https://ilsimplicissimus2.com/2016/04/16/un-si-per-il-futuro-e-contro-il-malaffare/) che il prolungamento della durata della concessione altro non sia che l’accorgimento più economico per rinviare le costose operazioni di smantellamento e rimozione delle piattaforme obsolete, che potranno restare là a marcire a spese nostre?

Loro dicono: ma si tratta di attività sicure, gli incidenti si contano sulle dita di una mano. Ma non ci hanno insegnato abbastanza incidenti industriali, l’Ilva, Bophal, Seveso, Chernobyl, La Thyssen, i morti di amianto o quelli delle cave? Non protestano per la rimozione dalla pratica e dalle coscienze dei principi elementari di precauzione, prevenzione, cautela? Dobbiamo proprio aspettare altri disastri, altre stragi, altri costi umani e economici?

Loro dicono e verrebbe la tentazione di rispondere con la frase delle mamme: perché si? Perché lo diciamo noi che siamo i diretti interessati, i cittadini e voi non siete niente.